MaximaImmoralia. Il bordighista. 13.08.2007
by Georg Rukacs
Bisogna andare indietro d’una quarantina d’anni, quasi. Diciamo il 1968-69.
Quando fiorirono gruppi, gruppetti ed intergruppi ed intergruppetti. S’aprivano sedi. Si creavano gruppi. Se ne scioglievano. Si passava dall’uno all’altro. Chi andava un po’ per tutti. Ci si infervorava. Molti per finta. Quelli che urlano più forte sono poi quelli che magari, ne ho visti davvero, vanno a riferire a qualche questurino oppure, di quelli non si sa mai, a qualche brigadiere, maresciallo od ufficiale dei carabinieri. Non quelli che entrano in Questura dalla porta principale perché magari devono andare all’Ufficio passaporti o perché sono stati convocati. No, non quelli. Quelli che vanno a casa del funzionario o del dirigente, oppure in un luogo terzo riservato senza che nessuno veda, anzi ben guardinghi, eventualmente camuffati, per non farsi vedere né riconoscere da terzi. Oppure quelli, ve ne sono a bizzeffe, che lo fanno in modo sfacciato perché tanto loro sono insospettabili e nessuno oserebbe pensare che... O quelli che conferiscono con uno celato che poi fa rapporti ai comandi giusti. Lo fanno per vocazione. Riferire non è un’arte. È un bisogno. Chi ha questo bisogno lo fa perché non può fare altrimenti. Sente quell’impulso insopprimibile. Uno sano si vergognerebbe di fronte a sé stesso. Scarafaggi e scarafagge se ne esaltano. “Sono in ordine con me che seguo le mie passioni, ma sono pure in ordine col potere che mi dice se mai sbagliassi qualcosa nel seguire le mie passioni.” Ecco che riferiscono. Perché non possono fare altrimenti. Hanno la frenesia del riferire. Riferiscono e, se serve, inventano. Bisogna fare contento il committente e si deve pure far contenti sé stessi che magari s’ha bisogno di rovinare qualcuno. Oh, certo, in nome di “grandi” “valori”. “Quello la deve pagare. Sì, è proprio giusto che la paghi. Ecco se metto le cose in modo che quello la paghi è come se dicessi la verità. Eppoi una cosa è la fede, ma si deve pur essere in ordine con lo Stato, con la collettività! Eppoi quello deve proprio pagarla! È giusto fargliela pagare. Io devo fargliela pagare.”
No, Sergio (non mi ricordo come si chiamasse davvero) era un tipo tutto d’un pezzo. Un bordighista vero. Del resto Bordiga era ancora vivo (morrà il 23 luglio 1970) e col suo partito personale ed autentico. Il suo Partito faceva periodiche riunioni di discussione su temi del marxismo. Era, del resto, un partito-discussione. Null’altro. Certo, qualche volantino per far finta d’essere un partito come gli altri, pur piccolissimo, un giornale periodico perché è nella ballistica “marxista” che i partiti o gruppi debbano avere un “organo formale”, la solita produzione di opuscoli e libri. L’attività d’un centro studi o d’una scuola di tipo particolare, in realtà.
Sergio, faceva l’autista, il trasportatore, da Genova ed oltre, verso ovest e sud-ovest. Indottrinato dalle periodiche riunioni con Bordiga, oltre che dai suoi ferratissimi, o fanatizzati, seguaci in loco (Genova e ponente), approfittando del suo lavoro di trasportatore e compatibilmente con le sue soste nei capoluoghi o cittadine ad ovest e sud di Genova, che doveva essere la sua area di lavoro come autista, faceva un salto nelle sedi e nei luoghi di incontro della nascente sinistra extra-parlamentare. Arrivava, invero non in modo invasivo come certi m-l, col suo materiale di partito, oltre che con la retorica tipica di quel movimento. Ferrato, almeno per sentito dire, sulla storia del “movimento proletario e rivoluzionario”, idee chiarissime, almeno sulla base di quello che si dicevano nel gruppo suo sui compiti del periodo, “la fase”, i soliti discorsi bordighisti sulla lunga fase di ritirata controrivoluzionaria, sul lavoro di preparazione rivoluzionaria, sul tipo di partito che si doveva costruire per ergersi implacabili, terribili e tremendi quando fossero maturate le condizioni per far fuori tutto l’odiato Capitale e sostenitori e sostituirvi un regime da campo di sterminio per far trionfare le esigenze delle forze produttive che premevano. In effetti, l’immagine “marxista” delle forze produttive da liberare mima, nei discorsi e nel pensiero, il fare una sega al coso turgido e che preme per essere “liberato” dal liquido seminale e dal sovraccarico emozionale. E lasciate che uno si gestisca le sue voglie, desideri, impellenze come crede, senza pressare petulanti per fargli voi il servizio secondo una qualche ritualistica “marxista”! Bordiga era un ingegnere di famiglia di geni. Lui stesso un genio. Sognava un mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica, sebbene si ergesse criticissimo, nella forma, a parole espresse, contro ogni asservimento dell’uomo ad una astratta macchina o ad una astratta scienza nelle quali in realtà non credeva, a livello razionale, per cultura anche tecnico-scientifica che gli evitava infatuazioni scientiste. Eppure, la visione ritornava, in modo mediato, celato, nel suo, suo di lui Bordiga, totale volontarismo “proletario” al servizio dello “sviluppo storico” per il quale occorreva instaurare un regime da campo di sterminio. Tale era la sua visione della rivoluzione e del “partito proletario”. Se ci si interroga e si cerca che siano nel concreto la rivoluzione ed il “partito proletario” o “partito rivoluzionario” del bordighismo sono metafore d’un regime da campo di sterminio in nome d’un qualche ordine superiore sottoposto alle “leggi” della produzione materiale, dunque della scienza e della tecnica. Scienze e tecniche che, tuttavia, con tale visione del partito-verità si sarebbero risolte facilmente, nella pratica, condizioni permettendo, a cadere sotto direzioni “politiche” alla Lysenko col contorno di plotoni d’esecuzione con Luger europea, od euroasiatica, o con badile cambogiano.
Sergio arrivava, dunque, in questi ambienti extra-parlamentari agguerritissimo, affilatissimo, preparatissimo, neppure, invero, con quei modi di fare indisponenti del sottuttoio né desidero di parlare sempre ed a tutti costi. Era un grigio e ferreo militante proletario d’un partito storico seppur piccolissimo. Di quelli davvero tutti d’un pezzo. “Uomini d’altri tempi”, si sarebbe detto, se non fosse che era adulto ma non anziano.
La giovine moglie s’era intanto stufata di questo viaggiatore tutti i giorni per lavoro, con dunque pernottamenti in giro, e pure “viaggiatore della rivoluzione” per domeniche o fine settimana dedicati alle riunioni “di partito” con Bordiga oppure coi suoi luogotenenti nell’area. S’era stufata di lui sempre in giro, non di lui, almeno per il momento. Magari era gelosa che potesse scopare in giro. Una è a casa che si tocca e pensa a questo marito autista che pernotta fuori, che è pure rivoluzionario in questo periodo di esplosione di movimenti con fica che adesso la dà pure “per politica”, per ribellione, che monta monta monta a tutto spiano tutta questa fica che c’è dappertutto, anche se forse erano solo ossessioni che una, giovane desiderosa oppure ossessa che fosse, si creava nella testa. Gli trovò così un lavoro in loco, in un’azienda del PCI. I genitori dei lei erano del PCI... Non che poi il PCI si fosse sforzato... In fondo, non è che gli facessero fare il manager. Era autista. Invece che farlo in giro per un pezzo di penisola, avrebbe lavorato in un’azienda ed avrebbe poi eventualmente fatto l’autista in loco. Annesso alla cosa: in pratica, doveva prendere la tessera del PCI. Era implicito e dovuto. “Prendi la tessera. Il lavoro che t’ho già trovato è solo lì che t’aspetta, anche subito.”
Il colpo, per lui, fu il solito in questi casi: “Che gli racconti ai “miei” compagni?” Andò dal capetto bordighista locale. “Sono disperato.... ...Mia moglie mi lascia se non vado a lavorare da quelli, in quell’azienda del PCI dove in pratica m’ha già trovato lavoro senza dirmi nulla... ...Non so cosa, fare... ...Prendere la tessera di quelli, dei traditori del proletariato...” Per quanto il capetto bordighista locale fosse fanatico, che doveva dirgli? Gli disse “...Vedi tu...” Sapete, come vanno queste cose... Poche ore, pochi giorni: “Certo, resterò sempre un ardente rivoluzionario! ...Qualunque cosa v’occorra consideratemi sempre dei vostri anche se dovremo non vederci più. ...Devo prendere la tessera del PCI... ...Se poi quelli mi vedono con voi e pensano che sia restato segretamente dei vostri...” “Oh, certo, vedi tu... ...in fondo non è che possiamo rovinarti la vita... ...Devi lavorare... ...Noi soldi non te ne diamo...” In effetti, il mondo è così. Non che tutti prendano una tessera pur d’avere un lavoro meno sacrificato del precedente. Sebbene, spesso, anche per lavori umili, ma non umilissimi, in molte aree occorrano tessere o sottomissioni. Oppure, o non si lavora o si lavora a stipendi ben sotto quelli già bassi operai (grazie al “Partito Comunista più forte dell’occidente”, i salari d’Italiozia sono restati i più bassi e con meno gente che lavora che altrove, nei regni della socialdemocrazia), sempre che uno non abbia avuto la fortuna d’entrare in qualche posto pubblico dove se non altro c’è una qualche sicurezza di stipendio e, in genere, senza grandi strapazzi. Per chi avrebbe fatto lavori sottopagati, meglio il pubblico che il privato.
Per cui, il bordighista sparì come bordigista ambulante, viaggiatore della rivoluzione, e si trasformò in lavoratore stanziale con tessera del PCI. Il PCI, sebbene non ci fosse in realtà nulla da sapere, lo sottopose ad interrogatorio serrato sulle sue frequentazioni politiche precedenti. Lui, che doveva fare?! Lo sapete come vanno queste cose. Un passo tira l’altro... Un giorno pure una polizia ebbe bisogno. Lo avvicinarono: “Lei che conosce quegli ambienti estremisti...” Non che, anche con loro, lui avesse davvero qualcosa da raccontare. I bordighisti sognavano fiumi di sangue, ma fra mille anni. Erano, in realtà, i più legalitari dell’universo. Comunque, è vero che trovandosi di fatto tra extraparlamentari, si sentono cose che altri non sentono per quanto non necessariamente si sente di grandi, né piccole, illegalità. Spesso non si sente nulla, da questo punto di vista, a meno che uno non sia proprio in gruppi dove esiste una componente dedita ad illegalità varie, oltre che essere nei giri giusti per sentire di queste cose.
Anche lì, che doveva fare?! Già aveva preso la tessera del PCI. Già era stato sottoposto agli “interrogatori” di quelli. Ora, arrivava pure una polizia. “Sa, se non ci dice nulla pensiamo che lei sia restato legato a quell’area, che faccia delle cose, che usi il PCI per copertura... ...il suo stesso partito poi pensa che...” Che doveva fare?! Si fece tirare dentro pure a fare l’informatore di polizie, di antiterrorismi, anche se non è che avesse granché da dire loro.
...Il “rivoluzionario”, il “bordighista”.
by Georg Rukacs
Bisogna andare indietro d’una quarantina d’anni, quasi. Diciamo il 1968-69.
Quando fiorirono gruppi, gruppetti ed intergruppi ed intergruppetti. S’aprivano sedi. Si creavano gruppi. Se ne scioglievano. Si passava dall’uno all’altro. Chi andava un po’ per tutti. Ci si infervorava. Molti per finta. Quelli che urlano più forte sono poi quelli che magari, ne ho visti davvero, vanno a riferire a qualche questurino oppure, di quelli non si sa mai, a qualche brigadiere, maresciallo od ufficiale dei carabinieri. Non quelli che entrano in Questura dalla porta principale perché magari devono andare all’Ufficio passaporti o perché sono stati convocati. No, non quelli. Quelli che vanno a casa del funzionario o del dirigente, oppure in un luogo terzo riservato senza che nessuno veda, anzi ben guardinghi, eventualmente camuffati, per non farsi vedere né riconoscere da terzi. Oppure quelli, ve ne sono a bizzeffe, che lo fanno in modo sfacciato perché tanto loro sono insospettabili e nessuno oserebbe pensare che... O quelli che conferiscono con uno celato che poi fa rapporti ai comandi giusti. Lo fanno per vocazione. Riferire non è un’arte. È un bisogno. Chi ha questo bisogno lo fa perché non può fare altrimenti. Sente quell’impulso insopprimibile. Uno sano si vergognerebbe di fronte a sé stesso. Scarafaggi e scarafagge se ne esaltano. “Sono in ordine con me che seguo le mie passioni, ma sono pure in ordine col potere che mi dice se mai sbagliassi qualcosa nel seguire le mie passioni.” Ecco che riferiscono. Perché non possono fare altrimenti. Hanno la frenesia del riferire. Riferiscono e, se serve, inventano. Bisogna fare contento il committente e si deve pure far contenti sé stessi che magari s’ha bisogno di rovinare qualcuno. Oh, certo, in nome di “grandi” “valori”. “Quello la deve pagare. Sì, è proprio giusto che la paghi. Ecco se metto le cose in modo che quello la paghi è come se dicessi la verità. Eppoi una cosa è la fede, ma si deve pur essere in ordine con lo Stato, con la collettività! Eppoi quello deve proprio pagarla! È giusto fargliela pagare. Io devo fargliela pagare.”
No, Sergio (non mi ricordo come si chiamasse davvero) era un tipo tutto d’un pezzo. Un bordighista vero. Del resto Bordiga era ancora vivo (morrà il 23 luglio 1970) e col suo partito personale ed autentico. Il suo Partito faceva periodiche riunioni di discussione su temi del marxismo. Era, del resto, un partito-discussione. Null’altro. Certo, qualche volantino per far finta d’essere un partito come gli altri, pur piccolissimo, un giornale periodico perché è nella ballistica “marxista” che i partiti o gruppi debbano avere un “organo formale”, la solita produzione di opuscoli e libri. L’attività d’un centro studi o d’una scuola di tipo particolare, in realtà.
Sergio, faceva l’autista, il trasportatore, da Genova ed oltre, verso ovest e sud-ovest. Indottrinato dalle periodiche riunioni con Bordiga, oltre che dai suoi ferratissimi, o fanatizzati, seguaci in loco (Genova e ponente), approfittando del suo lavoro di trasportatore e compatibilmente con le sue soste nei capoluoghi o cittadine ad ovest e sud di Genova, che doveva essere la sua area di lavoro come autista, faceva un salto nelle sedi e nei luoghi di incontro della nascente sinistra extra-parlamentare. Arrivava, invero non in modo invasivo come certi m-l, col suo materiale di partito, oltre che con la retorica tipica di quel movimento. Ferrato, almeno per sentito dire, sulla storia del “movimento proletario e rivoluzionario”, idee chiarissime, almeno sulla base di quello che si dicevano nel gruppo suo sui compiti del periodo, “la fase”, i soliti discorsi bordighisti sulla lunga fase di ritirata controrivoluzionaria, sul lavoro di preparazione rivoluzionaria, sul tipo di partito che si doveva costruire per ergersi implacabili, terribili e tremendi quando fossero maturate le condizioni per far fuori tutto l’odiato Capitale e sostenitori e sostituirvi un regime da campo di sterminio per far trionfare le esigenze delle forze produttive che premevano. In effetti, l’immagine “marxista” delle forze produttive da liberare mima, nei discorsi e nel pensiero, il fare una sega al coso turgido e che preme per essere “liberato” dal liquido seminale e dal sovraccarico emozionale. E lasciate che uno si gestisca le sue voglie, desideri, impellenze come crede, senza pressare petulanti per fargli voi il servizio secondo una qualche ritualistica “marxista”! Bordiga era un ingegnere di famiglia di geni. Lui stesso un genio. Sognava un mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica, sebbene si ergesse criticissimo, nella forma, a parole espresse, contro ogni asservimento dell’uomo ad una astratta macchina o ad una astratta scienza nelle quali in realtà non credeva, a livello razionale, per cultura anche tecnico-scientifica che gli evitava infatuazioni scientiste. Eppure, la visione ritornava, in modo mediato, celato, nel suo, suo di lui Bordiga, totale volontarismo “proletario” al servizio dello “sviluppo storico” per il quale occorreva instaurare un regime da campo di sterminio. Tale era la sua visione della rivoluzione e del “partito proletario”. Se ci si interroga e si cerca che siano nel concreto la rivoluzione ed il “partito proletario” o “partito rivoluzionario” del bordighismo sono metafore d’un regime da campo di sterminio in nome d’un qualche ordine superiore sottoposto alle “leggi” della produzione materiale, dunque della scienza e della tecnica. Scienze e tecniche che, tuttavia, con tale visione del partito-verità si sarebbero risolte facilmente, nella pratica, condizioni permettendo, a cadere sotto direzioni “politiche” alla Lysenko col contorno di plotoni d’esecuzione con Luger europea, od euroasiatica, o con badile cambogiano.
Sergio arrivava, dunque, in questi ambienti extra-parlamentari agguerritissimo, affilatissimo, preparatissimo, neppure, invero, con quei modi di fare indisponenti del sottuttoio né desidero di parlare sempre ed a tutti costi. Era un grigio e ferreo militante proletario d’un partito storico seppur piccolissimo. Di quelli davvero tutti d’un pezzo. “Uomini d’altri tempi”, si sarebbe detto, se non fosse che era adulto ma non anziano.
La giovine moglie s’era intanto stufata di questo viaggiatore tutti i giorni per lavoro, con dunque pernottamenti in giro, e pure “viaggiatore della rivoluzione” per domeniche o fine settimana dedicati alle riunioni “di partito” con Bordiga oppure coi suoi luogotenenti nell’area. S’era stufata di lui sempre in giro, non di lui, almeno per il momento. Magari era gelosa che potesse scopare in giro. Una è a casa che si tocca e pensa a questo marito autista che pernotta fuori, che è pure rivoluzionario in questo periodo di esplosione di movimenti con fica che adesso la dà pure “per politica”, per ribellione, che monta monta monta a tutto spiano tutta questa fica che c’è dappertutto, anche se forse erano solo ossessioni che una, giovane desiderosa oppure ossessa che fosse, si creava nella testa. Gli trovò così un lavoro in loco, in un’azienda del PCI. I genitori dei lei erano del PCI... Non che poi il PCI si fosse sforzato... In fondo, non è che gli facessero fare il manager. Era autista. Invece che farlo in giro per un pezzo di penisola, avrebbe lavorato in un’azienda ed avrebbe poi eventualmente fatto l’autista in loco. Annesso alla cosa: in pratica, doveva prendere la tessera del PCI. Era implicito e dovuto. “Prendi la tessera. Il lavoro che t’ho già trovato è solo lì che t’aspetta, anche subito.”
Il colpo, per lui, fu il solito in questi casi: “Che gli racconti ai “miei” compagni?” Andò dal capetto bordighista locale. “Sono disperato.... ...Mia moglie mi lascia se non vado a lavorare da quelli, in quell’azienda del PCI dove in pratica m’ha già trovato lavoro senza dirmi nulla... ...Non so cosa, fare... ...Prendere la tessera di quelli, dei traditori del proletariato...” Per quanto il capetto bordighista locale fosse fanatico, che doveva dirgli? Gli disse “...Vedi tu...” Sapete, come vanno queste cose... Poche ore, pochi giorni: “Certo, resterò sempre un ardente rivoluzionario! ...Qualunque cosa v’occorra consideratemi sempre dei vostri anche se dovremo non vederci più. ...Devo prendere la tessera del PCI... ...Se poi quelli mi vedono con voi e pensano che sia restato segretamente dei vostri...” “Oh, certo, vedi tu... ...in fondo non è che possiamo rovinarti la vita... ...Devi lavorare... ...Noi soldi non te ne diamo...” In effetti, il mondo è così. Non che tutti prendano una tessera pur d’avere un lavoro meno sacrificato del precedente. Sebbene, spesso, anche per lavori umili, ma non umilissimi, in molte aree occorrano tessere o sottomissioni. Oppure, o non si lavora o si lavora a stipendi ben sotto quelli già bassi operai (grazie al “Partito Comunista più forte dell’occidente”, i salari d’Italiozia sono restati i più bassi e con meno gente che lavora che altrove, nei regni della socialdemocrazia), sempre che uno non abbia avuto la fortuna d’entrare in qualche posto pubblico dove se non altro c’è una qualche sicurezza di stipendio e, in genere, senza grandi strapazzi. Per chi avrebbe fatto lavori sottopagati, meglio il pubblico che il privato.
Per cui, il bordighista sparì come bordigista ambulante, viaggiatore della rivoluzione, e si trasformò in lavoratore stanziale con tessera del PCI. Il PCI, sebbene non ci fosse in realtà nulla da sapere, lo sottopose ad interrogatorio serrato sulle sue frequentazioni politiche precedenti. Lui, che doveva fare?! Lo sapete come vanno queste cose. Un passo tira l’altro... Un giorno pure una polizia ebbe bisogno. Lo avvicinarono: “Lei che conosce quegli ambienti estremisti...” Non che, anche con loro, lui avesse davvero qualcosa da raccontare. I bordighisti sognavano fiumi di sangue, ma fra mille anni. Erano, in realtà, i più legalitari dell’universo. Comunque, è vero che trovandosi di fatto tra extraparlamentari, si sentono cose che altri non sentono per quanto non necessariamente si sente di grandi, né piccole, illegalità. Spesso non si sente nulla, da questo punto di vista, a meno che uno non sia proprio in gruppi dove esiste una componente dedita ad illegalità varie, oltre che essere nei giri giusti per sentire di queste cose.
Anche lì, che doveva fare?! Già aveva preso la tessera del PCI. Già era stato sottoposto agli “interrogatori” di quelli. Ora, arrivava pure una polizia. “Sa, se non ci dice nulla pensiamo che lei sia restato legato a quell’area, che faccia delle cose, che usi il PCI per copertura... ...il suo stesso partito poi pensa che...” Che doveva fare?! Si fece tirare dentro pure a fare l’informatore di polizie, di antiterrorismi, anche se non è che avesse granché da dire loro.
...Il “rivoluzionario”, il “bordighista”.