giovedì 21 ottobre 2010

mashal-009. Deportazione

mashal-009. Deportazione

by Georg Moshe Rukacs

In Canada, se chiedi asilo politico od altro all’aeroporto, appena arrivi, innanzitutto ti arrestano, si trattengono il tuo passaporto, emettono un ordine di partenza (che diviene poi ordine di deportazione se non vai dove loro pretendono), ed informano la compagnia aerea con cui sei arrivato che sei stato arrestato “pending completion of immigration proceedings”.

...Originale!

Se invece entri come turista e, poi, chiedi asilo, nulla di tutto ciò. Idem se ti prendono mentre passi illegalmente la frontiera ma sei chessò del centr’America, ...in fuga dagli USA in cui soggiornavi illegalmente. In pratica, ti penalizzano se sei onesto, mentre ti favoriscono se sei disonesto. Naturalmente, se sei un criminale con costosi avvocati che possono inondarli di ricorsi per ogni loro atto, sei ancora più avvantaggiato. Ovviamente, i canadesi, tanto per ammantarsi di aureole che non hanno, raccontano che gli USA sono il paese delle libera delinquenza mentre loro sono quello della legge ed ordine. Loro se lo dicono. Impossibile a credersi. Visto, poi, che non solo organizzano la delinquenza ma la producono pure attraverso le politiche di creazione di stalking gangs per operazioni di terrorismo sociale. Essendo numerosissimi gli emigranti cui possono essere o revocate o non concesse cittadinanza e residenza permanente, i delinquenti di Stato pretendono ed i minchoni medi si sottometteno e si prestano a qualunque demenza e crimine vengano richiesti e, ovviamente, coperti da chi li pretende.

...Terrorismo di Stato, in salsa canadica!

Martedì 28 settembre 2010, alle 9:00, anzi prima, vado all’Immmigrazione, lì previamente formalmente convocato da Andy Hsu, Enforcement Assistant del Canada Border Service Agency, Pacific Region Enforcement Centre. Vado coi bagagli dato che aveva già insistito con la solita pretesa ossessiva, quanto apertamente illegale: “O compri un biblietto per l’Italia o ti arrestiamo e deportiamo.” Come già gli avevo annunciato con email, pure pubblicata sui miei siti, gli mostro la loro legge, gli mostro che ho i soldi per raggiungere un paese dove sarò automaticamente ammesso, avendo un valido passaporto italiano. Lui mi dice di andare nel corridoio e che sarò arrestato in cinque munuti.

Sono così scemi che magari sperano che fugga. Vado nel corridoio, anzi in prossimità degli ascensori dove c’è il mio bagaglio, ed aspetto. Aspetto probabilmente più di un’ora. Sì, speravano che sarei scappato. Restò lì a leggere qualcosa. Andy Hsu passa almeno una volta, in cui mi lancia una strana occhiata. Stavo pulendo gli occhiali. È l’ultima volta che lo vedo. Sperava[no] in qualcosa. Sono proprio scemi. No, anzi. Sono gentaglia così e, naturalmente, pensano che siano tutti come loro.

Mentre aspetto, scopro che una giacca (tipo a vento) o giubbotto, non di grande valore ma nuova e che avevo trovato e lavato e poi usato, che volevo usare per il viagio assieme ad un maglione, ha ben radicati nidi di bed-bugs nel cappuccio. Cerco di rimuoverli ma è impossibile. La butto via in un cestino dell’Immigrazione. Vano tenere una cosa inutile, tanto più che avrei dovuto essere arrestato di lì a pochi minuti. Ma anche mi avessero liberato, più economico andare dai preti a comprarne un’altra oppure rischiare nel caso, dopo la deportazione, avessi raggiunto climi freddi.

Compare uno che sembra Rambo da come è conciato. No, è l’uniforme di quella squadretta-“rimozioni”, come vedo poi quando io sono nelle celle poco più in là.

È Marko Balenovic, uno slavo, un altro slavo, visto che, non a caso, le stalking gangs organizzate dal CSIS&“Refugee Board” [“Semo quelli delli rifujati... ...Ve dovemo chiede’ d’organizza’ linciaggi contro uno dei nostri clienti... ...Dovere NATO-internazionalista...”: è il Canada!] erano piene pure di slavi, russi e para-russi, cui venivano garantiti vantaggi immigratori in cambio delle loro cooperazione maniacal delinquenziale con le attivita manical delinquenziali delle Polizie Segrete Canadesi (CSIS, “Immigrazione”, “Refugee Board”, nel mio caso) e NATO ed oltre. Non dev’essere un caso che vari religiosi che collaborano con le Polizie Segrete canadesi siano americani (...sennò li linciano e cacciano via, o così credono i debosciati e le debosciate che collaborano). Andy Hsu era ed è un Enforcement Assistant. Marko Balenovic era ed è un Enforcement Officer, visto che era ed è della squadretta che girava e gira per quegli uffici con giobbotto antiproiettile e pistola ben visibile. Una sceneggiata! ...per impressionare gli impressionabili.

Canadian policies [procedure]...

Lo avete visto quel froscione dell’aviazione canadese, con l’aria maschia, che venne poi arrestato, nonostante fosse stato pilota delle Regina quando visitò il Canada, per omicidi e pure maniacali. Qualche quotidiano lo ha poi pubblicato pure in foto, sempre con aria maschissima, che indossava reggiseni, rubati sembrebbe, e con gli stessi o si fotografava o si faceva fotografare. ...Canadesi... Doveva certo essere di qualche Polizia Segreta. Il materiale umanoide d’esse è di quel genere. ...Un tipico soldato!!! ...Un soldato segretissimo. Maniaco e delinquente, non devon poi essere riusciti a coprirlo. A volte succede, per crimini comuni e non di Stato. ...Potrebbe succedere ad un qualunque Marko Balenovic. Aspetti e psiche sono di quella tipologia.

Il Marko mi fa entrare in una stanza differente da quelle solitamente usate da Andy Hsu. Mi chiede di predendere pure i bagagli e di portarli lì. Penso che sia arrivato il momento dell’arresto. ...Oh, che emozione... ...Non me ne fotte un cazzo.

Bleffa. Con sorriso sornione, di chi affermi l’ovvio ad un neofita, mi ribatte che l’unico paese in cui sono autorizzato ad entrare è l’Italia. “E chi vuoi che ti accetti più, con un ordine di rimozione dal Canada?!” Mi immagino il passaporto coperto di timbri. Allora perché la loro legge dice che uno che abbia mezzi sufficienti può volontariamente raggiungere qualunque paese in cui l’entrata sia autorizzata? Lui mi dice che se l’entrata non è previamente e chiaramente autorizzata, non si può essere sicuri che l’entrata sia davvero autorizzata. La cosa mi sembra un po’ forzata ma, lì per lì, astrattamente plausibile a voler sofisticheggiare di questioni legali. Inoltre, non essendo un grande viaggiatore, né avendo mai avuto ragione di occuparmi dei dettagli amministrativi alle frontiere, mi limito a ribattere che senza passaporto, visto che lo hanno loro, non è che uno potesse far domanda per un visto preventivo. Nella mia mente ci sono i paesi della UE dove si va senza passaporto, posti dove vogliono previamente un visto e posti dove il visto viene dato alla frontiera. Dopo la certificazione della Polizia di Stato (la sua nota all’Ambasciata Canadese di Roma che continuava a chiedere che producessero qualcosa contro di me per avere una qualche base legal-formale o per neppure esaminare il mio Refugee Protection Claim, o per respingerlo con una qualche credibilità; e la Polizia di Stato li ha mandati affanculo e pure con una calunnia addizionale contro di me ordinata dai carabinieri_terroristi, che potendo io dimostrare che è una caluunia ho potuto e posso così dimostrare che ci sono centrali di produzione permanente di calunnie contro di me) che non ho precedenti penali posso pure fottermene di informazioni segrete calunniose orchestrate da Polizie Segrete dei Carbinieri ed altre. Infatti, la Polizia di Stato ha certificato, indirettamente, che non sono né ricercato né sospettato di nulla, aspetti rilevanti, secondo la legge formale canadese per poter chiedere di andare dove voglio.

Ah, prima e durante la sceneggiata, insisteva che sono una persona intelligente. Sono tecniche di sbirri quando stanno cercando di fotterti. Noto la cosa. Comunque, astrattamente, da un punto di vista scientifico, quello che diceva poteva essere, lì per lì, plausibile. Per cui, nonostante quella tecnica da sbirro furbastro e l’aria di uno che sta recitando, preferisco non assumere un atteggiamente di contrapposizione. Mi muovo cautamente.

Dunque, riaffermo, come già in precedenza, e come già pubblicizzto sui miei blog, che sono disposto a lasciare immediatemente il Canada [sono andato lì coi bagagli!] ed a mie spese, come da loro legge formale. Ma loro non vogliono. Pretendono, come da ordini CSIS-NATO, che sia obbligato ad andare in Italia. Anzi, vogliono che ci vada volontariamante. Si devono credere dei grandi geni della persuasione. Devono avermi fatto aspettare sia perché speravano che scappassi che perché dovevano aver chiesto nuovamente al loro governo centrale, alias alle polizie segrete centrali e non dovevano avere avuto ordini chiari o non dovevano essere sicuri. “Certo, l’informazione segreta è che pericolosissimo ed abbiamo l’ordine segreto di linciarlo a tutti i livelli e di obbligarlo a tornare in Italia. La Polizia italiana dice che è incensurato e che non è né ricercato, né sotto indagine, né sospettato di nulla e lui si presenta qui con bagaglio ed chiedendo di andarsene in Messico dopo averci mostrato la nostra legge e che ha i soldi per comprarsi il biglietto...” Avevano pure bisogno di predisporre un “giudice” sicuro per la conferma dell’arresto per deportazione. Un “giudice” onesto mi avrebbe rilasciato con consegna a me del mio passaporto ed autorizzazione a raggiungere qualunque Stato raggiungibile senza visto. Sarebbe stato l’unico rilascio serio, perché avrebbe evitato un eventuale rilascio con l’Immigrazione libera di ripetere il giochetto ed i giochetti. Ma lì sono chekisti, anzi peggio, anglo-canadici! Volevano comunque essere sicuri che io capitassi sotto un “giudice” al 200% ai loro ordini.

Visto che insisto, pur dicendogli che la tesi dell’autorizzazione preventiva ed esplicita potrebbe anche essere plausibile a voler sofisticheggiare, Marko Balenovic mi dice una cosa strana. Mi dice che se torno lì con l’autorizzazione all’ingresso di un consolato, lui mi dà il passaporto [dunque, se volevano, potevano dare indietro il passaporto! ...In realtà possono pure, loro dellUfficio Rimozioni, non eseguire gli ordini di “rimozione” dunque con implicita autorizzazione a rimanere in Canada come residente permanente, come tutti o molti lì sanno] per poi fare domanda per il relativo visto. Io avevo già controllato che per l’America Latina in genere non occorreva il visto, ma lo avevo interpretato come che non occorresse un visto preventivo. Mi immaginavo un visto gratuito ed automatico dato alla frontiera.

Gli chiedo l’indirizzo del consolato brasiliano. Lui vuole strappare e darmi tutta la pagina dei consolati. Gli dico che non occorre. Inutile che mi metta fare il giro. Me ne basta uno. Gli dico che torno poi subito a dirgli che m’hanno detto.

Mi da appuntamento, a voce, per venerdì 1 ottobre 2010. Spera scappi. Non sanno che fare con uno che capisce le procedure burocratiche e si conforma, pur insistendo sui suoi diritti e restando fermo su di essi.

Vado al consolato brasiliano. Dico loro che ho una richiesta stramba dall’Immigrazione. Dico che quelli vogliono una loro dichiarazione che sono autorizzato ad entrare in Brasile. Strabuzzano gli occhi. Trattano solo con canadesi od altri che necessitino di un visto. Io ho solo l’ID del Refugee Board. Non ho neppure il passaporto visto che lo ha l’Immigrazione. Mi dicono che devono sentire il Console Generale e che mi contatteranno. Torno frustrato da Marko Balenovic, con quella sua aria da frocio rambizzato, e gli riferisco, dicendogli che è improbabile che mi rispondano. Infatti, gli chiedo se vuole arrestarmi subito. Lui non ha evidentemente ordini precisi, o non li ha capiti bene. Per cui vuol rinviare. Mi dice che visto che sto conformandomi... È solo sceneggiata.

Uscito di lì, controllo. In America Latina, non c’è visto, con un paio d’eccezioni, per chi abbia passaporto italiano. Pure in altri posti, non occorre il visto. Per cui l’ingresso è automaticamente autorizzato. Mando un’email a loro delle “rimozioni” con la cartina degli Stati del mondo accedibili senza visto col passaporto italiano e confermo la mia posizione, sì che venerdì sappiano già che fare. Naturalmente, pubblico copia di tutto sui miei siti. Scrivo pure al Consolato brasiliano, spiegando il caso e dando loro il telefono degli uffici di Andy Hsu e Marko Balenovic.

In pratica, in Canada, la loro legge formale serve solo per delinquenti con costosi avvocati che possano inondarli di ricorsi. Per gli altri, soprattutto per chi onesto si veda respinte le domande o d’asilo o simili (i criminali sono arruolati nelle stalking gangs delle Polizie Segrete canadesi ed hanno dunque poi asilo od immigrazione garantiti, in un modo o nell’altro), vale la legge inventata e del menga che uno venga rispedito al paese d’origine. Anche lì, ci sono i furbi che riescono a convincere il comandante dell’aereo che sono in pericolo, che poi ritornano in Canada (sebbene non potrebbero senza aver pagato la precedente deportazione e senza l’autorizzazione scritta del Ministro competente) e, nonostante precedenti penali in precedenza giudicati gravissimi ed ostativi, vengono poi accettati come residenti permanenti dall’Ufficio Rimozioni che autonomamente decide di soprassedere alla rimozione, alias alla deportazione. ...Prodigi della “legalità” canadica!!!

Venerdì 1 ottobre 2010, come d’accordo, vado lì alle 9:00, anzi un po’ prima, e Marko m’arresta. “O vai volotariamente in Italia, o ti arrestiamo.” Andare volontariamente in Italia pregiudicherebbe, almeno moralmente, una mia richiesta di asilo altrove. Differente essere deportato ed andarsene subito, col passaporto se te lo danno o senza se non te lo danno. Con le frontiere aperte, anche se un Francia c’è Sarkozy dopo Chirac... Ma pure in altre direzioni le frontiere sono aperte.

Mi arresta. Del resto, sono andato lì col bagaglio. Solite celle del Genesis Security Group, che è la stessa ditta che gestisce le celle dell’aeroporto ed i trasporti. Le celle lì sono attaccate all’Immigrazione. Per cui, uno viene passato dall’Immigrazione agli agenti della Genesis. Solito traffico di arrestati e di liberati. Quella è un’area di transito per chi abbia a che fare col personale dell’Immigrazione, “giudici” inclusi. Nel pomeriggio viene a dirmi che mi deportano a Taipei dato che son venuto da lì. Originale. Magari mi dessero il passaporto a Taipei, penso. Non è comunque il caso di far domande.

Evidentemente, le deportazioni, o parte di esse, sono a carico delle stesse compagnie aeree. Infatti, Marko Balenovic contatta, non immediatamente, solo il 4/10/2010 alle 17:18:56 sembrerebbe, le China Airlines.

Teresa Kwong, delle China Airlines, risponde subito, alle 18:27. La risposta è un classico esempio di idiozia ultra-xenofoba cinese. Di frequente, nelle Cine (Taiwan inclusa) m’era capitato di vedere ed udire cinesi che vedendo qualcuno che parlava con me in inglese e, sapendo o supponendo che ero di prima lingua italiana, commentava, in cinese: “Ma com’è che parli con lui in inglese se è italiano?” Idem, l’email di Teresa Kwong a Marko Balenovic: “(...) we’re unable to communicate with passenger, if he is Italian, (...).” ...Se pure chi opera sull’estero ed all’estero ha una tale ignoranza di base!

Marko Balenovic, che evidentemente era stato piuttosto confuso nella sua prima email (che infatti viene omessa nei materiali dati poi al “giudice”), e che deve implementare ordini piuttosto confusi del CSIS-NATO, precisi solo nella fissazione paranoica “deve essere obbligato a rientrare in Italia”, chiarisce subito, in una email delle 18:50:18: Taipei deve accettarlo secondo la convenzione di Chicago, dato che è di lì che è venuto in Canada; sono sicuro [e lui come fa a saperlo, se non per contatti diretti tra Polizie Segrete?!] che a Taipei vogliono che voi lo trasferiate a Roma-Fiumicino od altro luogo in Italia; il soggetto ha un passaporto valido [cazzo, prima doveva averlo omesso se l’altra aveva supposto che io fosse un generale dell’oscurità in catene!]; è correntemente detenuto e lo vogliamo rimosso al più presto; non è potete arrangiargli il viaggio VancouverBC-Toronto-RomaFiumicino per esempio con la Air Canada?

Mi portano, la sera, nelle celle della Genesis annesse all’aeroporto internazionale di Vancouver BC. Il solito. Senza nulla, appena passato dall’Immigrazione alla Genesis. Uno può avere solo pantaloni e t-shirt o camicia. Tolti persino i fazzoletti. Anche le scarpe senza stringhe, perché la punta è rigida. Deve esserci del metallo dentro, realizzo, dato che suonano ai controlli degli aeroporti. Mentre non suono, se mi tolgo pure le scarpe. Anche delle stringhe o listelle di stoffa penzolanti dalle tasche laterali dei pantaloni vengono tagliate. Leggo libri interessanti, all’aeroporto. Invece, nelle celle attaccate all’Immigrazione e durante i trasporti, uno deve restare a far nulla.

Lunedì 4 ottobre 2010, mi portano a Vancouver downtown, suppongo per il “giudice” che deve confermare o meno l’arresto. Tuttavia non si vede alcun avvocato, dunque non è per quello. Scopro il motivo quando è l’ora di chiusura, forse attorno alla 16:00. Mi chiedono chi sia l’agente m’abbia in carico. No, non c’entra nulla. Il motivo d’aver sprecato la giornata lì è che mi portano in un centro di detenzione “pubblico”, credo della provincia della British Columbia. In pratica, una prigione dello Stato locale, essendo il Canada un dominio autogovernantisi della Corona britannica ed organizzato su base federale. È dunque uno Stato federale i cui sotto Stati sono chiamati province (precisamente, 10 province e 3 territori). La prigione “pubblica” è comunque la meno distante. Altri devono farsi un 3 ore in più, soprattutto di parcheggio, visto che i trasporti dalla ed alla prigione più distante non sono diretti ma con parcheggio in quella dove sono io. Chiedo ad uno che fa il viaggio solo per recuperare i suoi vestiti ed essere rilasciato. Mi dice che è un ambiente sicuro.

Registrazione, vestizione con gli abiti delle prigione (una tuta rossa, mutande a pantaloncino, calzettoni scuri e scarpe di tela bianche), colloquio con un comandante delle guardie o simile, visita medica, e pure una psicologa credo perché chiede se uno abbia propensione al suicidio. Tutti gentilissimi. Sono divertito ma faccio l’indifferente gentile. Danno poi una confezione cena che si mette in un microonde nel reparto e si mangia. Infatti l’orario delle mensa della prigione è attorno alle 16:00, mentre la Genesis downtown non fornisce la cena dato che la dà più tardi, ad un’ora più normale della prigione pubblica, a chi sia nelle celle dell’aeroporto.

Martedì 5 ottobre 2010, mi chiamano alle 6 del mattino per andare a Vancouver. Mi avevano pure fatto raccogliere tutto, come stessi per andare via per sempre da quella prigione. Invece ritornerò la sera e dovrò richiede tutto o quel che, nella sezione, riescono a mettere assieme. Al mattino presto, danno un pacco colazione che si mangia con equilibrismi in uno stanzone affollato di detenuti in attesa di trasporto. Essendo una prigione, la maggioranza non è dell’Immigrazione ma dello Sceriffo.

La mattina, parcheggiato nelle celle attaccate all’Immigrazione, mi chiama l’avvocato d’ufficio, che viene sempre dato a tutti coloro siano senza, per le conferme o meno dell’arresto. Mi dice che gli hanno detto, o così ha capito dalle carte gli sono state date, che mi sono rifiutato di lasciare il Canada. Gli spiego come stanno le cose.

Al pomeriggio, dopo più di quattro giorni di arresto (la legge loro prescrive che non possano essere più di 48 ore, senza conferma del “giudice”), compaio davanti ad un “giudice”. Il “mio” avvocato stava parlando di soldi con quello del governo. Si sforza a salutarmi, dato che lo ho salutato. Riserverà le formalità ai paganti. Appena il “giudice” entra [sono l’unico che si alza in piedi; mi immagino i film americani... ...ma lì è il Canada!], M. Tessler, ha l’aria del segaiolo pavido e viscido. Balbetta di 48 ore. Io dico che sono 4 giorni. La legge loro prescrive che se uno ha mezzi sufficienti e ci siano paesi dove la sua ammissione sia autorizzata (con passaporto italiano, pressoché tutta l’America Latina, più gran parte d’Europa e pure altri paesi garantiscono l’ammissione senza visto, dunque automatica, “autorizzata”), uno possa scegliere e l’Immigrazione accettare la scelta. L’Immigrazione ha gli ordini del CSIS-NATO che devo essere obbligato a rientrare in Italia. L’avvocato dello Stato canadese ha l’ordine CSIS-NATO che io debba essere obbligato a rientrare in Italia. Per cui conclama che la procedura corrente è che uno sia rimandato al paese d’origine per evitare palleggiamenti, nel caso uno non fosse poi accettato dove s’è recato volontariamente; per cui farebbero ciò nello stesso interesse del soggetto (tipico argomento paranoico!), dice lui. Balle, tanto per dir qualcosa. Il “giudice”, che è poi, stile chekista, anzi anglofono, un “Member of the Immigration Division / Commissaire de la Section de l’Immigration”, arrossisce, assume un’aria confusa, dice che non sono cose di sua competenza, e che, visto che io coopero (dato che io dico che non me ne frega nulla d’essere liberato se poi non mi fanno comprare un biglietto ad esempio per il Messico, che è il luogo più prossimo senza visto, o Brasile o altro se occorra un luogo d’uscita dal Messico; sottolineo pure che gli argonenti dell’avvocato del governo sono terrorismo di Stato contro la loro stessa legge formale), ...conferma l’arresto per deportazione (o, suppongo, per partenza volontaria verso dove vogliono loro se uno, spaventato, fosse poi così fesso da comprarsi volontariamente un biglietto per dove loro vogliono vada). L’avvocato va via senza salutare nessuno, neppure me, mentre M. Tessler sta scrivendo la sentenza [il suo ordine d’arresto; prima non ne ho avuti] che viene a darmi. Ringrazio. L’avvocato del governo, che non ringrazio, tiene aperta la porta mentre esco ammanettato per riscendere al piano delle celle [il settimo; quello doveva essere forse il sedicesimo]. Mi ha portato, è restato lì e poi m’ha riportato indietro lo stesso cinese che mi accompagnerà all’aereo per la deportazione.

Succede una cosa strana quando torniamo alla prigione, 2 (io incluso) per restarci e 2 in transito per raggiungere quella più distante. Il giorno prima, i due nuovi dell’Immigrazione (almeno nel nostro trasporto) eravamo stati io ed un [credo] messicano (sentii che alla reception diceva che aveva studiato in una università messicana). Ci avevano messi nella stessa cella. In quella prigione, o sezione della prigione avevano solo celle per due credo, due solidi e stabili letti come a castello, metallici ed incastonati nel muro e con un materasso. La prima esperienza, oltre che all’aeroporto, di letti senza bed-bugs (pulci o cimici o altro? ...Non avendo mai avuto esperienze nel settore, prima del Canada, non ho idea di come si chiamino né di come si chiamino specificatamente quelli o quelle da letto).

Non avevamo conversato. Alternava qualche momento di cordialità a lunghe introversioni, come stesse parlando con sé stesso. Lo avevo colto in qualche scambio, ma breve, in spagnolo con altri detenuti, non ho idea se dell’Immigrazione o altri. Così, in pratica, c’eravamo ignorati, pur nella stessa cella. Quando, la mattina, mi avevano chiamato, avevo supposto avessero chiamato pure lui. Non avendolo poi visto... Lo avevo visto poi arrivare, cosa alquanto sospetta, a metà mattina, dunque con un trasporto speciale ed inusuale suppongo, nelle celle affianco all’Immigrazione ma non nella mia. Lo avevano fatto parlare con vari, di cui due, uno ed una, giovani, che sembravano di qualche Polizia Segreta. Ad un certo punto avevano chiamato una interprete ispanica. Avevano pure perquisito, mi sembrò senza risultato, una sua busta di carte. Al momento del ritorno alla prigione, c’era pure lui, ma in una celletta separata del furgone. Del resto quella grande era già coperta da quattro, due per la prigione più distante, io ed uno nuovo, uno della Lettonia che non avevo capito bene che ci stesse a fare. Gli avevo solo chiesto se si sentisse lettone o russo. M’aveva detto lettone.Era arrivato a Vancouver da qualche altra parte. Forse dall’Asia. Gli avevano trovato qualcosa, una carta di credito se m’ha detto bene, con nome d’altri. Lui aveva chiesto d’andarsene via subito ed aveva pure il biglietto per qualche altro posto. Non avevo chiesto. Né lui m’aveva detto granché. Ad un certo punto gli avevano chiesto, nelle celle annesse all’Immigrazione, che interprete avessero pututo trovargli. S’erano accordati per uno di lingua russa. Aveva l’aria mite, ma non significa nulla. Era restato un giorno in quella prigione poi era sparito, cosa che significa che due mattini dopo l’avevano chiamato ed era stato o rilasciato, o deportato, o mandato in luogo di detenzione differente. Altri li avevo poi reincrociati. Lui mai più.

Il messicano o, comunque latinamericano, già durante il trasporto, pure all’inizio dello stesso, di tanto in tanto, con aria ragionevole ma ferma chiedeva, ingenuamente, di discutere coi trasportanti (autista e capo-trasporto) perché non voleva raggungere quella prigione. Al momento dell’arrivo, s’era piantato, nel senso che s’era rifiutato di scendere. Per cui avevano fatto scendere noi quattro del cellone e passato il problema di lui, nella celletta tra il cellone e lo spazio autista e capo-trasporto, a quelli della prigione. Avevo visto il personale della reception calzare guanti di gomma (quelli che usano per perquisire) e dirigersi agguerriti, o forse solo un po’ scazzati, verso l’esterno, dunque per tirarlo giù dal furgone. Non ne avevo poi saputo più nulla né l’avevo più visto. Del resto, tornato inaspettato alla sezione che avevo lasciato “per sempre” la mattina, la cella non c’era più, nel senso che era stata allocata ad altri, ed ero stato messo con un vecchio coatto pancione, droga ed alcool, pieno di manie ma gentile. Chiarito che poteva fare di luce e televisione quel che voleva, non c’erano problemi. Se qualcosa gli dava noia me lo diceva ed io gli dicevo che aveva ragione. Lui era felice ed io pure. M’ero procurato qualche libro e potevo leggere, volendo, con la luce dell’illuminazione esterna che filtrava da una piccola grata coi buchi affianco al letto.

In effetti, all’esterno non sembrava un carcere. Non aveva il classico muro esterno con le guardie. Dalle finestre delle celle era impossibile passare, anche uno avesse rimosso, cosa improbabile, vetro e grata. Pure la classica “aria” non c’era. C’era un passeggio coi muri alti e coperto da una grata col cielo sopra, annesso allo stanzone comune. Anche da lì, non è che uno potesse evadere. L’organizzazione antievasioni sembrava perfetta, incorporata ad un’architettura forse non formalmente oppressiva ma, mi sembrava, perfetta per prevenire fughe. Non v’erano neppure sbarre. Vetro, grata e piccole dimensioni della fessura-luce che dava direttamente sull’esterno le rendevano inutili. Spogliati di tutto, e vestiti dal carcere, le stesse strumentazioni per mangiare erano non metalliche. V’erano delle macchine, usabili con tessera-identità&soldi (per chi ne avesse sulla stessa), per comprarsi delle mangerie (soprattutto dolciumi, se ben ricordo; non è che avessi controllato bene, non avendo intenzione di spendere nulla; credo che sulla mia tessera non ci fossero soldi non avendo io chiesto di mettercene né so se sarebbe stato possibile). V’erano pure vari telefoni sui vari piani, sebbene usabili solo da chi avesse, oltre ai soldi, ed a parte alcuni numeri gratuti e privacy-garantita (dicevano), previamente dato la propria voce ad un archivio che serviva ad identificare eventuali telefonate poi eventualmente ascoltate tra la massa delle registrate. Dovevi farti schedare la voce. Poi potevi usare il telefono se avevi soldi sulla tessera. V’era chi stava in continuazione al telefono. Saranno stati ricchi o spendoni o con interlocutori prossimissimi alla prigione. Od avranno telefonato a numeri gratuiti... V’era una successione di fasce orarie con non lunghe chiusure e poi riaperture delle celle, e con parziali turnazioni tra due blocchi di celle, fino alla chiusura notturna. I tre pasti erano concentrati in meno di una decina d’ore. Una squadra di pulitori, pagati sul dollaro o dollaro e mezzo l’ora [al giorno, nella prigione più distante, a quel che mi disse un anziano salvadoregno delle sinistre già guerrigliere, a quel che diceva, ch’era nel trasporto a quattro, con un cinese egualmente della prigione più distante], aveva aperture più lunghe, per pulire e per curare la distribuzione dei pasti ed altro. Le celle, 30, su tre piani, terreno incluso, erano come un grande quasi cerchio costruito attorno ad una piazza coperta e coi tavoli sia per mangiare che altro, su cui le celle s’affacciavano. Una doccia per piano era coi vetri non del tutto trasparenti visibili dalla guardia [a volte pure femmina] che stava come sovrastando un grande banco in muratura con computer e cassetti con cose varie (sapone, rasoi usa e getta, etc.). Di tanto in tanto, un altoparlante sputava cose incomprensibili soprattutto dall’interno delle celle. Ogni cella aveva il vaso del gabinetto ed un piccolo lavandino, entrambi d’acciaio inox. Il tutto robustissimo, senza pezzi rimuovibili e continuamente controllato per verificare che funzionasse e che non vi fossero ostruzioni. Idem, le celle di Genesis. Anzi, quelle di Genesis dell’aeroporto permettevano di leggere pure con la luce spenta, dato che la porta aveva un vetro più grande e fuori v’era la luce sempre accesa (meglio, lì si leggeva in modo più confortevole con la luce interna spenta, dato che, in ambiente del tutto senza fineste, tendeva ad offendere gli occhi). Per cui anche uno avesse avuto un compagno di cella e lo stesso avesse voluto la luce spenta... Nelle celle doppie di Genesis all’eroporto non c’era la televisione, che invece v’era nell’area comune aperta dalle 6:00 alle 23:00. V’era in dei celloni. Nelle celle affianco all’Immigrazione non v’erano del tutto televisori. Erano celle di transito diurno. Credo che nell’edificio dell’Immigrazione vi fossero pure delle celle di Genesis al piano terreno (così mi disse qualcuno), ma in genere non usate. Saranno servite per delle emergenze, se v’erano davvero.

Io non lo so, dato che sono in detenzione (amministrativa per deportazione) e certo nessuno mi dice nulla, né io faccio [inutili] domande...

...Mercoledi 6 ottobre 2010, confermano il viaggio, per deportato non accompagnato, per sabato 9 ottobre 2010. Partenza il 9 ottobre alle 1:55 dall’YVR-Vancouver. Arrivo a TPE-Taipei alle 6:05 del 10 ottobre. Partenza da TPE-Taipei alle 8:15 con scalo a Nuova Dheli e, poi, con lo stesso aereo, a FCO-Fiumicino alle 18:40 di domenica 10 ottobre.

Una trentina di ore di viaggio, incluse le due brevi soste. A Taipei, c’era una wireless gratuita vicino al banco delle China Airlines dove mi hanno fatto aspettare. A Nuova Dheli, invece, ho aspettato, vigilato da uno dell’Immigrazione indiana, all’imboccatura del tunnel che conduceva all’aereo che, svuotato dei passeggeri, è stato rapidamente ripulito e poi ririempito di passeggeri e con nuovo equipaggio. Mi son comunque potuto sbarbare usando una spina dell’elettricità che era lì a pochi metri. Anche a Taipei, mentre aspettavo all’uscita dell’areo. All’arrivo a Taipei, inizialmente dissero che “a constable” sarebbe venuto a prendermi. Poi, trattandosi di deportazione non criminale, di soggetto non pericoloso e non accompagnato, una hostess mi accompagnò al banco della compagnia aerea. Del resto avevano loro il mio passaporto. Non è che avesse alcun senso cercare di andarsene.

Venerdì 8 ottobre 2010, poco prima delle 16, così salto la cena che era in corso di distribuzione, mi chiamano “per rilascio”. Lungo viaggio in furgone. È uno più grande del solito, forse. Stavolta, sono io che sono nella celletta. In quella grande ci sono delle ragazze forse del Sri Lanka. Infatti, il lungo viaggio è per portare loro, e pure un furgone che segue, non so se egualmente di femmine, in un carcere che non so. Poi viaggio lunghissimo verso l’aeroporto, saprò dopo. A volte mi sembra che il furgone giri in circolo. Si vede che l’autista non trovava la strada... o sono illusioni ottiche. Quando lascio il carcere mi dicono che è per il rilascio. Io non faccio domande. In linguaggio burocratico, rilascio può significare anche solo rilascio da quel carcere. Unico particolare, ma non decisivo, quando lascio il carcere mi viene cambiata l’uniforme. Da rossa a grigia. Tuta grigio chiaro. All’arrivo all’aereoporto, mi viene detto che è per deportazione. Solo dopo mi si dice che è verso l’l:30. M’ero già messo a letto per leggere prima di dormire e dopo doccia, poco prima della chiusura delle 23:00, dato che non avevo fatto domande sul quando, quando m’hanno chiamato per scegliere quello che volevo indossare etc.

Sabato 9 ottobre 2010, verso l’una di notte. Vestito coi miei vestiti e scarpe, ma senza nulla nelle tasche, ed ammanettato vengo portato verso l’aereo, da una guardie cinese di Genesis. Mi chiede di coprire le manette col maglione. Gli dico che non me ne frega nulla. Per cui le lascio ben visibili. Al controllo di polizia mi smanetta solo quando passo sotto il metal-detector e mi riammanetta appena passatolo. Tuttavia, mi smanetta prima d’arrivare all’imbarco. Si vede che ha più vergogna lui che io, cui appunto non ne frega nulla. All’imbarco mi dà le mie cose, soldi inclusi. Ma non il passaporto che viene dato, in busta con dei fogli, al personale dell’aereo. Già nell’area celle mi aveva chiesto cosa volessi portare a mano e cosa loro avessero dovuto consegnare al check-in che evidentemente hanno fatto loro senza di me.

Domenica sera 10 ottobre 2010, arrivo a Roma. Vengo prelevato, senza manette naturalmente, come già ero senza durante il viaggio e trasbordi, da uno della Polizia di Stato che mi accompagna al posto della PS di Fiumicino. Posto tranquillo e disteso. Controllano alcuni stranieri suppongo arrivati. Poi, altri ancora. Mi chiedono della deportazione. Dico che è a seguito di una pratica respinta con l’Immigrazione canadese. Evito di dire “asilo [politico]. Me lo dice il funzionario che evidentemente lo ha nei fogli gli sono stati consegnati. Gli dico che è un caso particolare. A lui non ne frega nulla. A me neppure, di parlarne. Mi dice che faranno i controlli quanto prima che non ci siano problemi e poi posso riavere il passaporto. Mi dice poi che quel quanto prima significa un’ora. Splendido! Intanto, uno mi chiede se mi siano mai state prese le impronte. Ad ogni modo, le riprende, sia elettroniche che con l’inchiostro se non ricordo male. Non mi ricordo precisamente se pure con l’inchiostro, o solo una. O forse no. Me le hanno riprese così tante volte, pure in quell’arresto per deportazione e poi alla prigione “pubblica” sempre in attesa di deportazione... Prima di quelle elettroniche, mi fa lavare le mani ma, appunto, non perché le avessi sporche d’inchiosti. Solo per poter prendere meglio le elettroniche.

Appunto, forse in un’ora fanno tutto. Mi ridanno il passaporto. Posso andare dove voglio. Me ne vado subito. Domenica 10 ottobre 2010 notte.

venerdì 1 ottobre 2010

mashal-008. Solitudini …diviniche

mashal-008. Solitudini …diviniche   
by Georg Moshe Rukacs

[Se volete, si parla già di questa Yvette e di questa Gabriela in mashal-006. Solitudini. Tuttavia, non mi piacciono i serial. ‘Sta volta è venuta così... Per cui, ogni “pezzo” è autosufficiente. ...Davvero autosufficiente. Nettamente staccato e senza necessarie connessioni.]


Yvette è da tempo che aveva quelle idee (idee sue ed idee funzionali ad altro cui s’accennerà, per quel che si potrà) di esercizi spirituali con l’Opus, anche se non sapeva bene come la cosa sarebbe funzionata in concreto. Non che fosse realmente cattolica, seppur formalmente sacramentata. Certe cose sono come andare a fare shopping. Uno/a vede un negozio, dei prodotti, ne è attirato/a...

Seppur battezzata, Yvette, come già parte degli ascendenti, era della FratellanzaGiudaica [nulla a che fare con l’achim di certi immigrato russi]. La FratellanzaGiudaica è una cosa che preferiamo non definire con troppa precisione, perché è una rete che sfugge alle regole mafiose delle varie chiese e congregazioni che hanno archivi che passano alle varie PolizieSegrete e ad esse accessibili ed accessi, sì che i vari sudditi dei vari Stati, nel proprio fascicolo presso la PoliziaSegreta locale, siano classificati pure per appartenenza religiosa. Sono classificati sia per quello che autodichiarano, sia per quello che dichiarano le varie chiese e congregazioni etc., sia sulla base di informazioni confidenziali d’altro genere. Se richiesti, i vari ministri, danno piena cooperazione, in genere, alle varie PolizieSegrete locali. Se non lo fanno s’apre il baratro per loro e per le loro congregazioni, comunque, in genere, abbonantemente infiltrate dalle PolizieSegrete. Con la creazione d’Israele l’ebraismo ha dei controlli almeno doppi perché, in aggiunta a quelli locali, fa capo a strutture, con archivi centrali in Israele, che controllano tutti i rabbini del mondo, tutte le relative congregazioni ed hanno naturalmente liste complete di tutta l’ebraicità planetaria, o così credono.

La FratellanzaGiudaica non è una organizzazione. Non è neppure una rete. Esiste invisibile. Le varie PolizieSegrete sanno che c’è dell’altro oltre a quello da loro raggiunto, ma la FratellanzaGiudaica proprio non possono vederla né raggiungere. Non ha neppure questo nome. Non ha nomi né etichette. I cieli inventarono delle tecniche “comunitarie” che sfuggono alla paranoia pidocchiesca ed umanoide. Siccome le burocrazie seguono logiche illogiche, o puramente apparentemente logico-formali, e strettamente paranoidi, la FratellanzaGiudaica resta ad esse esterna ed astranea, del tutto irraggiungibile. Essa è invisibile pure alle PolizieSegrete d’Israele, che pur classificano e controllano tutto l’ebraismo ufficiale.

Quelli della FratellanzaGiudaica non sono marrani. I marrani sono categoria differente, oltre al fatto che sono in genere noti. I marrani tendono ad usare nomi ebraici o simili a quelli ebraici. I marrani sono probabilmente più formalmente religiosi di quelli della FratellanzaGiudaica. Il marrano è un ufficialmente convertito che in segreto continua le tradizioni e le formalità ebraiche, preghiere incluse. Quelli della FratellanzaGiudaica sono più intimamente ebraici. Il marrano lo vuole alla fin fine lasciare intendere o trasparire che è restato ebreo, ebreo dell’ebraismo rabbinico. Quelli della FratellanzaGiudaica non ne hanno bisogno.

Quelli della FratellanzaGiudaica hanno più similarità con caraitismo. Non li chiameremo i CaraitiInvisibili perché il caraitismo è una dipartia dall’ebraismo rabbinico, mentre la FratellanzaGiudaica lo precede, poi lo vive in parallelo ma senza contatti organici, ora lo sta sopravanzando invisibile. Se sapete di Aten bene. Se non lo sapete, fa lo stesso. Qui, ne accenneremo appena.

Aten è il monoteismo perché nell’uno sta il tutto e nel tutto sta l’uno. È affermazione di individualità. È pure ricordo metaforizzato della discesa delle navicelle spaziali che vennero sulla terra per colonizzarla e dar il via al Grande Esperimento. Tale è il finto, anzi più allegorico che finto, culto del sole degli Ateniani. Sole perché tondo. Sole perché luce. Sole perché energia inestinguibile, almeno in tempi brevi. Sole perché nei cieli. No, non si pensi ai sederi dei razzi, perché le navicelle spaziali viaggiavano su altri princípi. D-o come raggi del sole è un rifiuto della sua antropoformizzazione, aspetto restato nel giudaismo. D-o è i raggi del sole proprio perché viene da altri mondi. Il sincretismo dell’atenianesimo è un guardare oltre le apparenze irrelevanti di molte cose per afferrare le verità dell’universo. L’irruzione di Aten riportata nei libri storia venne combattuta da Horemheb, della Grande Bestia, ma pure strumento di Aten per invisibilizzarsi e propagarsi in silenzio. I faraoni, o quei faraoni, sono passati, pur rimpiazzati da altri, mentre gli Ateniani sono restati e fortissimi nell’ombra luminosa. Eppoi è proprio il sole, la luce, che le tenebre cercano di estinguere, distruggere, perché il sole, con la sua semplice esistenza le ridicolizza e le nega.  

Chiameremo Ateniani quelli della FratellanzaGiudaica. Un nodo non sciolto dell’ebraismo ufficiale sono le sue radici egizio-cosmopolite. È in Egitto che esso nasce seppur con la combinazione con popolazioni semitiche dell’est lì affluite. L’Abramo della Torah si circoncide solo dopo essere stato fatto principe egizio ed aver riavuto indietro ed incinta, e fatta principessa, la moglie che aveva venduto al Faraone. La Torah abbellisce e censura la cosa. Ma nella stessa Legge orale dell’ebraismo ufficiale se ne sa ben di più di quella faccenda un po’ squallida, almeno vista così con gli occhi dell’oggi. Pure l’Islam, che pur egualmente si riconosce in Abramo, ha tramandato informazioni sulla faccenda più in armonia con la Legge orale dell’ebraismo ufficiale che con la favoletta criptica ed un po’ ingannatrice della Torah.

Molti aspetti sono naturalmente costruzioni retoriche e metaforiche. Cosa vuol dire, sia per l’ebraismo che per l’islam, riconoscersi in uno che vende la moglie al faraone, se la fa restituire incinta, ma ora lei principessa e lui principe, e come tali se ne vanno ad est, da dove erano venuti, come alti funzionari [lui funzionario, lei moglie di funzionario e gravida poi madre di un figlio del faraone]  dunque potenti e rispettati, ma non troppo, visto che Abramo viene costantemente canzonato fino al punto di non reggere più ed essere sul punto di ammazzare il figlio del faraone, senoché poi si trattiene timoroso di che potrebbe succedergli se davvero ammazza il figlio del faranone? Da canzonato a sgozzato? Ed invece vuole vivere e non solo strafucchiarsi con Sara ma pure, poi, con altre che la stessa Sara gli procura per procreare ma pure per strafucchiarcisi godurioso. Sennò come si fa a procrare?!

Ecco, che significa scegliersi una tale antitesi di santita come padre fondatore? I significati simbolici e metaforici sono complessi ma non davvero difficili. Invero, poi, l’Islam per le masse si scegli un santo (o così presentato), Maometto. Mentre l’ebraismo delle masse santifica Abramo. Eppure, se lo si guarda bene e ci si pongono domande oltre alla favorella artificiosa della Torah sullo stesso, Abramo è proprio l’opposto di un modello. Se è un modello, è un modello a non seguire. Oppure è proprio un modello da seguire. Il padre dell’ebraismo è un non ebreo che diviene ebreo in Egitto. Vende la moglie. Se la riprende con superinteressi da usura, pagati dal Faraone. La favoletta dice che dà la moglie al Faraone per paura d’essere ucciso. Ma se il Faraone era così selvaggio, perché non lo ammazza dopo, o non li ammazza entrambi, invece di riempirli di soldi, titoli e potere? Appunto. Vende la moglie o promessa moglie per interesse, non per timore. Perché, allora, uno così viene indicato come padre fondatore. Il messaggio è che di fronte alla difficoltà della vita occorre flessibilità. Il messagio è che scegliendo uno che proprio non è un gran modello di santo, non può offuscare od indebolire il monoteismo. Un tal Abramo non è la od una connessione con D-o. È solo uno che diviene gran capo tribù solo perché riesce ad arrangiarsi col faraone. Il potere è compromesso e si conquista arrangiandosi coi potenti. D-o è altro.     

Vi sono pure delle origini extra-terrestri e, non a caso, gli Ateniani hanno dei contatti con quei mondi. La Torah [anche altri testi “sacri”] è metafora di quello, d’un esperimento di colonizzazione e con periodici ritorni e riinterventi da parte di specie extraterrestri. Qui ci fermiamo su questo. Vi sono dei simbolismi che è meglio non si sappia da dove vengano e perché vengano continuati. Il campo è troppo complesso. Abbiamo solo gettato una pietruzza nell’acqua immobile.

C’è dell’altro, che “la politica” che tutto avvelena cerca di occultare. Zoroastrismo e giudaismo sono strettamente interconnessi. Persia ed Israele sono spazi culturali e religiosi simili, certo del tutto differenti dai mondi anglofoni. “Israele” significa qui lo spazio culturale, perché il regno di David e Salomone non è mai esistito. I giudei erano canaaniti nomadi in commerci con le varie città dell’area. La stessa prigionia giudaica nei centri burocratici egiziani è un’invenzione. ...Patetici certi rabbini che, come esercizio “spirituale”, ti chiedono di immaginarti quandi eri prigioniero in Egitto e poi ti chiedono di dire qualcosa su quel tempo mai esistito... Certo, ebrei raggiunsero pure le città centrali dell’Impero egizio, Impero che si estendeva fino alle aree di “Israele”. L’andarsene dalla prigionia è solo simbolo di secessione, d’affermazione independista rispetto all’Egitto di cui s’era parte, ma parte infine non voluta perché perfino accusati, ad un certo punto, d’essere lebbrosi, e dunque discriminati e sospinti via.

[Irrilevante tutto questo ai fini di “discussioni” contemporanee. Nessuno ha bisogno di giustificazioni storiche per colonizzare o non colonizzare terre. Pure troppo ardue, per la nostra comprensione, discussioni su “diritti” storici dove vi siano conflitti tra differenti Imperi e sub-Imperi. La questione sarebbe semmai che tutti avessero diritti legali ed umani, ma di questo non gliene frega nulla a nessuno, non stranamente. Tutti parlano d’altro e si scontrano per altro. Od almeno ciò è quello che viene fatto trapelare per il teatrino mediatico, da cui inevitabilmente pure la gente dei luoghi è influenzata seppur esistano più differenziazioni di percezioni e d’opinioni di quel che possa sembrare o si possa pensare.] 

Nomadi che non vogliano farsi assimilare s’inventano “il Libro” e tradizioni forti. Alias, chi si inventi “il Libro” e tradizioni forti non si fa assimilare nei millenni. Anche se poi “il Libro” contiene, talvolta o anche, inevitabili scopiazzature egizie come le regole alimentari che non hanno un vero valore simbolico. Pure la circoncisione, che tuttavia ha vari vantaggi, e pure simbolismi antropologici [la rimozione d’un’escrescenza inutile che l’evoluzione della specie ha lasciato], è copiata da usi egizi. L’ebraismo, su questo punto forse più radicale ed umanitario, rimuove la fimosi subito. L’islam, per qualche mistero del caso, tormenta il ragazzino in un’età in cui la cosa è dolorosa e lo prende pure in giro coi regali mentre lui è col cazzo dolorante per settimane ed in un’età in cui erezioni mentre le ferite dell’operazione non sono ancora del tutto rimarginate creano ulteriori pene al pene. Per quanto anche nell’islam possa essere praticata alla nascita.

Un condensato di culture e tradizioni che coprono un vasto spazio dall’Africa all’Asia, pur con dispora Europea e poi americana, e tradotte in ebraico, è ovviamente più solido di localismi spazialmente circoscritti e limitati. Se è esso stesso localismo è localismo etnico, di un’etnia dispersa e tuttavia connessissima che, pur numericamente ridottissima, copre a rete il pianeta. Il che testimonia a favore dei melting pots con una qualche stabilizzazione culturale. La cultura giudaica, pur in constante evoluzione, dunque aperta ed adattabile, ha tuttavia alcune permanenze che le danno stabilità ed invarianza simbolica ed è ancorata ad una lingua morta (l’ebraico bibblico) che essa usa come forma di indentificazione e comunicazione transcendentale. Lo stesso ebraico bibblico, nella sua invarianza, è elemento chiave di ancoraggio culturale. La Torah e a sua lettura sono la scusa per usare l’ebraico bibblico. Per esempio, quando la chiesa cattolico-romana abbandonò il latino liturgico come forma di apparente democratizzazione, di fronte alla scelta tra estendere [così com’era ormai languiva] il latino come lingua comune ed identitaria, ed, invece, lasciar perdere di fronte agli Imperi anglofoni [il britannico e l’americano] ed alla loro lingua, decise d’arrendersi. Collaborazionista, in pratica dal 1942, con gli Imperi anglofoni, dopo altri collaborazionismi precedenti con altri, fece atto di sottomissione pure cultural-formale quando abbandonò il latino in finto omaggio alle lingue locali. Il giudaismo, per quanto il rabbinume, non differentemente da altri ministi di altri culti, sia da sempre coinvolto perfino nei peggiori collaborazionismi ed opportunismi, non ha invece mai disarmato rispetto alla permanenza dell’ebraico bibblico come lingua liturgica. Gli Ateniani vanno ancora oltre in questa fermezza cultural simbolica, anche se in genere fingono di conoscere appena, o di non conoscere, l’ebraico e l’aramaico e connessi.        

Yvette, di discendenza ateniana, fu tra gli scelti della sua famiglia e dunque, fin da bimba, ricevette una formazione da parte di Ateniani. Infatti, solo taluni, di discendenza ateniana vengono scelti per perpetuare e la specie. Alcuni Ateniani di tanto in tanto, per ragioni che non diremo, rendono pubblica la loro ebraicità con coversioni formali rispetto all’ebraismo ufficiale il cui centro “cominternista” è oggi in Israele. Mentre la stragrande maggioranza degli Ateniani deve restare e resta nell’invisibilità. Non dà il proprio nome a nessun data-base dell’Impero o degli Imperi. Gli Ateniani non hanno elenchi o liste. Neppure servirebbero. Esiste una connessione telepatica tra loro migliore, più sicura e più certa, di qualunque certificazione o validazione corrente.

La formazione ateniana non serve a dare un’omogeneità. Neppure serve a dare un linguaggio comune, che è, in genere, un sistema per creare un universo del discorso, dunque una linea. La formazione ateniana è più profonda. Dà strumenti esoterici ed apre la porta per costruirsene altri ancora. Mette anche in comunicazione con altri mondi che esistono da sempre o da prima di questo piccolo pianeta perso tra miliardi, infiniti, d’altri ed altri mondi e popolazioni. Tutta la Torah, e pure altri testi, sono la rappresentazione metaforica ed allegorica d’altro. A prenderla alla lettera, potrebbe essere stata scritta solo da gente fuori di testa e creduta sola da altra gente fuori di testa. Invece, viene d’altrove. Coloro che hanno prima fabbricato oralmente, poi buttato giù, i vari testi, in tempi differenti, e pure altri [in parte trovati, in parte no, in parte perduti; degli stessi trovati, interi o frammentati, ve ne sono varie versioni; quelli che trovate stampati o nei rotoli nelle sinagone sono convenzioni; “Ecco ci mettiamo d’accordo per scegliere questo testo.” ...tra i vari possibili], attingevano da altri mondi e raccontava cose altre dalla lettera di quel che sembrerebbe raccontato. L’ossessione semitica d’evitare antropomorfizzazioni od altre immaginazioni di D-o, è proprio perché D-o è altro. Pure in divieto di parlarne e discuterne dipende da ciò. Cos’è D-o? È un qualcosa si deve comprendere da soli. Quando lo si è compreso non serve parlarne. Se non lo si è compreso, non serve egualmente parlarne. Definizioni svierebbero solamente. A volte le parole non possono rappresentare l’inrappresentabile. Il divieto di immaginarlo e di parlarne ha appunto il senso di aprire la via alla comprensione. L’immaginarlo ed il parlarne la preclude. 

Ah, una cosa che magari non c’entra nulla... Il servizio ebraico e la messa cattolica od il servizio “cristiano” [usiamo questo termine, impeciso, perché, in altre lingue, si usa “cristiano” per indicare il cristiano non cattolico (probabilmente considerando cattolici pure gli anglicani; non sono sicuro, comunque se sono considerati cattolici, pur non-romani, sarebbe scientificamente esatto secondo me; pure gli “ortodossi” sono cattolici pur non-romani, a quel che mi sovviene ora; ...non importa, qui ed ora)] sono straordinariamente simili nelle forme, ...a parte che il servizio ebraico del sabato mattina dura almeno 3 volte di più dell’oretta della messa cattolica! E solo che alle forme ed alle strutture si danno, o sembra si diano, significati formali differenti. Gli Ateniani, quando si ritrovano assieme per atti forse comparabili a quanto detto, hanno, fanno, altre cose. Messe, servizi, funzioni simulano sinergie che non si creano nei luoghi, tempi e strutture standardizzati degli stessi o delle stesse. Gli Ateniani si riuniscono solo per creare sinergie per fare altre cose. Dipende... Non esiste una riunione od un servizio standard, tra gli Ateniani. Non servirebbe. Le esteriorità, i formalismi, delle varie Chiese e congregazioni sono macchinette per far soldi e per pagare ministri del culto e chi vi ruota attorno. I templi sono costosi uffici che fanno parte della coreografia della macchinetta per far soldi. Non che i templi non servano. Possono servire come creazione artistica. Se ne possono fare di funzionali, o con parti d’essi funzionali, al riunirsi per creare sinergie. Vanno allora costruti in luoghi particolari, in modo particolare e con strutture particolari. Sebbene le sinergie le creino le persone più che i luoghi. Vi sono pure, finché esisterà la Bestia, inconvenienti vari a pubblicità e luoghi d’identificazione. Di fatto, chi edifichi templi di questi tempi, idem in genere nei secoli scorsi, non si preoccupa né s’occupa della Bestia se non per subirne i voleri. Chiese ed altri templi servono solo come scatole visibili, sale riunioni con uffici ed abitazioni ed altro annessi, perché sia i frequentatori abituali, sia quelli annuali, sia quelli saltuari, sgancino soldi. Sono imprese.   

Yvette era stata incaricata e s’era incaricata di raggiungere l’Opus e di raggiungerla attraverso “la porta” di esercizi spirituali e ritiri in Svizzera. Era stata incaricata di ciò perché aveva manifestato quelle propensioni. S’era incaricata di ciò perché le era stato detto che sarebbe servito per certe cose della FratellanzaGiudaica. Poteva, naturalmente, in qualunque momento lasciar perdere. Non che la FratellanzaGiudaica sia fatalista nel senso corrente. È piuttosto un modo di cercare e vedere D-o nelle cose come nei comportamenti, negli impegni come nei disimpegni. Nulla è indispensabile e tutto lo è. Nessuno è indispensibile e tutti lo sono. Le manifestazioni dello Spirito Cosmico sono manifestazioni di D-o. Le azioni, come i cambiamenti d’azione o l’astensione da azioni in corso, sono manifestazioni di D-o da prendere così come sono, non occasioni per criticare o colpevolizzare l’altro della FratellanzaGiudaica.  

Anche qui, usiamo questo verbo “incaricare” e derivazioni in modo del tutto improprio. Era un’altra cosa. La chiamiamo “incarico” e derivazioni per far comprendere l’idea generale, dal punto di vista delle azioni connesse. Nella FratellanzaGiudaica nessuno incarica nessuno e nessuno si fa dare incarichi. Un aspetto della FratellanzaGiudaica è essere opposta dalla Bestia ed opporsi inevitabilmente ad essa. Questo sì che è un aspetto essenziale della FratellanzaGiudaica.

La FratellanzaGiudaica non forza nessuno a far nulla e non ha una vera struttura e gestione gerarchiche. È un vero spontaneismo amorfo, invisibile ed inidenficabile che colpisce e progressivamente distrugge la Bestia. La Bestia la percepisce ma non la vede. La sente ma non la intuisce. Ne è messa a disagio e progressivamente distrutta anche quando sembra che si sia fortificando. La FratellanzaGiudaica la lascia talvolta esaltare per frantumarla e sputtanarla meglio.

Che sono gli esercizi spirituali delle varie confessioni per il popolino? 

Quelli che li organizzano dicono che sono ogni forma di esame di coscienza, di meditazione, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale, e di altre attività spirituali.

Per un Papa, più d’un secolo fa, erano un atto di militanza para-politica:
“Abbiamo sempre tenuto in grande considerazione l'abitudine agli Esercizi Spirituali (...) e non potreste certamente fare un'opera migliore per soccorrere il popolo, oggi esposto a così grandi pericoli.
“(...) Il metodo di sant'Ignazio è particolarmente adatto a prevenire le menti e i cuori dalle insidie nascoste del Modernismo (...) e a non lasciarsi ingannare dalle menzogne dei socialisti.”

No, queste cose non riguardano la FratellanzaGiudaica che ha un’altra visione. La FratellanzaGiudaica NON ha una linea, non ha dogmi. Non organizza sessioni d’Esercizi. Vi sono tuttavia una spiritualità ed una moralità che distingono gli Ateniani. Solo il contatto con D-o che illumina e riscalda, o dà fresco se v’è troppo caldo, può far capire di che si tratti. Inutile cercare di dare definizioni che non definirebbero e spiegazioni che non spiegherebbero. Si prendano, per esempio, Ivette e Gabriela. Il racconto precedente [mashal-006. Solitudini] su accadimenti che le coinvolgevano non riguardava questioni di moralità che è una dimensione dello spirito, più di come si vivono le cose che di quel che si fa. La morbosità sul sesso lo fa considerare immorale ai bigotti. Il sesso di per sé non è nulla, relativamente a queste faccende. La spiritualità e la moralità riguardano l’animo, non come altri possano giudicare azioni od accadimenti. Che non è un retrocedere dall’etica, né relativizzarla o dissolverla solipsianamente. L’individuo esiste ed è libero se esiste ed è libero in D-o. Tuttavia che assezioni del genere non divengano slogans opportunistici per imporre gerarchie che usano D-o anziché cercaro e viverlo. L’individuo è centrale nel rapporto con D-o. Quando qualcuno/a si vende come intermediario/a, D-o è per costui/ei solo uno strumento di marketing per altri fini. Linee, omogeneità, gruppi, organizzazioni, partiti, sindacati, congregazioni, comunità, Chiese, possono anche servire talvolta per i fini più diversi e non necerraiamente, a priori, immorali. Tuttavia, che c’entrano con D-o?! 

In realtà, gli esercizi spirituali, per chi li organizzi, sono un business. Vendi l’etichetta “esercizi spirituali”. La metti sulle attività più differenti e sulla loro combinazione. Crei, e questo è l’elemento chiave, un distacco rispetto all’attività quotidiana per cui l’adepto si trovi, durante gli esercizi, forzatamente separato dalla sua vita d’ogni giorno. Basta un ambiente differente. La privazione di tv, radio, telefonino, computer, quotidiani. Degli orari che sembrino dare una qualche disciplina altra. L’adepto si sente gestito come da forze altre anziché dalle solite abitudini massificate. Indipendentemente da preghiere, silenzi, riflessioni, discussioni, letture collettive, questo stacco e gestione altra del tempo è già il 90% degli esercizi spirituali. L’adepto si sente già spirituale per via di questo stacco dalla quotidianità solita. È solo autosuggestione. Preti, od altri ministri, troppo panciuti hanno lo spirito nella pancia. Se vendono esercizi spirituali è per far soldi per la propria pancia. La spiritualità che fingono di venderti è solo autosuggestione che ti crei come conseguenza dello stacco dalla quotidianità.       

Un altro degli ingredienti, piuttosto rozzo invero, è il silenzio. La vita odierna è rumorosa o supposta tale. Un contesto di silenzio, sia verbale che auditivo, sembra lanci suggestioni differenti, magiche. In realtà, è un meccanismo primitivo proprio perché il silenzio è una dimensione personale che si può raggiungere in qualunque contesto. Molti, lo sentono, sentono il silenzio, quando siano altri ad imporlo, per cui la via del silenzio è poi la via di scegliere di farselo imporre. Basterebbe crearselo da solo. Smettere di sentire. Smettere di produrre rumori. Guardate per esempio tutti quelli che s’alterano o sghignazzano non so bene per quale ragione appena suona un telefonino che disturba, interrompe, o sembra disturbi, interrompa. Perché uno squillo od una musichetta di telefonino dovrebbe mai essere percepita come interrompente e/o disturbante. Appunto, è una questione di percezione, di scelta percettiva. Si pensa che soggetti con tale percezioni o scelte percettive possano poi crearsi una dimensione di silenzio? Non se la creano né dove vi siano rumori, né dove non vi siano.  

Naftali era uno di coloro che, come Fratelli Viaggianti, coprivano la zona di Rio per la FratellanzaGiudaica. Pure qui, termine improprio questo “coprire”. Usiamo l’ovvio, ma si tratta, anche qui, di cose del tutto differenti. Naftali aveva poteri particolari, di fatto superiori ad altri, per cui era richiesto. Era un Fratello Viaggiante di fatto, sia perché per professione poteva e doveva spostarsi, sia perché richiesto per i suoi poteri per cui si spostava.

La FratellanzaGiudaica in genere praticava la circoncisione, ed una cosa simile per le femmine, in contemporanea con qualcosa forse simile a Bar o Bat Mitzvah, generalmente entro gli otto anni d’età. Era solo per i prescelti per la FratellanzaGiudaica. A quell’età, in genere pure prima, si poteva già dire se uno ed una avessero le caratteristiche consistenti con la FratellanzaGiudaica e si poteva già essere a buon punto nelle formazione culturale dell’Ateniano che in genere iniziava verso i quattro anni d’età. All’interno delle linee familiari si praticava discriminazione, nel senso che operavano scelte. Si sceglieva. Si lasciava perdere. Eventualmente si bypassavano generazioni. La discendenza automatica e continua matrilineare non è una vera regola neppure bibblica. La Torah, quando elenca le discendenze, cita i padri più che le madri. V’è però la favoletta d’origine semitica che siano le madri a trasmettere la discendenza ebraica. Alla favoletta materna si contrappone una Torah maschilista sul punto. In realtà, la confusione sul punto fu un modo per dire che né lo sperma né l’ovulo hanno poteri magici nella trasmissione della spiritualità. L’Isacco della Torah era figlio d’Abramo però era in realtà figlio del faraone. Era ebreo perché figlio di Sara o perché figlio naturale del faraone o perché era come adottato da Abramo? Oppure perché la Torah lo vende come ebreo? Un rabbino che se la faccia coi nazisti o con le polizie segrete da pogrom, linciaggio, tortura ed assassinio è ebreo perché di madre ebraica? Un antisemita attivo è ebreo perché di madre ebraica? Secondo la legge del ritorno, sì. Certo, se fai una legge devi individuare un qualche criterio certo. È un po’ come fare una legge che una certa cosa spetti, oppure non spetti, a chi abbia nove dita nelle due mani. C’è una regola certa [definendo pure cosa sia un dito, perché potrebbe esserci qualcuno senza una o due falangi a dito o già-dito] e v’è un beneficio od un maleficio associato.    

La FratellanzaGiudaica non seguiva quel criterio. Non lo seguiva e non agiva a quel modo. Non agiva in nessun modo, non essendo nulla cui si potrebbe pensare secondo i criteri correnti. Del resto, il sistema della comunicazione e validazione telepatiche permetteva d’afferrare lo spirito dell’altro, che è un criterio più certo che frugare nella vita della madre e nel DNA per scoprire da che area e che tempi uno possa venire.

Naftali era richesto sia da Ivette che da Gabriela, tra i “nostri” noti. L’unico nome che abbiamo fatto era un altro, che non c’entrava nulla con la FratellanzaGiudaica, né con altri giudaismi. Sia Ivette che Gabriela ne avevano bisogno essenzialmente per motivi esoterici, almeno come base. Si fermava pure a dormire sia dall’una che dall’altra quando era a Rio e non aveva altri inviti con possibilità d’alloggio. Non è che tutti, e neppure la maggioranza dai suoi numerosissimi assistiti, fossero ricchissimi o disponessero di grandi spazi. Anzi. E ve n’erano pure di poverissimi, pure della FratellanzaGiudaica. In genere, preveriva dormire da Ivette. Quando era costretto ad alloggiare da Gabriela, capitava pure dell’altro che non diremo qui e che lui razionalmente non è che gradisse troppo per quanto poi, in fondo in fondo, non è che fosse fonte di sofferenza.

Non che Yvette e Gabriela fossero amiche d’infanzia. Forse neppur erano amiche. Così differenti e neppure complementari. È che s’erano incontrate alla Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (PUC-Rio). Avevano frequentato alcuni corsi in comune, seppur di facoltà differenti. S’erano trovate a scambiarsi delle informazioni e degli appunti, che ora l’una aveva e l’altra no. Ecco la loro unica casuale ed occasionale complementarietà d’università. S’era poi ancora incrociate, pur vivendo vite differenti. È pure casuale che fossero entrambe della FratellanzaGiudaica ed in contatto con quel “fratello” viaggiante.   

Yvette era entrata in contatto con l’Opus Dei quando ancora era all’università. Non aveva però mai dato loro neppure un soldo. Aveva sempre e solo partecipato ad attività pubbliche e pure a qualcuna meno pubblica ma senza obbligo di pagamento. Quando le era stato buttato lì di offerte, era restata indifferente. Parlando con qualcuno, aveva lasciato intendere d’essere in ristrettezze di liquido seppur ricca e pure lasciato capire che appena fosse stata in condizione le sarebbe davvero piaciuto contribuire in modo sostanzioso ad un sì grande progetto. Tuttavia, non aveva mai dato nulla egualmente.

Quando era venuta fuori quella cosa degli esercizi spirituali con l’Opus, era venuta fuori parlando con Naftali. Era dopo una sessione mediatica. Naftali gli aveva suggerito di andare direttamente in Svizzera e lì...: “Vai negli uffici di Monsignor Peter Rutz, un matematico, un filosofo ed un teologo bibblico, ...un aristocratico che aveva deciso di farsi prete e che è ora divenuto Vicario dell’Opus Dei per la Svizzera. Gli dici che ti sei stabilita lì per qualche tempo. Lo contatti per email. Sono un piccolo gruppo lì, un duecento. Appena riceve la tua email vedrai che sarà ben felice di incontrarti.

Così aveva fatto. Incontratolo, lui le aveva un po’ parlato del più e del meno dell’Opus e se avesse mai pensato di dedicare la sua vita a Dio con voto di castità, obbedienza e povertà. Lei aveva detto che era proprio quello che voleva. Le aveva pure chiesto se fosse interessata subito ad entrare come aggregata in una piccola comunità-alloggio di aggregate dove c’erano pure talune numerarie dell’Opus per assistenza spirituale. Lei aveva risposto che non aspettava di meglio.

Nella comunità di aggregate l’avevano coltivata. Infatti, quelle già numerarie dell’Opus avevano finalità di reclutamento più stretto. Le avevano subito detto, ancor prima di farla entrare nella comunità-alloggio e come pre-condizione per accettarla che c’era un contratto, un contratto che in pratica è un mettere per iscritto un processo formativo-spirituale. Le avevano detto che era importantissimo un contratto scritto, seppur breve, con alcuni punti essenziali ruotanti attorno a castità, povertà personale ed obbedienza più alcuni doveri di preghiera e di sofferenza delle carni per esaltare lo spirito. Lo sottoscrisse, con la mano sinistra sebbene lei fosse destra, e tracciando un rapido scarabocchio che nessuno avrebbe mai potuto riconoscere come suo. Era proprio per quello che, il giorno del contratto, s’era presentata con la mano destra fasciata dicendo che stava riprendensosi da una slogatura. Naturalmente doveva pagare il fitto ed il vitto, visto che aggregati ed aggregate hanno richiesta di castità ma possono vivere per conto loro. Sono i soprannumerari che sono in genere sposati. Mentre i numerari sono a carico dell’Opus.

Avevano iniziato col confessore fisso. Lei disse al confessore che era vergine e che aveva sempre pensato di dedicare la sua vita a Dio. Lui era un po’ stupito. Cominciò come ad eccitarsi, a divenire tutto rosso, a sudare. Voleva sapere, seppure si comportasse seriamente, a parte quelle visibili alterazioni non controllabili. Le chiese, insomma, se non provasse desideri. Lei disse che certo provava dei vaghi desideri ma che, non essendo mai caduta in tentazione né con altri né con se stessa, non sapeva come sarebbe stato. E che, siccome la mamma le aveva sempre detto di evitare sporcaccionate, lei provava un’intima felicità nella purezza. Disse pure che praticava yoga avanzato proprio per liberarsi da ogni tentazione.

Lì per lì il confessore non le disse nulla, sulla questione dello yoga. La confessione finì con la raccomandazione di alcune preghiere per rafforzare la fede e l’invito a continuare a confessarsi periodicamente anche se non avesse avuto alcun peccato da riferire perché la confessione è un sacramento e come tutti i sacramenti contribuisce alla sacralità anche non ci fosse nulla da cui essere assolti. Eppoi qualche peccato veniale c’è sempre. Se pensiamo d’essere del tutto senza peccato cadiamo nella presunzione e nell’arroganza. Questo le disse il confessore.

Le fu poi detto, da altre, che lo yoga non è che sia condannato ma che non viene ben visto proprio perché deriva da altre culture. Le fu detto che i desideri sono una prova per combattere il demonio. E che Gesù ti tiene libera dal peccato verso cui i desideri ti spingono, se tu gli offri la tua sofferenza col cilicio. Dunque la sofferenza corporale costante per evitare il peccato. In pratica, ti punisci perché vorresti peccare e ti punisci per evitare di peccare.

Yvette aveva detto che avevano ragione, che si era sempre un po’ sentita in colpa per quello yoga che praticava da sola e che in chiesa non aveva mai visto né sentito pubblicizzare, e che avrebbe confessato quel suo peccato quanto prima. Insomma, ti volevano tentata, peccatrice e masochista da cilicio. Yvette si mise delle cose per fare in modo che il cilicio le lasciasse dei segni ma senza farle male. Aveva infatti notato che, con scuse varie, cercavano di vedere se portasse delle tracce del cilicio, cioè se lo indossasse veramente e sì da soffrirne. Aveva tranquillamente continuato a praticare yoga a letto, mentre fingeva di dormire, sì che nessuno potesse vederla. Oppure simulandolo dietro moderati esercizi fisici e preghiere. Era un particolare yoga cabalistico, anzi una cosa pure più antica e decisamente migliore. Qui lo chiameremo solo yoga.      

Di tutto il resto, anzi proprio di tutto-tutto, delle mille cose che angariavano tanti e portavano tanti altri alla rapida pazzia variamente simulata, o pseudo-curata o non-curata, o nascosta dietro divenire carnefici, a Yvette non gliene fregava nulla. Diceva sempre di sì e faceva quel che voleva senza far vedere che faceva quel che voleva. Evitava ogni servilismo, per cui credevano veramente che obbedisse a tutto.

Aveva lasciato intendere, alle reclutatrici, che sebbene ricchissima fosse per il momento nullatenente e pure senza disposizione diretta di soldi (“pagano i miei”)... Insomma non poteva dare nulla all’Opus, “...ma, speriamo mai, quando i miei mancheranno...” Insomma, era un ottimo invesimento per l’Opus che oggi aveva una pretina e domani milioni o forse miliardi.  

Cominciò, pure, direbbero con una logora formuletta femministica, a “riappropriarsi della propria sessualità”...  

Intanto, siccome sembrava così malleabile, le proposero di divenire numeraria. Doveva cambiare Casa. Sarebbe passata a carico dell’Opus per cui neppure doveva più pagare alloggio e vitto, cosa di cui non gliene fregava nulla dato che era ricca sfondata. Erano così pochi in Svizzera, che erano ansioni di espandersi, per quanto all’Opus interessasse più il potere che il numero formale dei proseliti ufficiali. Lei aveva fatto l’Università. Era di famiglia ricchissima per quanto, nonostante avessero chiesto informazioni in Brasile, non avessero avuto vere informazioni su chi erano o che cosa facessero, ma solo su quel che avevano quelli della famiglia di Yvette. S’erano detti che, eventualmente, chiunque fossero, avessero mai avuto l’opportunità o di mettere le mani su quei beni ed attività imprenditoriali o di recultare, con tanto di contratto, qualcuno della famiglia con le mani in pasta in affari redditizi, c’era sempre quella che, composta anche di “cooperatori” esterni, i gesuiti avevano calunniato come “Opus Nera” o “Opus Lurida”, una specie di Opus parallela ai cui cooperanti ed altri non era chiesto di rinunciare ad eventuali attività ed affari che potevano anche essere illegali ed illegalissimi. Principio dell’Opus, ma i gesuiti e gli altri ordini non è che siano differenti, è che i soldi siano sporchi o puliti a seconda della destinazione. Se dati per “opere di bene”, sono automaticamte redenti e puliti, pulitissimi.

Il confessore le aveva mandato sotto, per indagare direttamente, una numeraria anziana, una viscidissima di mezza età. Questa le provò tutte per sapere. Cercò di toccarla... etc etc. Lei, capito subito il gioco, corse dal confessore a dire che quella aveva cercata di indurla in peccato, che l’aveva toccata, che lei non vuole essere toccata da nessuno per non peccare contro Dio. Il confessore, di nuovo eccitato, tutto rosso e sudaticcio, le aveva chiesto se provasse eccitazione con donne. Lei disse di no, che anzi le faceva un po’ schifo, ad essere sincera, che una cercasse di essere troppo “amica”, che la mamma la aveva educata ad essere corretta con tutti e ad evitare qualunque eccesso di promiscuità. Il prete evidentemente telefonò subito a quella che la missione era compiuta. Infatti, quella assunse un’aria soddisfatta e gentilmente viscida, da quel momento in poi, di chi abbia avuto la conferma che Yvette era una vergine di ferro. In realtà, erano tutti un po’ insoddisfatti di non essere riusciti a trovare alcun peccato in Yvette. Sebbene all’insoddisfazione reale si sovrapponesse una soddisfazione formale, come di dovere, come se “il dovere” comandasse, ed in realtà comandava, di essere felici che Yvette fosse senza peccato. Epperò avrebbero ben preferito che fosse peccatrice, o che fosse stata peccatrice. Lei continuò a confessarsi tutte le settimane e pure più di frequente. Si inventava sempre delle cose come a dimostrare di non essere perfetta-perfetta. Raccontava, come finti peccati, che forse avrebbe dovuto pregare di più, che avrebbe dovuto mangiare di meno ed offrirne agli altri, che soffriva per i peccati del momdo, che avrebbe dovuto forse trovare l’occasione per servire i poveri sebbene fosse ottimo tutto quello che l’Opus Dei le faceva fare. Insomma, se le inventava tutte, per canzonarli, eppure con un’aria compita, sincera, da vera ingenua, proprio da bimba innocente e purissima.

La avevano passata a fare del lavoro d’ufficio. In aggiunta la avevano mandata pure, alcune mezze giornate la settimana, a cooperare in attività varie in una scuola cattolica non proprio dell’Opus ma in cui un prete dell’Opus aveva comunque delle connessioni e degli interessi.   

Chi faccia parte dell’Opus è controllatissimo, per quanto il controllo totale non possa mai esistere se uno/a lo sappia eludere. Uomini e donne non si incontrano mai. Nell’Opus vi sono uomini e vi sono donne, ma rigidamente separati. Appunto, non si incontrano mai. Gli unici maschi dell’Opus che le donne vedano e con cui parlino è il confessore. Ognuno spia tutti gli altri ed ha i dovere di riportare tutto. Per quanto, poi sia il confessore che, o durante la confessione o fuori confessione, chieda o genericamente o specificatamente di altri/e. Naturalmente, nelle Case od in altre strutture, v’è una gerararchia sia formale sia di fatto, per cui v’è chi abbia più dovere di altri di spiare. Sebbene tutti abbiano il dovere di riportare qualunque cosa sospetta. Le letture devono essere autorizzate ed uno/a deve riferire ciò che intenderebbe leggere, sebbene anche lì non è che s’abbia il tempo di leggere o di  studiare da sé, perché, a meno che uno/a non debba leggere per motivi professionali e/o di studio, tutto il tempo è per l’Opus ed il tempo “libero” è per la preghiera, che è poi una scusa per riempire il tempo che non si potrebbe controllare e che potrebbe indurre l’adepto a pensare. Le camere della Casa, sia la prima che la seconda, lì in Svizzera, erano ognuna con due letti e porte senza chiave. V’era un cassetto con la chiave, per dare un senso di rispetto della privacy che in realtà non v’era. In fondo, la vera privacy è quello che non si lascia trasparire e quello che ci si tiene per sé e nessuno vede.  

Yvette si stava un po’ annoiando con quella vita troppo regolata, sebbene vi fossero pure dei vantaggi, se una li avesse saputi sfruttare. Lei li sfruttava. Intanto senza cazzo, che poi sarebbe senza quel porco e pure disgustoso per lei di Eugénio, lei s’era come femminizzata. Non che prima fosse mascolinizzata. S’era fatta più piena. Non che fosse ingrassata. È che prima era proprio ossuta. Prima, in Brasile, si dimenava quando camminava, ma era proprio ossuta. Chissà Eugénio che ci trovava. Ah, quello voleva solo un buco ed una ricchissima che si profumasse e si dimenasse quando camminava, sì che quando lui si trastullava nel buco [era tale la sfera fantastica di Eugénio!] di quella pensasse che era proprio con una su, non con quelle operaie ed impiegate cui lui saltava addosso in fabbrica. Lei, cercava, ora, di apparire asessuata e si vestiva più modesta che poteva. S’era comunque riempita e non nella pancia. Si fosse dimenata ora si sarebbe visto che non era solo una ossuta che si dava delle arie. Si sarebbe vista pure della sostanza e delle forme oltre a quel portamento da gran cavallona, cosa che proprio non era (c’era solo il portamento), quando in Brasile era magrina-magrina. L’età dello sviluppo l’aveva passata da tempo. Eppure s’era trasformata. Senza tacchi, con le scarpe più piatte che poteva trovare, camminando nel modo meno femminile che poteva e con vestiti larghi ed ordinari cercava di mascherare al massimo quelle forme che ora le erano come per prodigio venute. Evitava pure profumi. Si metteva appena del talco proprio per non puzzare o non far trasparire odori corporei.  

Un giorno le era capitata una cosa strana nelle scuola. C’era una dottoressa che controllava che ragazzini nell’età dello sviluppo, adolescenti, stessero crescendo bene e senza problemi. La avevano chiamata per assisterla. La dottoressa li aveva messi tutti in fila nudi. Saranno stati una cinquantina. Lasciando trasparire una qualche malizia, sebbene fosse poi una sua attività strettamente professionale, la dottoressa aveva soppesato, con la mano, le palle di tutti quei ragazzini per controllare che si stessero sviluppando senza problemi. V’erano cazzetti che restavano mosci, alcuni che si rizzavano, altri che restavano metà e metà. Alcuni erano circoncisi, quello che tenicamente si chiama operazione della fimosi o asportazione della fimosi. Lei, Yvette, doveva accompagnare la dottoressa e prendere delle note su dei fogli coi nominativi dei vari soggetti lì esaminati. Tra le altre cose, la dottoressa chiedeva ai circoncisi se lo erano stati alla nasciata o succesivamente e dunque a quale età. A quelli circoncisi prendeva pure la cappella, il glande, tra le dita e dava una veloce controllata alla circoncisione. Lei, Yvette scriveva e, naturalmente, pure guardava.

La cosa strana capitata ad Yvette è che a vedere tutti quei cazzetti di adolescenti aveva scoperto, almeno visivamente, un’altra concezione del cazzo che quello di Eugénio o di qualche altro porco simile. Le era venuta come una qualche eccitazione o, comunque, quella visione le si era fissata nella testa e continuava a presentarglisi dinnanzi. Continuava a comportarsi come sempre con la sua aria indifferente ed immediatamente cooperativa con tutte le richieste di quelli dell’Opus. Eppure continuava a venirgli quella visione di tutti quei cazzetti in fila e pure di tutti quei corpi. La attiravano soprattutti quelli più esili e con l’aria più schiva e timida, anche qualche occhialuto, anche qualcuno belloccio ma che non si fosse dato troppe arie e se ne fosse stato lì tranquillo e magari fosse arrossito od apparso imbarazzato se il coso gli s’era fatto duro ai toccamenti da parte delle dottoressa. La dottoressa aveva l’aria di una che se li sarebbe fatti tutti. Sembrava quasi provata alla fine dell’esame, come una che pensasse che aveva appena esaminato un gran ben di Dio senza averne potuto usufruire. Yvette aveva invece mantenuto un’aria del tutto distaccata anche quando la dottoressa la guardava ammiccando.

  La compagna di stanza di Yvette, nella Casa delle numerarie, era una che si masturbava in continuazione. La cosa doveva essere risaputa perché avevano chiesto notizie ad Yvette che aveva risposto che lei Yvette dormina sempre così di sasso che non avrebbe neppure sentito se fosse crollato il mondo, per cui onestamente non poteva né confermare né smentire. Anzi, quella ci provò, o così sembrò (poteva anche essere una cosa organizzata), con Yvette. Una volta che si stava toccando e godendo, chiamo sottovoce Yvette: “Amore, Yvette, vieni qui con me...” Yvette fece finta di non aver sentito e di star dormendo. Di tanto, in tanto la guardava ammicando e con aria lasciva, ma Yvette manteneva un’aria indifferente e distaccata come di chi non vedesse, non notasse e non sentisse. Un po’ quella doveva avere quelle propensioni, un po’ dovevano essere state sfruttate da qualcuno e spinta a “sedurre” Yvette, perché sia altre che il confessore le avevano chiesto di quella. Lei aveva detto che non sapeva, che non aveva notato, che era sempre così occupata e che quando era l’orario di dormire dormiva subito e di sasso. Sottolineò che, inoltre, lei Yvette non era disponibile a nessuna pratica peccaminosa e che di certo la sua compagna di stanza lo sapeva; comunque lei Yvette non aveva colto nessun peccato nel modo di comportarsi della compagna di stanza. Parlava, quando le chiedevano queste cose, con una tale disarmante ingenuità che nessuno osava insistere troppo. Anche se qualcuno insisteva od avesse insistito, Yvette avrebbe riproposto loro la sua ingenuità disarmante.     
   
Le era successo su dei mezzi pubblici, poi pure in altre situazioni in cui era seduta, a volte pure in ginocchio, incluso in chiesa, ora che le sue gambe, prima magrine, le si erano fatte piene. Non grasse, ma piene e sode. Si sentiva un’eccitazione clitoridea che non s’era mai sentita. In precedenza, in Brasile aveva come un bisogno psicologico di godimento fisico, ma sta di fatto che non aveva mai provato alcun orgasmo né clitorideo né vaginale. Non era mai venuta.  

Con impercettibili movimenti delle cosce e del bacino, sia da seduta che quando pregava, o sembrava pregasse, in ginocchio, si procurava orgasmi che sarebbe improrio definire masturbatori dato che non v’era alcun uso delle mani o di parti delle mani. Erano comunque auto-orgasmi dato che non v’era alcun intervento esterno. Invero, le salivano pure attraverso la gola delle espressioni sonore che lei controllava e filtrava con la respirazione, con coi espelleva inudibili da altri tali parti sonore dei suoi orgasmi. Oppure, se stava pregando, li faceva fluire combinati con le preghiere ed egualmente inudibili da altri come orgasmi; erano eventualmente udibili come parole di preghiere. Erano tradizionali ed elaboratissime tecniche cabalistiche del tutto simili, identiche, a tecniche esosteriche avanzate come le tantriche ed altre.

C’è chi si sente eccitato nelle proprie ricerche di esotismi, ad udire le parole “cabala”, “trantra”, “yoga” od altre. In realtà, sono solo etichette d’area (etnico-culturale) apposte su tecniche universali seppur tutt’altro che universalmente note ed usate. Vi sono pure molti pasticcioni che si conclamano iniziati mentre sono solo furbastri che hanno orecchiato soprattutto come fottere il prossimo. Del resto, chi vi vende corsi deve lasciarvi sempre insoddisfatti e con la certezza che nel corso successivo troverete la chiave di tutto, e così via. È così che si crea la dipendenza infinita, ...finché uno, dipendente, non si stufi o non si crei altre dipendenze. È un po’ come i libri di Tony Negri. Uno li legge pensando che alla fine avrà scoperto “il segreto”. Arriva alla fine e ...nulla. Idem nei successivi. O “il segreto” non c’è, o lui non lo sa svelare, o magari sono io che non lo capisco. Ma che importa. Meglio dedicarsi ad altro!

Yvette continuò quelle pratiche auto-erotiche pure nella sua stanza. Quando la sua compagna di camera diveniva troppo rumorosa nei suoi orgasmi masturbatori e, per paura d’essere scoperta, correva in un gabinetto abbastanza insonorizzato, sebbene qualcuna deve averla lo stesso udita e riferito. Yvette aveva ormai perfettamente appreso i tempi della sua compagna di stanza, tempi che erano pure piuttosto lunghi. Allora, sola nella stanza, Yvette, nel suo letto, si toccava il clitoride, ma pure dentro la vagina, con le dita. Ed aveva orgasmi a quel modo. Oh, finalmente, lei che fino a quella sua avventura svizzera era sempre stata così freddina! Faceva poi in modo da non lasciare segni né odori perché, con la scusa di pulire e mettere in ordine le stanza, c’era sempre chi frugava dappertutto, controllava tutto e riferiva se v’era qualcosa di sospetto.    

Invece, lei risultava così a posto, pressoché perfetta col vantaggio che ostentando sempre grande modestia, evitando pure d’andare a riferire sulle altre (cosa per cui proprio non sentiva alcuna predisposizione; anzi suadentemente negava o smorzava quando le veniva chiesto direttamente d’altre), era proprio il tipo di persona che aveva attirato l’attenzione. Le “promozioni”, in ambienti totalitari, a volte arrivano agli infamoni, a volte (magari per incarichi differenti) arrivano a chi, pur lavorando, si mostra refrattorio alle infamità ordinarie e pure a quelle straordinarie. Forse per metterla alla prova le dissero che avevano pensato a lei come coadiuvante nel settore espansione dell’Opus Dei. In pratica, avrebbe dovuto andare in una Casa per studentesse che venivano legate all’Opus come suprannumerarie e segnalare al confessore quelle che avevano certe caratteristiche che le rendevano reclutabili sia come aggregate che come numerarie od, in taluni casi, pure come cooperanti che è la categoria più distante e che comprende anche non cattolici-romani. Le avevano trovato una posizione nella Casa studentesse dell’Opus di Louvain-La-Neuve. V’erano molte studentesse d’area linguistica portoghese. È anche per quello che avevano pensato a lei. La avrebbero mandata, prima, per un corso d’alcune settimane in Spagna. Disse di sì, che era sempre felice di servire Dio e l’Opus.

Le studentesse sia arrivavano in quella Casa già tramite l’Opus che di propria iniziativa, magari perché cercavano un alloggio e per una qualche ragione chiedevano pure lì. Se non erano già, in qualche modo legate all’Opus, le si doveva legare con un qualche contratto, anche solo orale, di preghiera ed altre attività spiritual-opusdeiane. Se dicevano di no, semplicemente non le si accettava, sebbene la retta per vitto ed alloggio non fosse delle più economiche. La Casa era naturalmente solida, ampia e linda. Per persone ricche poteva pure essere economica. Per persone povere poteva non essere male, se non avessero avuto alloggi gratis dall’università e se non avessero voluto vivere in un ambiente troppo squallido e tra privazioni. Il prezzo delle retta mensile non era carissimo ma neppure dei più economici. Poteva comunque attrarre qualunque genere di pubblico non avesse alloggi gratis od a prezzi ridotti lì a Louvan-La-Neuve. Per chi non cucinasse da solo o non mangiasse solo poco ed una volta al giorno, era decisamente conveniente la sistemazione dell’Opus. V’era pure il vantaggio che l’Opus, come strumento d’integrazione, seguiva e faceva seguire da suoi altri studenti e professori, chi avesse avuto delle difficoltà nello studio.    

Yvette continuava ad avere in testa quei 50 cazzetti di quegli sbarbini. Ora che aveva goduto da sola, stava facendoci un pensiero che se le fosse capitata qualche occasione... All’interno dell’Opus neanche pensarci. Non che non avesse sentito di cose, ma è che, appunto, se ne parlavano, vuol dire che alla fine si sapeva tutto e lei proprio non poteva permetterselo, soprattutto dopo che aveva venduto e vendeva al confessore che era senza peccato e viveva senza peccato. Durante una di quelle feste a Louvain, piene di gente per le strade, le capitò la prima occasione. Anzi, se la fece capitare. La Casa era pressoché vuota. Lei s’era inventata che doveva andare a fare una cosa per l’Opus a Bruxelles e fece in modo da essere del tutto coperta, qualcuno avesse mai controllato. Per cui già prima della festa era sparita. Aveva preso il treno. Era scesa ad Ottignies. S’era del tutto cambiata, con parrucca e volto velato all’islamica, all’iraniana stretta precisamente, sì da essere del tutto irriconoscibile. S’era pure messa delle polveri profumate che non aveva mai usato da quando era nell’Opus. Aveva camuffato anche la borsa in cui aveva riposto i vecchi vestiti. L’aveva lasciata in un deposito quando era stata di ritorno a LLN, dopo non molto. Così travisata e davvero irriconoscibile s’era messa a girare, quando era cominciato il traffico di gente dappertutto. Aveva visto un ragazzetto, non doveva essere un universitario. Magrino, con l’aria timidina, ma gli sarebbe piaciuto. Era con una ma si vedeva che la cosa non marciava. Quella si guardava attorno, rideva, sbuffava. Lui nulla. Imbarazzatissimo. Dopo averli seguiti per un po’, sfruttò un momento che la folla aveva posto una qualche distanza tra lui e la ragazzina sempre più insofferente di quello zittone affianco. Lei forse aveva sfruttato lui perché i suoi la facesseo uscire. Si vedeva che non erano fratello e sorella. Lo prese per mano e decisa lo portò in direzione opposta alla ragazzetta. Dopo qualche metro, erano come in un mondo differente, con tutta quella gente a mezzo. Piccoli e grandi gruppi. Singoli. Tutto quel rumore. Musica, birra, sghignazzi. Cerchi di qualcuno che s’esibiva in buffonate da belgi e compagnia. La ragazzetta era libera ed il ragazzetto era suo. In quelle situazioni mai voltarsi. Lo aveva trascinato in direzione opposta. Non c’era bisogno di controllare se la ragazzetta lo cercasse. Si sarà voltata. Non l’avrà più visto. Sarà stata contenta d’essere libera ed abbordabile da qualcuno più sveglio di quel minchioncello (così l’avrà considerato). Avrà solo controllato che quello fosse veramente sparito e si sarà augurata di non reincontralo. Yvette aveva continuato a trascinarlo in direzione opposta e tendenzialmente fuori da tutta quella folla. Lui un po’ s’era sentito sollevato che una qualche forza esterna lo avesse trascinato via da una situazione spiacevole. Non sapeva che dire a quella. Era fatto così. Lì, in fondo, era stato preso per mano da una ragazza. In mezzo a tutta quella gente. Poi, riavutosi, le aveva chiesto:
- “Chi sei?”
Yvette prese a parlare dissimulando la sua vera voce. Era una vera attrice, quando voleva, cioè quasi sempre: 
- “Sono la tua fortuna.”
- “Sì, ma chi sei?”
- “L’angelo custode.”
- “Dai, non scherzare, chi sei?”
- “Quella non ti voleva. Tu stavi come sulle braci ardenti e non riuscivi a spiaccicare una parola. Sono venuta a salvarti.” 
- “Ora che mi hai salvato perché non mi lasci andare.”
- “Perché ora sei mio e vieni dove voglio io!”
Lui aveva cercato di dire qualcosa e di continuare a lagnarsi, ma lei non gli rispondeva.

Lo portò su all’Hocaille dove aveva la chiave di un posto d’artisti dove sapeva non esserci nessuno in quei giorni ed a quelle ore. A LLN “la sicurezza” è inesistente. La vigilanza ha da farsi delle pippe. Pensano solo a ritirare lo stipendio ed a farsi birre panini. Poi, a LLN, anche se qualcuno scopa all’aperto contro muri od in cortiletti od anfratti dei vari edifici dell’università, nessuno si scandalizza di nulla, soprattutto durante grandi feste all’aperto con consumi di birra a fiumi. Neppure la polizia è in genere presente. A meno che proprio non succeda qualcosa di grave. Ma in genere non succede mai nulla. Anche qualcuno li avesse mai sopresi... Ma non è che avesse lasciato la porta aperta.

Entrò in quel locale. Chiuse la porta. Non c’era nessuno e nessuno sarebbe arrivato. Lei era comunque non riconoscibile. C’era un divano. Era quello cui aveva pensato per quel che aveva intenzione di fare.

Lui, il ragazzetto, era come sotto shock. Lei non ammetteva d’essere contradetta e lui s’era fatto trascinare. Anzi quel contatto con quella mano femminile e quell’essere guidato lo stava eccitando, per quanto timidissimo evitasse qualunque iniziativa. Yvette lo spinse sul divano. Gli sfilò via le scarpe e le gettò lontane. Poi, gli slacciò la cintura e gli sfilò i pantaloni. Lo spogliò pure degli altri indumenti.

Il ragazzetto riuscì appena a dire:
- “Cosa mi stai facendo?”
- “Un esperimento!”

Gli bendò gli occhi con un fazzoletto soffice, ma glieli bendò abbastanza stretti. La stanza era in semi-oscurità. Yvette l’avrebbe preferita ancora più buia. Velocissima s’era tutta spogliata pure lei. Ma non del velo, né della parrucca.

Era proprio uno sbarbino. Il cazzetto gli era proprio venuto duro-duro e non era per nulla un cazzetto. Lui era un pischelletto esile. Ma quallo era proprio un bel cazzone o comunque delle dimensioni giuste. Le faceva tenerezza vederlo lì bendato, eccitato ed impacciato. Ripensò ai quei 50 cazzetti della dottoressa libidinosa. Lo prese sotto le palle. Oh, com’era tenero. Lo toccò lungo l’uccello. Pure tenerissimo. Duro ma con quella pelle sottile e flessibile. Le venne spontaneo di prendergli il glande in bocca e di succhiarglielo, ma solo per un momento. Si ricompose subito il velo che la copriva fino a sotto gli occhi e pure parte dei capelli.

- “Lo sai che sei proprio carino?”
Le si adagiò poi sopra e glielo fece scivolare dentro di lei.
Vi diremo solo che lo fecero quattro volte con lui sempre più disinibito seppur in quel modo timido che lo caratterizzava e lei che si faceva uscire gli orgasmi dalla gola senza preoccuparsi di reprimere i suoni che tanto lì non potevano raggiungere orecchie sospette.

Lo sbarbino era il classico che s’era subito innamorato da [prima] chiavata. Yvette proprio non poteva permetterselo. Dopo la quarta volta, Yvette subito si rivestì e scappò via mentre lui le diceva:
- “Ma non ci rivediamo?”
- “Devo andare ora all’aereporto e rientrare in Iran. Qui non tornerò mai più. Sei fikissimo. Vedrai che da domani tutte le ragazzette della tua scuola vorranno farsi fare da te. Sei proprio uno che ci sa fare!”
E scappò via.

Doveva cambiarsi. Ripulirsi. Rimettersi il suo talco che coprisse quei profumi di prima che comunque stavano svanendo. Quelli erano proprio i suoi giorni caldi, giusti per restare incinta, ma aveva degli anticoncezionali in un barattolino di compresse per il raffreddore.

Fece tutto e ritornò quella dell’Opus che rientrava dopo missione religiosa a Bruxelles. Doveva andare in un posto dove non c’era nessuno e di cui lei aveva ricevuto la chiave a ritirare delle cose che lei aveva già avuto modo di ritirare in precedenda. Un colpo di fortuna e pure d’organizzazione.

Successero pure altri fattacci del genere. Se li fece succedere. Continuava ad essere sempre più eccitata da quei ragazzetti. Erano tutti in età del consenso. Non erano bambini, né di fatto, né legalmente. Ma, egualmente, non è che potesse farsi scoprire da quelli dell’Opus, soprattutto dopo quello che aveva detto loro e dopo le sue confessioni da castissima. Certo, anche l’avessero mai sorpresa poteva buttare lì che era la prima volta e che l’avevano quadi violentata. Ma perché mai l’avrebbero dovuta scoprire? Cercava di essere più scialba che poteva all’Opus, mentre ancheggiava tutta in quelle sue uscite scopereccie. Il momento chiave era quello del cambio d’identità. Lì era la delicatezza dell’operazione. Ma lei era organizzatissima e scaltrissima. No, non poteva proprio succedere che la scoprissero. Già non esiste l’essere sopresi sul fatto. Sono casi rarissimi. Poi, lei che diveniva davvero un’altra e del tutto irriconoscibile. Neppure scappava quando potesse essere sospettata di avere avuto delle ore vuole. Le sue ore erano sempre piene. Di notte non usciva. Mai fece quelle scappate di notte. Tra l’altro non c’è nessuno in giro di notte, soprattutto non quelli che cercava lei che aveva bisogno di folle e di creasi situazioni come quella prima volta a LLN. Neppure il suo comportamento quotidiano o la sua apparenza quotidiana cambiò. Non aveva né nuove luminosità quotidiane, né ammicammenti, né altri subliminali impulsi a confessare. Non era neppure sdoppiamento della personalità. Era sempre lei. Sempre la stessa. Ora del tutto rinnovata e con quelle sue nuove dimensioni anche erotico-sessuali. Ma sempre lei. Pur nella disciplina dell’Opus. Disciplina che in Brasile le mancava del tutto. Quando se ne fosse stufata se ne sarebbe andata. Non è un valore la disciplina. A volte serve. A volte fa danni. A volte non si può che subire. Poteva mandarli tutti a stendere quando avesse voluto. Il contratto potevano ficcarselo dove volevano. Non si preoccupava di quei dettagli.  

Gabriela aveva pure lei parlato con Naftali. O Naftali aveva parlato con lei. Con Naftali facevano delle cose piuttosto avanzate. No, non era quello il problema di Gabriela. È che per certi suoi studi aveva bisogno di sapere che facessero i gesuiti dal punto di vista esoterico. Naftali gli rispose che secondo lui non erano molto interessati. Il cattolicesimo, e non solo, tendeva a sistemi di controllo basati su altri meccanismi. Non aveva interesse a dare poteri esoterici ai preti, né ai fedeli. Gli esorcisti erano una categoria a parte, e neppure troppo ben vista. Un giorno le disse che c’era uno che vantava interessi e poteri esoterici tantrici e simili, ma che da quel che ne avevano saputo loro era un cialtrone, nel senso che poi tirava ai soldi più che altro. Per cui la Chiesa l’aveva sia incoraggiato che tollerato solo perché non vendeva mercanzia vera, proprio perché propinava delle etichette cui non corrispondeva davvero quello che avrebbe dovuto. Inoltre, con quelle sue cose copriva pubblici che magari sarebbero andati altrove rispetto al cattolicesimo. Non che coprisse grandi masse ma mille di qua e mille di là fanno i milioni ed oltre. Se invece ne scarti mille di qua, mille di là, mille d’altrove e così via, resti poi senza nessuno. Del resto la politica degli ordini della Chiesa romana è l’internalizzazione delle eresie trasformandole in ordini e simili al suo interno. Loro avevano una qualche autonomia. La Chiesa si guadagnava perche erano comunque fette sia di religiosi che di loro seguaci restati al suo interno. Quello pseudo-tantrico era poi un gesuita. Per cui i gesuiti sono un ordine della Chiesa cattolica. Questo è un gesuita evidentemente autorizzato a dedicarsi a quel settore particolare, coprire quel pubblico, od una fetta o fettina di quel pubblico, a far soldi da quel pubblico interessato a quelle tematica al livello del Cappelletto che era, secondo Naftali, a livelli di corsetti per curiosi e di pratiche abbastanza elementari di rilassamento e meditazione. Respiri in un certo modo e stai meglio. Fai rilassamento e stai meglio. Fosse solo quello uno potrebbe farseli da solo sulla base d’un foglietto di istruzioni di poche righe. Alla gente piacciono le complicazioni, farsele condire e pagare anche profumatamente. Soprattutto, la gente s’accontenta.       

Naftali disse a Gabriela, alla fine:
- “Guarda c’è quel Cappelletto, gesuita malvisto nella stessa Chiesa perché, pur nella sua elementarietà e pasticcioneria, per molti di loro sarebbe andato troppo oltre quello che la massa dei cattolici giudica accettabile. Ad ogni modo, non è mai stato sconfessato ufficialmente. Ci sono pure in Brasile, quelli. Ma quelli che sono qui sono ancor peggio. Se li vuoi vedere con una certa completezza vai in Italia.”

Lei andò. Non disse che era per suoi studi. Disse che ne aveva sentito parlare e che da cattolica sentiva il bisogno di avere a che fare con quelle pratiche e che dato non credeva che ne fossero altri che se ne occupassero... Era così entrata nel giro dei Ricostruttori, almeno come utente, non come adepta stretta del gruppo o comunità

Fu quando era nell’Abbazia di Farneta per esercizi e meditazioni che stava gironzolando per la stessa, nonostante il rigido divieto di don Pierangelo Bertagna:
- “Facciamo una vita molto ritirata e di preghiera... Restate nelle Vostre stanze a pregare ed a riflettere, al di fuori dei tempi in comune ed agli orari per le funzioni e le preghiere sia collettive che individuali in Chiesa. Ciò è quanto di meglio possiate fare sia per Voi che per non interferire con la nostra ricerca della santità.”

Aveva un’aria così a modo e cordiale, don Pierangelo. Gentile, servizievole, ora severo ma si vedeva che era uno disponibile ed informale ad ascoltare ed aiutare chiunque. Uno alla mano. Uno di cui potersi fidare, a giudicare dall’apparenza.

Gabriela lo trovava proprio a posto. Ad essere sincera se lo sarebbe fatto. Forse, come pulsione subliminale, stava gironzolando proprio per vedere se gli capitava qualche occasione a tiro. Con un prete ci puoi sempre provare. Se ci sta, non è che poi lo vada a raccontare in giro. Se non ci sta, anche se lì per lì s’offende, è suo dovere istituzionale perdonarti per cui né lo racconta in giro né ti sbatte fuori. Gli uomini, anche se preti, sono come le donne. Magari gli metti la mano sull’uccello e lo tiri e te e si svincola e ti tira pure un ceffone. Poi, si eccita al pensiero, e la volta dopo te lo puoi fare sicura, se già non tè venuto a cercare lui.

No, Gabriela, a livello razionale non ci pensava a gettarsi su leccornie alimentari. Non aveva voglia di trovare il modo di procurarsi del cibo da mangiare di nascosto, per combattere la noia che la stava avvinghiando in quei momenti, che poi ingrassava. Ne aveva le scatole piene di quelle finte spiritualità per turisti ricchi. Aveva preferito una silente e clandestina passeggiata per quell’Abbazia così silenziosa e misteriosa. S’era portata un libretto su Sant’Agostino sì che l’avessero sorpresa poteva dire che voleva chiedere a don Pierangelo una spiegazione su un passo per lei oscuro.

La struttura era solida, le porte solide. Non è che i rumori filtrassero. Aveva sentito, come in lontananza, un vocio. S’era avvicinata. Sì, era proprio in quella stanza. Don Pierangelo stava parlando con qualcuno. Lei s’era messa alla finestra, fingendo di riflettere su un passo di quel libretto, ed appena don Pierangelo fosse comparso gli avrebbe chiesto delucidazioni su di esso. Intanto, aveva teso le orecchie. Non che si sentisse molto. Ah, stava parlando con un ragazzino. Don Pierangelo era proprio uno che ce la sapeva coi ragazzini. Li ascoltava. Parlava loro. Ce la sapeva pure coi genitori. Si fidavano di lui. Sì, si vedeva che i loro figli erano proprio in buone mani. ...Almeno da quel che lei aveva visto. Era lì da pochi giorni. Ma certe cose si intuiscono subito. C’è chi preferisce gli affari propri e magari dispensare qualche frase di cortesia alle vecchie beghine, ancor più affabile se son ricche, e poi più che una gentilezza professional pretesca non adoprare con giovani ed adulti. Altri sono invece estroversi ed empatici. Don Pierangelo era uno di questi ultimi.

- “Sssssssschiaff!!!”
“Oh, che schiocco.” Si disse, Gabriela. “Si sarà messo a giocare col ragazzino... Che forte che è Don Pierangelo.”
Poi sentì il ragazzino che piangeva.

Gabriela ci restò male. Si avvicinò alla porta. Ora poteva udire:
- “Che bastardo che sei!” Gli stava urlando il don. “Io ti volevo aiutare a crescere... ...Spiegarti... ...Come un fratello maggiore, un cugino... Sei proprio un bambino! Ora ti devo punire!”

Gabriela sentì come un corpo strattonato. Il ragazzino che piangeva e cercava quasi d’urlare, di resistere con la voce. Avvampò tutta. Non sapeva che fare. Sospinse la porta appena appena ma da porter vedere dentro. Vide che il don stava spingendo il ragazzino, mentre lo colpiva con manate, su un solido divano.
- “Non hai voluto che ti facessi divertire, cretino! ...Ora ti punisco io!” gli diceva mentre si tirava giù pantaloni e mutande e li tirava via pure al ragazzino.
Ecco gli era sopra, mentre gli tappava la bocca e glielo metteva dentro.

Gabriela fece appena a sentire dei veloci:
- “Oh, che bello, che bello!”
Poi cambiava voce:
- “Lo faccio solo per punirti, cretino!”
Di nuovo con la voce di prima:
- “Oh, che bello, che bello! ...Che schizzo benedetto che ti rifilo per cercare di redimerti...”   
...che lei, Gabriela, non ce fece più a trattenersi. Entrò nella stanza e si avvento sul don:
- “Schifoso! Porco! Ma che stai facendo!”

Il don fu colto un attimo di sorpresa. Si rizzo giusto il tempo di darle una manata che la mandò stesa a terra, rigida di paura mentre lui le urlava:
- “Troia! Che ti frapponi alla volontà divina! A cuccia che sennò, appena ho finito con lui ti rifaccio i connotati, come Davide quando accecò Golia! Troia! Troia!”

Si rigettò sul ragazzino:
- “Oh, che bello, che bello! Cheee beeeeello! Ecco che l’acqua benedetta per redimerti dal peccato sta arrivando...”
Lo tirò fuori e lo schizzò sulla schiena nuda mentre s’aiutava con la mano per continuare a strofinarsi pur ora fuori da lui ed a scaricarglisi addosso.

Il ragazzino era semi-svenuto.  
Il don andò verso Gabriela e le mise il piede con la scarpa sulla faccia ma senza premere troppo:
- “Resta lì troia, che sennò ti schiaccio la testa come dio col serpente.”

Si pulì veloce l’uccello con dei fazzolettini di carta che aveva su una scrivania e si rimise mutande e pantaloni. Poi, con fare amorevole pulì la schiena e le chiappe del ragazzino dei suoi schizzi e delle sue sgocciolature. Lo prese fra le braccia. Gli dette un bicchierino di liquore d’erbe e poi dell’aranciata:
- “Sennò, se ti sentono che hai bevuto degli alcolici...”
Poi continuò:
- “Non dire nulla nessuno, che se lo dici in famiglia sei rovinato tu e disonori loro che poi si vergognano di loro e di te. ...Mentre, invece, guarda... che non è successo nulla. Io l’ho fatto solo per scopi educativi. Lo vedrai pure tu che dopo starai meglio. ...Ah, se lo racconti in giro, vuol dire che non hai capito nulla... …Questa è alta pedagogia... ...Lo sai che abbiamo medici eccelsi... ...Se hai capito la lezione, bene! ...Sei un ragazzino intelligente... ...Se, per caso, non l’hai capita, vuol dire che hai qualche tarlo... ...Non ci vuol nulla, coi nostri medici, a farti dichiarare... ...ed a rinchiuderti... Mannò, che mi fai dire... Tu sei intelligente... ...Queste sono cose da uomini, da padre col figlio da redimere come quando Abramo ha portato Isacco sull’altare per sgozzarlo, ma poi lui ha capito... ...Ti dirò di più: queste sono tecniche padagogiche della patristica orientale segreta che hanno poi tramandato a noi...”

[[...Medici del Cappelletto sono stati e sono in effetti coinvolti in operazioni psicotico-delinquenziali delle Polizie Segrete Militari-CC. Trovate tutto nei loro archivi. Basta che il Parlamento tolga il segreto di Stato invece che essere co-promotore e complice degli stragismi di Stato e dei terrorismo di Stato, sia terrorismi classici che terrorismo sociale, che è realmente massificato e diffusissimo seppur occulto.
Il Cappelleto ha pure usato suoi medici contro altri del suo gruppo. Non contro i suoi ruffianetti e ruffianette, certamente. 
Ah, il Cappelletto si faceva curare solo da medici esterni, non dai “suoi”. Forse, perché un “santo” non si fa toccare dai suoi sottoposti? Ha un santo bisogno di curarsi? Tra l’altro proprio in un gruppo che nega qualunque funzione della medicina e che usa i suoi medici solo come business.]]

Gli dette una pacca sulle chiappe:
“Dai vai a riposarti e non pensarci più che non era per punirti ma per redimerti... ...Ne riparliamo...

Il ragazzino, senza parole, per nulla contento né dell’accaduto, né di quelle immani cazzate che gli venivano propinate come verità bibbliche, se ne andò lento.

Gabriela era ancora più esterrefatta.     

Il don la prese, nonostante non è che lei fosse leggerissima, e la sbatté su una poltrona. Poi andò a chiudere la porta ed a chiuderla a chiave. 
“Magari mi facesse il servizio...” Ecco, che balenò per un momento nella mente di Gabriela sebbene fosse mogia, depressa, a disagio per quelle spinte e quelle strattonate, e pure schifata, schifatissima, sia per quello che era successo che per il crollo dell’immagine del tutto diversa che s’era fatta del don fino a prima di quel che era successo.

Don Pierangelo s’era fatto ora formale, quasi professorale, con volce calma, calda e suadente:
“Beh, hai sentito. ...Non pretendiamo che tu capisca. Il percorso della conoscenza è lungo. Queste sono tecniche tantriche segrete. Se oggi e nel futuro avrai fede, fede non solo in Dio ma in quello che noi, suoi servi, ti diciamo, quando verrà il momento capirai... Capirai che il corpo non è importante, se non per servire Dio. Ciò che conta è l’anima. ...A me fa disgusto quello che ho dovuto fare... ...Oh, che non dobbiamo fare per servire Dio e fare la sua volontà!”

- “Ecché non t’ho visto che gli fatto il culo?!” ...Si fece coraggio Gabriela.
- “Troia stai zitta! Si vede proprio che non capisci una minchia!”

Don Pierangelo si rifece formale e suadente:
- “Siamo come missionari, medici, che talvolta devono amputare. No, qui era meno grave. Una cosa da ambulatorio della mutua. ...Il soggetto, ormai in pubertà, aveva tuttavia resistito alle tentazioni della sua età. Proprio per evitare che contaminasse la sua purezza con pratiche masturbatorie, o che addiruttura si facesse coinvolgere con scambi e promiscuità peccaminose, necessitava di provare un piacere senza colpa. ...Ecché è peccato mungere una vacca od una capra?! Ecco, è quello che secondo la patristica orientale, insegnamento tramandato per via orale, il Padre deve talvolta fare per preservare la purezza spirituale dei propri Figli, sì che crescano sani e casti...”

Gabriela capì. Lui evitò di dirle che non solo faceva seghe ai ragazzini che l’allupavano, ma glielo prendeva anche in bocca per non sprecare il loro sperma. Poi, quelli che più lo sconvolgevano per qualche loro tratto od attitudine femminea, cervava di prenderli come fossero state ragazzine. No, con le femmine non gli tirava. In quei casi, gli tirava far coi maschietti quello che i maschi fan di solito con le femmine.

Gabiela capì. Capì che quello non ci stava co’ ‘a capa e che era meglio assecondarlo. A lei non poteva fare i ricatti psicologici che aveva fatto al ragazzino. Magari gli veniva un raptus e l’ammazzava, visto che lei ora era una testimone.

Si fece dipomatica:
- “In effetti, il ragazzino sembrava che stesse capendo quando se ne è andato. ...Se ha capito lui, devo capire pure io. ...In effetti, le tecniche pedagogiche sofisticate non è che siano di comprensione immediata. ...Non sono cose da romanzetto per il popolino.”

Sebbene lui non fosse troppo convinto, la raggiunse con suadente:
- “Vedo che l’essere stato un po’ rude non è stato inutile...”

Gabriela pensava solo di uscire quanto prima da quella stanza e dal qual posto.

Lo ringraziò, mentre si beveva anche lei un bicchierino che s’era servita ed uscì. Neppure andò nella sua stanza. Del resto, neppure aveva grandi cose, per cui non è che si lasciasse alle spalle grandi valori. Uscire qual posto, da quell’abbazia, da quel paese, da quella provincia. 

S’era subito data da fare per localizzare “padre” Cappelletto. 
  
Il Bertagna non era nuovo a quelle pratiche. Entrato in seminario, ad Arezzo, a 35 anni, anche quando razzolava tra compagnuzzi e viviluzionari, tirava a farsi ed a farsi fare da ragazzini che variamente trovava o rimorchiava. Gli anni passavano... ...Sui quarant’anni quando fu ordinato prete, nel 2000. ...Sui 50, nel 2010.

Negli anni ’90, visto che di vivoluzioni non ce n’erano state e che lui non sapeva che fare, s’era detto che quella di prete era un ottima carriera. Un posto più sicuro che un impiego pubblico, soldi che ti possono arrivare pure a palate se ti sai dar fare, senza che, come prete, nessuno t’accusi di corruzione come potrebbe invece succedere in posti tradizionali. Inoltre, i preti sono in contatto coi giovani. “Qualche pischello che voglia farsi fare lo trovo sempre, tra la massa dei ragazzini che ronzano attorno a qualunque istituzione religiosa. ...Come prete uno si salva sempre, se mai succedesse qualcosa” ...Ecco quel che s’era detto. 

Quando i carabinieri lo presero, si mise a piangere e confessò tutto, almeno tutte le violenze che sarebbero comunque o probabilmente venute fuori.
- “Non mi controllo... Ho come una malattia... Non riesco a trattermi... ...Già quando non ero prete... ...Poi, in seminario... ...Infine ora... ...Le ho provate tutte... ...Ho provati pure I Ricostruttori... ...Vita dura, ascetica... ...Dormivo a terra... ...Mangiavo solo verdure... ...Neppure mi tenevo in ordine, né mi lavavo per punirmi, per far sì che i ragazzini mi stessero distanti... ...Pregavo... ...Mi fustigavo... ...Mi son fatto prete per punirmi, per cambiare, redimermi... ...Eppoi, il demonio mi riassaliva... ...Sì, ero come un indemoniato, quando ricascavo in quelle cose... ...A Brescia ero ormai troppo conosciuto... ...poi i preliminari della vocazione e mi sono spostato in Toscana...”
Almeno una quarantina di vittime, ...i casi confessati. Una bella copertura: una congregazione e la tonaca.

Si portava gruppi di ragazzi a pregare nei casolari dei Ricostruttori, li sbirciava per vedere chi l’attirasse e fosse fattivibile e discreto. La confessione a carabinieri e procuratore era una scusa per il rito abbreviato con riduzione di pena e sistemi per non scontarla pur con la riduzione. Cappelleto sapeva. Già prima che il Bertagna decidesse di farsi prete, razzolava tra i Ricostruttori, si faceva ragazzini e pure di brutto, se non ci stavano con le buone. Se i genitori ne parlavano con Cappelletto, il Cappelletto faceva andare via loro e con consegna del silenzio, non il Bertagna che continuava ad occuparsi di ragazzini.   

Quando il Bertagna fu arrestato e la cosa divenne pubblica, il Cappelleto finse costrizione coi suoi:
- “Certo, ero al corrente del terribile segreto. È che mi ero attivato per redimere il nostro fratello e salvare tutti noi... Gli avevo ordinato pratiche tantriche, preghiera, ascetismo ed ero sicuro che si fosse redento... ...Siamo stati tutti ingannati... Dio ci sta mettendo alla prova per rafforzare la nostra fede... ...Eppure, no, no, noi non possiamo odiare. Dobbiamo aiutare il nostro fratello, pur caduto in peccati gravissimi, a trovar la via della salvezza... ...Dio saprà che far di lui.” 

In pubblico diceva invece di non aver mai saputo nulla. Insomma, un ingenuo ingannato, a quel che cercava di dare a bere. In realtà, un imbroglione che pensava solo a salvare la ditta.

Nessuno dei sui lobotomizzati adepti osò dirgli: “Certo, ma quei ragazzini magari sconvolti da toccamenti, ciucci dei loro giovani uccelli e pure qualche rottura di culo. ...A qualcuno sarà pur piaciuto, forse. Ma molti altri ne saranno stati pur più che turbati. Almeno qualcuno rovinato” No, il Cappelletto, e pure molti degli altri, pensavano al loro “fratello Pierangelo”. Una segreta eccitazione pervadeva un po’ tutti e tutte quando si raffiguravano il Bertagna selvaggio e sporco che assaltava ragazzini: “Avrà avuto la necessità, pover’uomo. Loro lo avranno sedotto...” E pure una consolazione: “Almeno non ha peccato con donne, che quello sì che sarebbe stato un vero peccato mortale.” Ecco quel che si dicevano, mentalmente, quelli dei Ricostruttori. Intanto il Cappelletto dava, ai vari suoi adepti, cui alla fine non ne fregava nulla di quel “caso isolato”, varie giustificazioni con aria viscida di chi dice, non dice e non può dire. L’importante era mantenere in piedi la floridissima impresa I Ricostruttori, ricettacolo di eredità e donazioni, che intecettava con la copertura di centri medici e di servizi spirituali, di chi non voleva dare e lasciare a parenti e conoscenti. Chi fingeva scandalo per qual caso divenuto pubblico era, come sempre avviene, chi aveva già lasciato il gruppo o chi era in procinto di lasciarlo. Tra gli stessi c’erano quelli che s’erano fatti convincere dal Cappelleto a non dire nulla ed a non denunciare nulla “per proteggere il figlio loro” ...ed il suo don Pierangelo. Soprattutto il Cappelletto non voleva sborsare soldi. Avesse mai ammesso che lui sapeva e fin dall’inizio, e con tutti gli immobili ed i soldi che I Ricostruttori hanno...  

Sì, Gabriela l’aveva localizzato il Cappelletto ed era corsa da lui.

È una cosa urgente e gravissima. Le devo dire tutto e subito.”
E raccontò tutto al Cappelletto.

Lui la guardava gelido. Non tradiva alcuna emozione, se non che la squadrava con sospetto. “Dove vuole andare a parare questa... ...Non che vuole soldi per star zitta?” ...stava infatti pensando. Pensava ai soldi che avrebbe potuto perdere. Pur mentre pensava ai soldi, notò che lei s’era fatta di tutti i colori a vederlo così assente e che chiaramente pensava ad altro, calcolava.

Si fece allora suadente e falso:
- “È davvero una cosa gravissima. Devo andare subito a chiedergliene conto. ...Cosa posso fare per te, sorella mia che vieni da una tale terribile esperienza?”

Le offrì una costosa crociera. No, non direttamente.
- “Guarda, proprio pochi minuti prima che tu arrivassi una nostra sorella ha dovuto riunciare ad un viaggio già pagato e m’ha regalato il biglietto. Non è che io o od altri dei nostri si possa andare in crociera solo perché il cielo ci ha fatto avere questo biglietto gratis. E non è che possiamo andare all’agenzia a farcelo rimborsare. Guarda, se ti interessa, vai alla nosta agenzia e lì ti danno tutte le informazioni ed il biglietto che c’è stato lì messo a disposizione.” 

Se l’era inventata lì per lì. Se lei avesse abboccato, avrebbe telefonato all’agenzia mentre lei la raggiungeva.

Gabriela rispose stizzita.
- “Io sono venuta qui per gli esercizi tantrici! Ed ora per fatto gravissimo che m’impedisce di continuare a stare là, a parte che c’è chi sta ben peggio di me, perché poi a me non è che sia capitato nulla di rilevante. Mentre a quel ragazzino e chissà a quanti altri...”

- “Sorella Gabriela, occorre tatto in queste cose. Sono decisioni gravi... ...Eppoi, ora c’è pure da pensare alla tua anima ché hai dovuto interrompere...”
Il Cappelletto aveva ben presente che quella aveva pagato un sacco di soldi. Era il sistema loro per sessioni per ricchi. Non chiedere nulla. Lasciare tutto a libere offerte. Chiaramente, polli e pollastre offrivano ben di più che se fosse stata una cosa a pagamento. Il Cappelletto gestiva in prima persona, anche se fingeva di delegare ad altri, tutta la parte offerte ricevute ed acquisizioni perché poi gestiva o dava indicazione di gestire polli e pollastri a seconda di quel che davano. Certo, c’erano pure quelli che non pagavano nulla. Servivano per la coreografia del “non chiediamo nulla”. Qualcuno andava bene, benissimo. Se anche solo una parte consistente avesse agito a quel moto, potevano chiudere tutti i corsi, ritiri, esercizi etc. Cappelletto voleva ampliare la ditta. “I soldi sono essenziale per fare il bene.” si diceva. “Facciamo il bene se i soldi arrivano ed aumentano. Non è che con le donazioni possiamo permetterci di sperperare, perché se sperperiamo, cioè se ci sono più uscite che entrate, od anche solo si va in pareggio di liquido, che facciamo, dismettiamo gli immobili che ci servono per ritiri ed esercizi e non certo per far liquido perché quel che abbiamo non basta? Anzi, pure gli immobili che Dio ci manda sono dei costi perché necessitano di ristrutturazioni. [[...Ristrutturazioni del tutto fuori leggi con cantieri egualmente fuorilegge nel senso che non rispettano neppure le più elementari tecniche anti-infortunistiche, oltre che ad usare fessi che lavorano gratis (...se comunque piace a loro) o solo con un baratto elementare (ricevono vitto ed alloggio)]] ...Dunque... liquido, liquido, liquido che deve entrare. La gente va fatta sentire parte d’una grande impresa e deve sentirsi pure immediamente gratificata con quello che offriamo. Sennò ci sono i soliti impazienti che si stufano. Più hanno i soldi e più son volubili. Ogni riccastro che se ne va, sono entrate perdute. ...Ci mancava pure Pierangelo che è ottimo per coltivare pollastri e pollastre che ci riempono di soldi. È solo che poi... ...È giovane... Se proprio ha uno dei suoi raptus, offrisse a Dio una sega, da confessare subito dopo, o facesse le sue porcherie a pagamento e con discrezione, sempre da confessare subito dopo, invece che far scappare qualche genitore e mettere tutti noi in pericolo se la cosa si sa...”   

- “Guarda, sorella Gabriella carissima... ...Noi ci facciamo carico con gioia delle anime dei nostri fratelli e sorelle. Ognuno di loro è speciale... Io, ora, deve subito partire per questa faccenda che non voglio che qualche nostro sacerdote, ...uno! ...un caso isolato, isolatissimo, in preda al demonio che non è certo Dio che dirige certe sue occasionali, anzi spero uniche, d’una sola volta!, azioni rovini se stesso e gli altri. ...La settimana prossima abbiamo queste sessioni di poteri medianici. Servono per meglio entrare in contatto coi misteri divini. Sono cose delicate e me ne occupo io direttamente. ...Guarda, tu vai in quella nostra casa subito. Così sei già lì quando s’inizia.”

Gabriela non disse nulla. Non si fidava nemmeno un po’ di quello che le si era all’improvviso rivelato come un inaffidabile imbroglioncello e maneggione. Voleva comunque vedere come si metteva la cosa. Inoltre, quella faccenda dei poteri medianici la incuriosiva. Con I Ricostruttori s’era sempre trovata di fronte ad una strana sensazione. Alludevano sempre a misteri, a tecniche e poteri tantrici, ai segreti dei Padri d’Oriente. Però, quando s’andava al dunque, ti proprinavano solo innocue cazzate. La coreografia era da grandi aspettative. Ma più che silenziose e distese vacanze fuori dal mondo non si facevano. “Che il Cappelletto avesse veramente dei poteri, li potesse e volesse trasmettere solo a pochi eletti e quella fosse l’occasione?”, s’era detta. ...“Attendere e vedere”...     

Gabriela, con Naftali, e pure per conto suo oppure con altri, aveva appreso delle pratiche, anche avanzate, e le usava. È che era lì per vedere quello che quelli conoscessero e quello che quelli trasmettessero, anche se non è che quelle cose siano del tutto trasmettibili. Il mito del maestro e del discepolo, coltivato in tanti campi e pure in quello, è appunto un mito cui a molti evidentemente piace credere...

È il meccanismo dell’attesa di quel che non viene mai che fa sganciare soldi ai riccastri in cerca di spiritualità. Tanto son ricchi. Si vanno poi a divertire. E, se si sono instillati loro sensi di colpa per loro ansie inappagate ed insoddisfazioni sorgenti o crescenti, tornano per comprarsi dell’altra spiritualità, in realtà solo per intervallare vite senza senso e crearsi giustificazioni per nuovi gozzovigli o grigie insensatezze. Ne sentiva certe, in confessione, pure il Cappelletto. Faceva il professionale che non giudicava, come gli avevano insegnato in seminario e poi come aveva consolidato nella lunga pratica pretesca. Però, certo che ci pensava e ripensava. Era proprio lui, loro, sapere i fatti degli altri, le loro debolezze, e gli adepti trovarsi invece di fronte a chi sembra non stupirsi di nulla e di nessuno e pure senza farti trasparire alcun giudizio e rimprovero, che dava a loro preti il dominio della psiche altrui a loro profitto. Si chiedeva come facessero dove non avevano la confessione. In realtà, dove non c’è la confessione è come ci fosse, perché il fedele s’apre con ministro come non s’aprirebbe con altri. Ed i meccanismi di dominio delle coscienze a proprio profitto funzionano egualmente. Se uno viene messo in posizione d’autorità, viene visto e vissuto come in posizione d’autorità. Basta che ostenti una serietà professionale che non comprometta il rapporto di fiducia che il sottomesso si crea rispetto all’autorità. Poco importa ciò sia vero e reale o meno.

Gabriela aveva assunto un’aria di assenso, confermata quando lui disse:
- “Allora ti faccio due righe così puoi raggiungee subito la nostra Casa per poi il corso sui poteri medianici.”
Gliele scrisse. Mise il foglio in busta che le porse. Lei la prese ed andò.

Il Cappelletto sbuffò, ma non in modo troppo manifesto, quando Gabriela uscì. Si assicurò che fosse davvero andata via e che nessuno fosse nelle vicinanze. Se chiuse a chiave. Chiamò il suo Pierangelo:
- “Sono io... Guarda, è appena andata via Gabriela. ...Non ti dico altro...”
E mise giù il telefono.

Con la Polizia Segreta Militare con sui stava collaborando per cose ancora più sporche che inculare ragazzini (“Eccheddevvoffa’?! Ho delle responsabilità per tutti i nostri. Se quelli mi chiudono tutto... ...Se m’hanno chiesto cooperazione contro quel giudeo occulto, quello se la sarà voluta. Se le Polizie Segrete Militari lo vogliono distruggere, avrà ben fatto qualcosa per meritarselo. Sennò Dio non l’avrebbe permesso. Eccheddevveffa’ un povero prete altruista in un mondo avverso?”), non poteva certo fidarsi che il telefono non fosse controllato. Del resto era il leader d’una piccola ma nutrita comunità, per cui l’avrebbero magari controllato pure senza altra ragione. “Eccheddevvoffa’ con Pierangelo?! Se di tanto in tanto mi fa perdere un pollo, per uno che se ne va altri 99 restano. Se poi succede uno scandalo, faremo a meno pure di Pierangelo che del resto se la sarà voluta se si mette nei pasticci. Intanto mi frutta, nonostante queste sue debolezze. Assistiamo tante anime. Facciamo del bene a tanta gente. Tanto ormai è la moda, per qualche mela marcia che c’è anche negli ambienti migliori, e noi siamo tra i migliori, accusarci tutti di pedofilia. Capiterà pure a noi. Se non capita è meglio. Se capita andrò a piangere dai CarabinieriSpeciali che m’hanno chiesto cooperazione. Io ho cooperato. Sto cooperando. Se succede qualcosa, andrò a chiedere che si diano daffare per aiutarmi a contenere il danno. Me l’ha detto che se ho bisogno... Uno non siamo tutti. Uno è solo uno, se si mette nei pasticci. Anzi, ...Che Pierangelo non me l’abbiano mandato loro, da para-brigatista a provocatore tra noi Ricostruttori. Fattosi pure prete per infiltrarsi meglio. Tanto ormai è qui. Se lo mando via che non cerchi di rivalersi contro di me. Se invece succede qualcosa lui, sarà poi la Chiesa regolare a prendere provvedimenti. Io lo aiuterò. Così resteremo in buoni rapporti reciproci. Eppoi, quei ragazzini... Con quest’immoralità dei giorni nostri, che non siano loro che lo provocano. ...Qualche ragazzino frocio che prima lo provoca e lui Pierangelo, poverino, perde la testa. Certo, che se i genitori li educassero a comportarsi bene, certe cose non succederebbero. Pierangelo ha altro da fare che correr dietro a frocetti.”

[[Giovanni Pannunzio, coordinatore nazionale di Telefono Antiplagio: «Mi chiedo cosa ci sia di cattolico e di cristiano in tutto ciò. Praticamente queste congreghe vengono a demolire quello che i nostri padri ci hanno insegnato ed abbiamo imparato ad amare. I Ricostruttori nella preghiera, per esempio, potrebbero essere tranquillamente chiamati "distruttori"». Insieme alla Comunità degli angeli custodi, quella dei Ricostruttori, fondata a Torino dal gesuita Gian Vittorio Cappelletto e presente in tutta Italia con ambulatori ayurvedici, casali per training ed un clero "incardinato" di sacerdoti provenienti da decine di diocesi, è la "comunità cattolica" più sospetta d'Italia. Con degli addentellati giudiziari cha hanno portato uno dei suoi adepti don Pierangelo Bertagna, ad essere sospettato di trentotto casi di pedofilia ed arrestato mentre era pastoralmente impegnato a Farneta, in Valdichiana. Sui giornali dell'aprile 2006, all'epoca dei fatti, il commento agghiacciante del successore di don Bertagna a Farneta, don Lorenzo Spezia, anche lui "ricostruttore": «un incidente».]]  

[[“Centro Studi Abusi Psicologici 10 ottobre 2007
“Frequentate un movimento, una «comunità», oppure un «cammino spirituale» con il qualificativo «cattolico»? Allora, attenzione. Vi propongono pratiche liturgiche e devozionali ripetitive e superstiziose come esorcismi e «benedizioni di guarigione»? Vi chiedono obbedienza al «fondatore»? Vi invitano al digiuno e ad altre pratiche penitenziali?
“Vi sottopongono, anche grazie all'utilizzo della confessione, a un po' di terrorismo psicologico, quel tanto che basta a farvi venire qualche senso di colpa? Vi inculcano strane teorie classiste e una buona dose di pregiudizi e maldicenze su coloro che non la pensano come il capo movimento? Vi chiedono piccoli sacrifici, soprattutto di ordine economico? Non ci sono dubbi: siete incappati in una setta.”]]

Finì lì, con Pierangelo, anche quella volta. Pure altre. Gabriela poi lo scoprì che non era vero che il Cappelletto era subito andato per parlargli e risolvere la cosa. Non v’era andato, né subito, né dopo. Il Cappelletto aveva altre cose da fare. Era partito, ma per altra destinazione. Anzi, per rimuovere e cacciare don Pierangelo non sarebbe occorso neppure andare in loco. Non è che se uno masturba, ciuccia e, talvolta, pure s’incula ragazzini, ci sia nulla da discutere, charire o redimere. Il Cappelletto già lo sapeva. Non che succedesse tutti i giorni, che assaltase violentemente [quando qualcuno ci stava, o riusciva a sottrarsi prima che succedesse qualcosa, non v’era violenza ovviamente], ma non era neppure la prima volta. ...Decine di casi... Non erano neppure raptus che venissero una volta l’anno... Quella era la vita quotidina di quel prete. Don Pierangelo aveva pure delle relazioni di quel tipo lì. È che non gli bastavano. Aveva bisogno di trovarne di nuovi. Era dunque gran pericolo per tutti tutti i Ricostruttori. Al Cappelletto andava bene così. Uno così non lo puoi mettere di guardia ai cessi d’una scuola elelentare o media e poi affiggere un comunicato: “Attenzione, don Pierangelo tira a farsi i visti ragazzini.” O lo lasci fare, o lo mandi via. Cappelletto gli aveva solo detto: “Vedi almeno di non farlo coi nostri clienti che se si sa... ...Trovati dei frocetti che ci stiano e non facciano schiamazzi, E poi, mi raccomando, confessati subito! Peccare è umano. Ci si mantiene casti con la confessione. Naturalmente, al confessore non stargli a dire i dettagli, i reati, che il segreto della confessione è segreto solo quando non contrasta con l’obbedienza e l’obbedienza vuol dire che il confessore può anche decidere di parlarne col suo vescovo e chissà pure con chi altro.”      

Del resto, il Cappelletto aveva imposto delle regole. Non si sa bene per chi. Ah, già per i polli. Castità, povertà ed obbedienza. Obbedienza a lui. Povertà per gli altri. Castità per i polli. Lui viveva in un lussuosissimo appartamento a Torino. Prodigi delle esezioni fiscali per comunità religiose e larga disponibilità di fondi esentasse. Basta che l’appartamento figuri della Comunità. I soldi che vi investi per l’arredamento sono egualmente investimenti esentasse della Comunità. Tu lo usi. Sei povero. Non hai nulla di tuo. Ma vivi nel lusso. Del resto sei il capo. Non ti fai neppure problemi a farti vedere nell’appartamento di gran lusso, tanto la cosa ti sembra normale. Puoi sempre dire che tu vivi in una stanza disadorna e che l’appartamento centrale e di gran lusso è un investimento della Comunità e per la Comunità e che tu ricevi in esso perché è come un ufficio di gran lusso che sia stato donato alla Comunità, che è per onorare chi ricevi non per confortate te: tanto il ruffianetto o la ruffianetta ti giustificano tutto, il fesso pure, mentre chi abbia aperto gli occhi t’ha già mandato affanculo anche tu dormissi in uno scantinato. Crei una comunità fondata sul disprezzo verso chi non ne fa parte. “Noi abbiamo i poteri, o almeno il capo [dice che] li ha.” È normale che diprezzi quelli che non sono il capo od i capi. Banali respirazioni profonde e rilassamenti sono davvero dei poteri?!

Gabriela andò alla Casa, in attesa del grande guru per il corso sui poteri medianici. Quando il Cappelletto arrivò era tutto pimpante. Gli affari andavano bene. Non che fosse meno freddo e scostante con tutti [i luoi lecchini dicevano: “È uno buonissimo e dolcissimo. Fa così per metterti alla prova e indurti a raffozzarti il carattere.”; ...si potrebbe dire di chiunque... Giustificazionismo, quando conviene]. Però si vedeva che dovevano essergli andate bene delle cose. Appena arrivato, lanciò qualche occhiata a Gabriela, ma non le disse nulla sulla faccenda di don Pierangelo.

Il corso per acquisire poteri medianici era la solita solfa. Meditazione mantrica, cioè con classico om od altri suoni o formulette. “Se lo fate bene potete vedere morti, santi ed angeli.” Come conferma, il Cappelletto raccontava: “Io li ho visti.” Fosse stato uno dei suoi avrebbero detti che aveva le visioni o che sentiva le voci. Siccome lo diceva lui, fingevano tutti di bersela.

Non sono cose da fare in gruppo. Non è il gruppo che ti fa acquisire poteri. Esistono tempi differenti. Non basta dire ad un gruppo: “Ora facciamo questo.” Ognuno ha i suoi orari per fare la cose. L’orario od il giorno dell’uno, non sono quelli dell’altro e degli altri. Però, se organizzi e vendi corsi, ecco che devi fingere che basta che il capo dica: “Ecco, ora fate questo. Ora fate quello.”

Dopo il corso propedeutico di meditazione mantrica, c’erano pure colloqui personali. Si comportò in modo strano con Gabriela. Ma lo faceva pure con altre. Del resto, se uno/a ne parlava coi suoi lecchini, costoro rispondevano con giustificazioni. Se ne uscivano che lo faceva perché era santo, perché era grande, che ogni sua cosa aveva alti significati che andavano compresi, che tutto era finalizzato al bene ed all’altro.

Quando Gabriela andò da lui per il colloqio personale, le disse che lei aveva un magnifico angelo custode e che lui lo stava vedendo. Di tanto in tanto urlicchiava stidulo: “Eccolo! Ora è lì! Ora è là!” Non si capisce perché ognuno o taluni debbano avere un angelo e soprattutto, se qualcuno l’ha e qualche d’un altro lo vede, non si capisce perché un angelo debba muoversi.

Un’altra passione del Cappelletto erano le preghere sia di gruppo che individuali, o in coppia, nei cimiteri. Entravano nei cimiteri di nascosto. “Se ci vedono, non capiscono e pensano male.” Qualcuno li avesse mai sopresi ed avesse chiamato qualche autorità poteva sempre dire che era un prete e che quelle erano cose altamente religiose. Eppoi, da quando era in aperta cooperazione con quell’Ufficio della Polizia Segreta Militare-CC... La gente li vedeva, in realtà, e la cosa era risaputa. Ma, appunto, era un prete e poi ricco. Se era ricco doveva essere potente. Uno che se cercavi di metterlo nei guai chiamava qualcuno al telefonino e nei guai c’eri tu. Fossero andati nei cimiteri a pregare altri, qualche caramba e procuratore in vena di carriera potevano montare un caso di satanismo. Quelle cose che prima le monti, poi ogni cosa la usi per fotterli. Se trovi ad uno un libretti sul Brasile, dici che era una banda satanica internazionale. Se ad un altro intercetti che sta dicendo alla moglie: “Che voglia che ho di te...”, tiri giù che eran una setta di maniaci sessuali. Se una al telefono dice: “Sto cucinando il pollo.”, monti che usavano bambini per omicidi satanici oppure che si procuravano cadaveri per altre porcheria. Se un’intercettazione ambientale coglie un “il bimbo è pronto”, la frase, passata ad un abile giornalista che fa parte della macchina spruzzamerda e mozzateste, viene fatta divenire un segnale convenzionale di una setta non solo satanica ma pure pedofila. ...Lo sapete come vanno queste cose! No, anzi, non lo sapete. A voi vendono poi il prodotto finito e ve le bevete tutte. Quando poi sono magari tutti assolti, vi dite che forse i giudici erano dello stesso giro satanico mai esistito ma a cui v’avevano fatto credere. Più ve ne fanno credere, più vi sentite portati a difendere i malati di mente e criminali che v’hanno truffato e che prosperano fottendo il prossimo.  

...Naturalmente, se è il Cappelletto che ha centri in Brasile e vi manda, per [non-]curarsi, presso “guaritori”, delle credulone che rientrate in Italia muoiono, quella è vitalità d’una congregazione cattolica, su cui comunque pure la Chiesa romana (la sua Inquisizione, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede) ha aperto fascicoli d’indagine. Cosa che può essere una usuale forma di pressione e di auto-giustificazione, soprattutto coi reati che sono venuti alla luce e pure con le lamentele di ex-Ricostruttori su questioni rilevanti.

Con quel suo fare ultimativo e che non ammette discussioni né dinieghi, il Cappelletto disse a Gabriela di andare con lui a pregare una certa notte in un cimitero della zona. C’era andata. Era lì per il corso... Quella era un’attività del corso.

Il buio. Il cimitero. Lui che s’era messo a saltellare. S’era messo di nuovo a vedere l’angelo custode. “Eccolo! Eccolo! È lì! È là! Ora è sparito... Ma dovè andato?” S’era messo a vedere il demonio: “Lo vedo! Ti viene vicino! Ti vuole far male.” S’era messo a toccarla. A darle delle pacche. “No! No! Il diavolo ti vuole fare le porcherie...” Con la scusa di impedire al diavolo di fare diavolerie, la toccava nelle parti intime, la scopriva. Sarà poi stato il fresco, i salti, che lui sembrava come in preda a degli eccitanti, s’era messo ad urlare: “No, vai fuori! Vai fuori!” E per fare andare fuori il diavolo glielo aveva messo dentro dopo averla adagiata riversa su una tomba. Lei s’era sentita il gelo del marmo o della pietra. Ma era come paralizzata da quel pazzo assatanato che pur non ammetteva d’esser contraddetto. Taluni che l’avevano contradetto, li aveva fatto rovinare dai suoi medici. Per altri bastavano i suoi ruffiani ad usarli ed a lasciarli andar via quando divenivano incompatibili con la setta. ...Poi, ora che se la faceva con gli squadroni della morte della Polizia Segreta Militare-CC. Li vedevano tutti, di tanto in tanto, che arrivavano quei magnaccia viscidi da lui o da altri, troppo azzimati per gli stipendi che avrebbero dovuto guadagnare, troppo pieni di sé per essere servitori della collettività, pure troppo viscidi per essere umani e pieni di disprezzo verso gli altri. Beh, questo ultimo aspetto li accomunava ai Ricostruttori più coinvolti nello spirito cappellettiano. 

A Gabriela sarebbe magari piaciuta una bella trombata, pur in quelle condizioni e con un pretone. È che non era andata così. Lui le aveva messo dentro il suo cosetto e mentre urlava: “Schifoso, schifoso, demonio schifoso, esci di lì, esci di lì!” era rapidamente venuto sborrando fuori con un, mentre estrattolo se lo lavorava con la mano: “Ananda! Ananda! Ananda! Ecco poniamo kāma al servizio della liberazione di questa nostra sorella dal demonio.” Tradusse, poi, imbrogliando, per Gabriela: “È una cerimonia tantrica, per fecondare la terra e liberare gli spazi dal demonio quando nostre sorelli e fratelli ne sono pervasi.” In realtà aveva detto un’altra cosa. A Gabriela era rivenuto in mente don Pierangelo: “Pure quello faceva le cerimonie tantriche coi ragazzini...”

S’era ricomposto e prima d’andarsene si chinò su Gabriela: “Non ce n’è bisogno perché era come un esorcismo, comunque... Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. ...Ah, il diavolo, ora se n’è andato.” E se n’era andato lasciandola lì riversa sulla tomba.

Quando lei, rispondendo ad una domanda, aveva accennato che lui l’aveva lasciata nel cimitero andandosene, una delle sue ruffianette, temendo potesse essere una critica al capo indiscutibile, l’aveva rimbrottata: “Lo fa per il tuo bene. Lo fa perché ti fortifichi.” Gabriela s’era detta: “Ecco, ora ho capito perché m’ha violentata sulla tomba...” Ad ogni modo, non era sconvolta. Il Cappelletto le era lì sembrato come un bimbo furbastro che giochi al dottore. Lui giocava a fare il Padre d’oriente.  

Il giorno dopo, quando Gabriela e gli altri erano rientrati dai vari esercizi notturni, s’erano coricati e poi risvegliati, il Cappelletto era sparito. Una delle sue ruffianette aveva detto che aveva lasciato delle istruzioni su come andare avanti negli esercizi mediatici, sebbene nessuno si fosse messo a vedere spiriti, né sapere come evocarli. Invero, Gabriela queste cose le aveva fatte sul serio a Rio, con la FratellanzaGiudaica. Non vedevano inesistenti angeli custodi. Era altro.

Il Cappelletto raccontava d’essere stato iniziato ad antichissimi metodi, anzi segreti, tantrici di meditazione profonda. Lui diceva che li aveva adattati al cristianesimo. Non si capisce perché il crisitianesimo avesse bisogno di tali adattamenti. Se uno acquista un’automobile ed essa funziona non è che si debba adattare al partito politico di preferenza od alla religione od al gruppo etnico. Idem, se non funziona. Qualcuno se l’è bevuta. La Chiesa ha sempre bisogno di piazzisti che coprano pubblici differenti e con differenti esigenze. Che c’entri la meditazione tantrica con la vista spartana, ma solo per gli altri non per lui il grande iniziatoi ai grandi segreti, e soprattutti che c’entri la meditazione tantrica col controllo totalitario e sul possesso totalitario degli adepti da parte del Cappelletto e della sua cerchia ristretta d’altri preti, non si capisce. Niente libri, niente web, niente contatti col mondo perché sennò, ...perché sennò la setta non tiene. La preghiera serve per tenere occupati gli adepti quando non avrebbero nulla da fare e dunque avrebbero tempo ed occasione di pensare.   

Non è vero che il web sia malsano e non è vero che sia per giovani. Chi abbia usato scrittura a mano e macchine da scrivere, se di mente viva, è stato ed è ben felice d’usare computers. Chi abbia usato enciclopedie e biblioteche è stato ed è ben felice di averli su uno schermo via connessione in rete. Se poi s’è degli ignoranti che si fingono colti, come faceva il Cappelletto, si odia per gli altri quel che s’odia per sé. Eppoi, le sette sotto dominazione paranoica sono proprio basate sul controllo totale del tempo dell’adepto. La preghiera, pur essenziale pure in pratiche esoteriche, diviene, nella setta paranoica, pura tecnica per occupare il tempo dell’adepto quanto questi è solo. Se avesse il web, lo userebbe per comunicare. Se l’adepto della setta paranoica comunica col mondo, conosce il mondo ed evade, può evadere, dalla logica paranoica della setta paranoica, se proprio non è malato perso. Siccome, le regole per i fessi ovviamente non valevano per i capoccia, per i preti, quelli che tra di loro erano perversi pericolosi usavano la rete per le loro perversioni. Chiunque usi la rete come strumento sano per cose sane, ben lo sa che non è vero che l’essere in rete ti induca chissa quale tentazione. Chi sia perverso, lo sa che è perverso indipendentemente da internet. Anzi, checché ne dicano poi i media, quando cooperano ai linciaggi sociali come sussidiari mediatici di luride operazioni di linciaggio sociale di polizie segrete con procure annesse, semmai la rete può rende virtuale quello che altrimenti convolgerebbe persone. Se don Pierangelo Bertagna si fosse fatto delle pippe su immagini magari create da artisti computerizzati anziché rovinare ragazzini... Ahnnò, le polizie segrete con procure annesse lanciano continui pogrom contro i perversi computerizzati, proprio perché vogliono che perversi assaltino e rovinino esseri reali anziché limitarsi alla sfera virtuale, personal-immaginativa. ...Se, poi, uno l’anno “adesca” via internet... Se uno/a si fa adescare via internet, si sarebbe fatto/a adescare pure, ed ancor meglio, per strada... “Il sistema” [delle polizie segrete con procure annesse + media] fa del terrorismo sociale per voi polli. È morbosità venduta come “notizie”, con accademici [del cazzo] annessi che la destillano in editoriali e commenti. Se la merda l’impacchetti in scatole colorate e ben infioccate, resta merda.         

Il Cappelletto proponeva, un modo coperto, pratiche atenico-ebraiche, per quanto annacquate, e pure inquinate dall’interesse materiale alla gesuita per cui tutto deve divenire strumento per far soldi. Il tantrismo sta alla base di tutte le religioni antiche. Le tecniche da lui proposte sarebbero pure state utilissime e d’alta spiritualità. È solo che lui era un pasticcione, oltre a vivere tutto in modo nevrotico-paranoico, ansioso d’avere costruito una macchinetta per far soldi che temeva potesse sfasciarglisi per cui la teneva assieme coi classici meccanismi della setta. Gli esoterismi hanno una base comune.
* Che cos’è una setta? Una setta è una trappola di reciproca dipendenza psicotica che attanaglia sia originatori e capi che seguaci. Che il puparo od i pupari abbiano privilegi e vantaggi, che credano o meno a quello che predicano, non li rende meno malati degli adepti.
Che taluni si stupiscano o giudichino incompatibile il tantra con qualche religione fa parte dell’areligiosità presente nelle religioni, oppure sono scuse per polemizzare con qualcuno tacciandolo direttamente od indirettamente d’eresia. Eresia è il male. Eresia è non sapere o non riuscire a praticare tecniche esoteriche. Eresia è il culto delle gerarchie eliminando la religiosità. Per accusare il Cappelletto perché vissuto come concorrente, o perché si copriva dietro grandi esoterismi che diffondeva solo in maniera del tutto parziale e strumentale, accessorio alla macchinetta per far soldi e per espandere potere a lui dipendente, ecco che c’è chi se messo a cavillare su cose che anzi andrebbero diffuse e praticate anziché demonizzate. Vi sono cattolici che per qualche loro interesse o propensione si sono messi a proporre le forme del cattolicesimo come capaci di includere e soddisfare tutta la religiosità di chi si professi cattolico, mentre presentavano gli esosterismi come estranei. In realtà, sono semmai le forme delle religioni ad essere estranee alla religiosità, mentre gli esoterismi sono la religiosità e la spiritualità e pure altro che va all’essenza delle cose e dell’umanità. Che qualcuno o molti usino gli esosterismo solo come slogan e li diffondano amputati e dunque sostanzialmente svuotati per inventarsi sette, è perché evidentemente trovano i polli che s’accontentato. Che ci volete fa’?! Se un truffatore vi vende una cosa bellissima che in realtà lui non ha, non è che il male sia la cosa bellissima. Il male è che quello vi sta truffando.

Non esistono particolari differenze religiose tra gesuiti ed Opus Dei. Esiste convergenza di aree coperte, dunque concorrenza. Siccome ci son di mezzo i soldi, tanti soldi, perché entrambi tirano ai ricchi e richissimi, ecco che la concorrenza è spietatissima. Inoltre, i gesuiti sono stati posti sotto il controllo delle Polizie Segrete britanniche ed altre dello spazio anglofono. Mentre l’Opus Dei, di creazione ben più recednte, è restato sotto il controllo soprattutto di Polizie Segrete spagnole, seppur inevitabilmente pure altri vi peschino. Ecco perché i gesuiti e le centrali di propaganda anglofone siano così furiose nell’assalto mediatico contro l’Opus Dei accusata d’ogni crimine e d’ogni perversione, ma fondamentalmente di non essere troppo permeabile alle polizie segrete britanniche, statunitensi ed altre dei quelle aree. Quanto all’essere più di sinistra o più di destra, sia gli uni che gli altri seguono criteri dettati appunto dalle loro aree internazionali di riferimento. I gesuiti sono facilmente divenuti, apparentemente, da para-fascisti a para-comunisti. Erano convenienze inglesi ed americane. Ma hanno continuato a coprire pure altri pubblici. Pure l’Opus, se ricevesse l’ordine, diverrebbe “comunista” o anche “comunista”. I gesuiti, già prima della rivoluzione francese, erano passati al servizio britannico. Fu per questo che, su richiesta francese, il Papa li sciolse nel 1773. Infatti, si rifugiarono in Gran Bretagna. Furono poi restaurati nel 1814, dopo che la Gran Bretagna si reimpose inequivocabilmente come centrale potenza europea e mondiale. La gente a volte cambia cappello ed impersona ruoli differenti. Questi vale anche per i gesuiti e per l’Opus Dei. Le persone sotto il cappello o che impersoni ruoli differenti sono sempre le stesse. Alla Chiesa di Roma, in balia dei potenti del mondo fanno comodo tutti, un po’ per bilanciarsi, un po’ per coprire pubblici più vasti possibili e pure per coprirsi. Non può più, sciogliere, come già fece due secoli e mezzo fa, gli agenti delle polizie segrete di Londra. Li bilancia con l’Opus.   

Ma queste sono considerazioni che non ci riguardano. Seguivamo solo e soprattutto Yvette e Gabriela, qui in loro avventure europee. E qui ci fermiamo.