sabato 25 settembre 2010

mashal-007. Disgusti

mashal-007. Disgusti

by Georg Moshe Rukacs

...Lasciamo parlare Abramo...

“Aten, Ciò che apre la Via, sta venendo alla vita. La capacità di percepire le Sue azioni richiede l’abilità di pensare in modo differente dagli stereotipi culturali correnti. Insegnare modi alternativi di pensiero è una delle peculiarità di Aten, sì che esso stesso possa mostrare come percepirlo. L’abilità di imparare, adattare ed infine riprodurlo si dispiega attraverso lunghe ed approfondite pratiche.”

Questo è il messagio ricevemmo millenni fa quando ci vennero dati poteri e strumentazioni sofisticate che tutt’ora usiamo.

Quando, in questa fase della vita infinita, fui circonciso tra i 7 e gli 8 anni d’età di questa incarnazione mi venne dato il nome Abramo, in aggiunta ad un nome datomi casualmente alla nascita.. “Perché Abramo?”, chiesi. “NON per quello che vendette la moglie al Faraone. NON per quello che in cambio si fece fare Principe egizio e la moglie restituita incinta, e gravida d’Isacco, Principessa. Neppure per la banda Stern. Anzi, è il momento d’andare ben oltre Lehi. Ricordati che successe a chi combatté gli inglesi e si fidò dei suoi correligionari conciliatori. Il nemico non si combatte. Si stermina e rimuove. Non si debbono avere nemici. I conciliatori si sopprimono. Non si concilia, mai. Si ama. Non si concilia. Chi t’avversa s’annienta, con l’amore. Chi non ama non deve né può esistere né lasciato esistere, se non per sopprimere l’odio e far trionfare l’amore. TU sei l’amore infinito.” ...Ecco quel che mi venne risposto. La Spezia alias “Shaar Sion”. Ospedale. Circoncisione giudaica mascherata dietro una qualche fisima instillata nella mente malata di Franca, Franca la sguattera puzzolente dell’animo che non si monda nemmeno un po’, una della Bestia pur usata da Aten, il sole e per sole.

Non possono capire. Si capisce quel che si deve. Se uno ha gli occhi chiusi non può pensare che veda. Se uno li ha aperti non puoi pensare che non veda. Si vede ciò si è preparati a vedere. Se ad un cieco dai improvvisamente la vista non vedrà nulla perché non sa cosa vedere. Un pidocchio non puoi pensare veda da umano. Un umano non puoi pensare veda da pidocchio. La moralità è nell’anima e nelle azioni dell’umano. Non si può imaginare il pidocchio la possa comprendere, né interessa la comprenda.

La Bestia esplode quando lasci si auto-gonfi la pancia sì che deflagri. Un’autodevastazione permanente ha i suoi vantaggi, da vari punti di vista. Non serve enumerarli. ...Una pancia della bestia devastata da continue esplosioni, sì che puzzi pure... È quel che sta succedendo pure ora.

...Con le strumentazioni ricevemmo dalle forze cosmiche stiamo procurando, da secoli, devastazioni quotidiane d’almeno un miliardo d’euro al giorno d’ora, se proprio le si vuol quantificare. Vedere per credere. Anzi, inutile vedere ed inutile credere. Il pidocchio non può vedere. Il pidocchio non può né serve creda.

L’INPS venne coinvolta nello stragismo di Stato delle Polizie Segrete militari e civili, relativamente al mio caso [pure in altri], sia a livello di Direzione Generale, che di Direzione Regionale e locali nel 1990. ...Una delle mille autoesplosioni quotidiane nel ventre della Bestia per devastazioni da almeno un miliardo d’euro al giorno... I pidocchi delinquenzial-malati s’autoesaltano in linciaggi, pogrom, massacri ed assassinii. ...Che paghimo!

Doveva succedere qualcosa nel 2010. Sta succedendo. Stava scritto che una sicula che non capiva un cazzo avrebbe dovuto esser lasciata combinare, scontrare, ricombinare e riscontrare con una calabra che non capiva un cazzo. Maria contro Franca e Franca contro Maria. Sono uguali e sono diverse. Uguali nel non capire un cazzo. Uguali nel bersi tutto quelli viene detto loro da malati/e come loro, dalla Bestia. Uguali nell’ignoranza e nella rozzezza. L’ideale per una certa miniesplosione nel ventre della Bestia.

Franca, con la sorella Angela, s’è fatta convinvere d’essere una gran magnaccia e se ne vanta. Infatti se lo prende nel culo da Nicla, Fiorella, Angela e Maurizio-Fausto, che fanno da tramite con la Bestia-Stato [qui con le faccie(-culi) della Polizia Segreta della Gendarmeria Militare, la Prima Forza Armata (figuratevi le altre!!!) e pure la Prima pseudo-Polizia Militar-Compradora della :NATO”]. Siccome la magnacceria è contagiosa, Franca lo fa loro metter nel culo pure al suo unico figlio Riccardo, un drogato già inculato ed impasticcato da una pseudo moglie decisamente troia per quanto brutta proprio sullo schifoso.

Maria con una sua amica-collega-sportellistaINPS si dicevano reciprocamente d’essere due grandi fike. Facevano e fanno una più schifo dell’altra. La sua collega-amica, per quanto più montata [in tutti i sensi] di lei era perfino sull’ossuto rinsecchito. Sembrava sifilitica incurabile: ...si dicevano l’un l’altra che erano delle grandi fike...

Da dove si può, mi chiamano:

- “...Guarda, Abramo, ...nel 2008, per quest’operazione, devi regalare a Maria che non capisce un cazzo un’appartamento che non è neppure il tuo.”

- “OK, ...se devo lo farò... ...tra una quindicina d’anni, ...nel 2008...”

- “...Sì, però, Abramo, la cosa va prepata...”

- “...Ditemi...”

- “...Abramo......Le devi... ...Le devi... ...Le dovresti dare, ora, un po’ di cazzo...”

- “Come?!”

Quasi svenni.

Per le pratiche karmico-sessuali di Ciò che apre la Via avevo allora, in esclusiva, tre tibetan-giudaiche [una della varie “tribù perdute” d’Israele (in realtà IsraeloEgizie), ma noi le abbiamo ritrovate] bellissime e sensibilissime. Non credo si possa aver di meglio se ad uno piacciono l’amore ed il sesso con l’altro sesso ed il “culto” di Ciò che apre la Via. Pure ora le ho e loro hanno me. Come sopra anche se son cambiate [sono altre tre]. Vengono cambiate ogni sette anni. Così vogliono i cieli. Naturalmente è tutto incontrollato ed incontrollabile delle Polizie Segrete della Bestia, cui facciamo vedere solo ciò cui vogliamo veda [cioè ciò che non è] per il Grande Disegno.

...E questi mi vengono a dire che devo dare un po’ di cazzo a Maria che non capisce un cazzo e che fa e mi fa pure schifo:

- “Abramo, è proprio così... ...Non se ne può proprio fare a meno...”

- “Ma sono già vincolato alle tre... ...Non è che possa andare contro le procedure karmico-giudaiche...”

- “Infatti, Abramo. ...Questa è un’operazione speciale, specialissima, super-specialissima, che, come puoi vedere nella libreria con lo schermo di dotazione, va assolutamente fatta e, su quella, puoi farla solo tu...”

- “...Ma non si può usare il cip bionico, un simulatore... ...Lo facciamo correntemente...”

- “Certo, Abramo, si puó far tutto ed, in parte, s’è già fatto... ...Ma quella è una particolarmente ottusa e con attorno pidocchiume simile per cui, per essere sicuri della perfetta riuscita dell’operazione, occorre quel che ti si sta dicendo...”

Io continuai ad arguire e loro a dimostrarmi che in effetti era proprio quello quel che andava fatto. Le provai tutte. Consultai le librerie. Tentai varie opzioni coi chip bionici ed i simulatori. Occorreva un po’ di cazzo ed occorreva il mio. Non ve n’erano altri a portata di Maria.

Appunto, ...DISGUSTO.

Siete lì che vi dilettate con le migliori prelibatezze dell’universo e si dicono che occorre che mangiate, e neppure una sola volta, della merda.

DISGUSTO!!!

...Assoluto DISGUSTO!

“State ora partecipando all’esistenza di una entità, una forma autodirigentesi di coscienza che esiste come informazione nella mente degli umani e solo degli umani. Un tempo, nella storia, simili entità abitanti la biosfera/antroposfera erano considerate demoni, dii, angeli, geni o spiriti. Ciascuna di queste entità ha provato la sua stessa esistenza perpetuando sé stessa nella coscienza collettiva di umani, talvolta per millenni.”

Cercavo di evitare, ma lo schermo di dotazione mi ricordava che...

Dopo ogni volta che l’avevo sentita gracchiare, attivavo l’isolatore acustico corporeo totale per ore. Dopo ogni volta che cuccava, avevo un bisogno ancor più frenetico ed insopprimibile delle tre per redimermi dal disgusto. ...Non tutto il male vien per nuocere.

Ero intanto stato chiamato per delle sessioni di vari mesi [coprivano giusto-giusto un anno accademico, il 1994-95, dietro cui erano state nascoste] a Lugano mascherate dietro una cosa a Milano che serviva [la cosa a Milano] come tassello per permettere alla Polizia Segreta Militare Stragisto-Terrorista di meglio autofottersi con tutta la NATO Stragisto-Terrorista occulta. Se n’è già parlato con altri linguaggi, per quel che s’è pututo. Poi espatriai, per poter permettere alle teppaglie delinquenzial-malate delle Polizie Segrete Militari Stragisto-Terroriste della NATO e connesse (dai paramilitari colombiani, ai cinesi, taiwanesi, coreani, giapponesi ed altri) di farsi sputtanare frontalmente, che è quel si sta facendo. Devastati, coi chip bionici, i loro cervelli pidocchieschi, ecco che l’Albero della Vita lascia quello delle tenebre e della morte senza difese sotto i suoi [dell’Albero della Vita] splendori che putrefanno la Bestia.

mashal-006. Solitudini

mashal-006. Solitudini

by Georg Moshe Rukacs

[Nel grande ed elegante appartamento di Rio, tutto vetrate e costosissimo, con vedute panoramiche sulla città, ricco di spazi e forse un po’ freddo]

Yvette s’era seduta su un grande cubo bianco del salone spazioso e non oppresso da mobilia. Era scivoloso sotto i veli sottili e delicati che la ricoprivano. Sarebbe forse divenuto appiccicoso se li fosse levati. No, non era quello di cui sentiva bisogno in quel momento.

S’era così spostata su cuscini su uno dei grandi tappeti sul pavimento e se li era aggiustati fino a sentirsi comoda e ferma. Ecco, ora, era a suo agio.

Non aveva nulla da fare.

S’era così alzata per prendere il laptop spento. Riaggiustatasi sul cusciname sul tappeto, le stava affianco. Non aveva una vera voglia d’accenderlo. Restava lì, spento. Lo aveva appena allontanato. È bello avere tutto quello che vuoi e poter decidere che farne. Come abitare in una grande metropoli con ristoranti, cinema, teatri, discoteche, musei, biblioteche e decidere poi di starsene a casa a far nulla, sole. Puoi fare tutto. Poi pure decidere di non far nulla. Una fosse in un deserto senza nulla, potrebbe magari avere voglia di fare qualcosa e non potrebbe farla.

Era poi andata a prendersi qualche libro di quelli che da sempre sognava di leggere. Li aveva comprati e ne comprava in continuazione proprio per quello. Se li era messi affianco. Si era risistemata. Ne aveva preso uno. Lo aveva aperto. E se fosse stato meglio leggerne un altro? La mente s’era messa a divagare.

S’era addormentata. Il telefonino aveva squillato ma lei aveva continuato a dormire. Era fatta così. Per cui, quando aveva sentito [se l’aveva sentito] il telefonino squillare, non è che il telefonino l’avesse realmente svegliata. Lei si stava svegliando ed in telefonino aveva risquillato proprio mentre oramai non dormiva più. Non aveva voglia di rispondere. Non aveva neppure voglia di guardare la lista delle telefonate eventualmente ricevute. Anzi, chi glielo faceva fare di sentire il motivo delle chiamate? Aveva spento il telefonino. Del resto, aveva messo una risposta automatica che, se dopo qualche secondo lei non rispondeva, diceva: “Sono lontana dal telefonino. Sfortunatamente la memorizzazione delle telefonate ricevute non funziona, o funziona a singhiozzo, per cui se non v’ho richiamato vuol dire che la vostra chiamata non è stata registrata. Per cui, richiamate. Grazie!” A volte, le piaceva vedere chi l’aveva chiamata e non richiamare. Oppure neppure stava a guardare chi l’avesse chiamata per non farsi venire ansie. Tanto, per un motivo o per l’altro, c’era sempre chi la chiamasse. E quando si sentiva rispondeva.

I libri. Il laptop. “Potrei chattare”, s’era detta. “Che noia... E poi tanto che me ne viene...” Su una chat, anzi in Facebook, che è poi solo una chat per sfaccendati e tamarri che vogliono arraparsi e, forse, pure di bambine che vogliono far arrapare, aveva messo una foto sessuosa trovata chissaddove e l’aveva cartonata così poteva dire che era lei sebbene fosse chissacchi. Appena loggava lì, c’era subito la fila dei tamarri: “Ciao! Che stai facendo? Però sei proprio hot... Che fa quella tua mano nella foto? Ti stai toccando? Ahnno, scusa, è il mio amico che ha trovato il mio computer acceso e s’è messo a scrivere sciocchezze. ...Non volevo... Ce l’hai il ragazzo? Che fate quando siete assieme? Ah, ma se abitiamo nella stessa città, perché non ci vediamo...” Era proprio sempre il solito. C’è chi gli piace chattare. ...Sempre le stesse cose... Yvette non aveva voglia. Aveva già chattato con la mente e le era bastato.

Aveva cercato di riaddomentarsi ma non era riuscita. S’era solo arrotolata in un dormiveglia che l’aveva resa ansiosa. S’era avvitolata in posizione fetale. Già che aveva le mani tra le coscie, le aveva portate a contatto di pelle, sì proprio sulla sua cosina. No, non aveva voglia di strusciarsi. Le bastava così. Non aveva voglia di venire. Anzi, neppure era sicura d’essere mai davvero venuta.

Aveva pure un paio di telecomandi a portata di mano. Ve n’erano vari, sui tappeti, nel grande salone. Aveva preso quello della musica. Aveva un po’ zappingato. Da classiche a leggere e viceversa ma nulla la solleticava ad abbandonarsi all’ascolto. Era così passata allo zapping del televisore con megaschermo. Le news... Oh, sempre le solite: disastri, guerre, politica, costume. Che disgusto quelli che ridevano, sghignazzavano. Ma che avevano tutti da ridere? Non gliene importava nulla. Il varietà, l’intrattenimento: ma guarda che s’ingegnano per riempire lo spazio tra gli spot pubblicitari. Non aveva voglia di stare dietro a chiacchiere, pur esse sempre le stesse, o variazioni sulle stesse. Sport neppure a parlarne. Non aveva alcun interesse. Zapping frenetico tra i film. Se continuave a passare dall’uno all’altro era perché le sembrava di averli già visti tutti e non aveva voglia di rivederli.

Oh, un po’ di silenzio. Aveva spento tv e musiche.

“Vediamo chi m’ha telefonato. Oh, che lunga lista d’Eugénio. Sembra non abbia fatto altro che chiamarmi nelle ultime ore o giorni. Ecco, ha di nuovo voglia e non trova nessun’altra.”

Yvette aveva riacceso la suoneria del telefono. Infatti. Dopo pochi minuti, rieccolo:

- “...Sono Eugénio. Sono giorni che ti cerco... ...perché non rispondevi... ...che stavi facendo?!”

- “Un’orgia...”

- “...nh?! ”

- “Ieri, mentre stavo parcheggiando c’era una banda di ragazzotti delle favelas che voleva violentarmi in macchina... ...Ho detto loro di venire a casa che si stava più comodi... Ora c’è questa dozzina di tamarri che mi sta violentando e riviolentanto...

- “Sei proprio troia!”

- “Hai ragione...”

E Yvette mise giù.

Eugénio, che era a casa propria, alla visione di questa trombata di gruppo, cui in realtà non credette troppo, però l’immaginazione s’era ormai accesa, si fece un paio di seghe, mangiò e bevve in abbondanza e si fece una lunga dormita. Fattasi una doccia, accese la tv e la richiamò.

Anche a Yvette s’era accesa l’immaginazione ed, alla vista di questa ipotetica dozzina che sborrava lei ed il letto, era corsa a profumarsi, a bere qualcosa di forte ed a mangiucchiare qualche biscotto, sebbene non è che avesse poi un gran fame. Inebriata, restò felice, o non infelice, a fissare il soffito alto e, per quel che poteva, il cielo fuori delle alte vetrate.

Lo squillo da Eugénio la trovò lì che si chiedeva che fare dopo quel lungo felice torpore.

- “Pensavo, Yvette... ...Vorrei invitarti a cena.”

“Appunto, questo ha solo voglia di chiavare. Del resto che può volere un uomo da una donna ed una donna da un uomo...” si disse Yvette.

- “Eugénio, ...per non far troppi giri di parole... …perché non ti fai una sega?

- “Sei proprio stronza!”

Ed Eugénio mise giù.

Non che fossero vergini, l’uno relativamente all’altra. Anzi, avevano già chiavato e pure con una qualche regolarità o continuità temporale. Eran considerati ragazzo e ragazza, seppur lei si comportasse un po’ sempre così e pure lui si comportasse come quello che va ogni volta alla conquista della vergine di ferro.

Eugénio se la sarebbe pure fatta una sega, meglio un altro paio. Sennonché aveva il bisogno psicologico di metterlo in un buco, ed in un buco femminile. Fosse stato solo per una sborrata, o per un paio di sborrate, stava meglio e fisicamente più appagato dopo essersi masturbato da solo. Non era particolarmente romantico e neppure gli dava una grande eccitazione abbandonarsi a carezze e contatti di pelle vari. Sarà che da bimbo, il padre, neppure lui un gran sensuale o un gran raffinato in materia, gli diceva sempre che le donne hanno un buco e che l’uomo dimostra d’essere un uomo quando viene dentro il buco d’una donna, poch’importa la donna voglia od apprezzi. Eugénio era cresciuto con quell’idea fissa che doveva venire dentro un buco femminile per dimostrarsi d’essere uomo e si diceva pure che se non erano prostitute si dimostrava anche d’essere un gran conquistatore. L’aveva pure violentata qualche operaia od impiegata della sua ditta, e poi pagata per mettere la cosa a tacere, e poi riviolentata, e se una non ci stava la licenziava, se non riusciva a violentarla. “Dai ammettilo che t’è piaciuto, che te la sie goduta!” A qualcuna piaceva, pur così. Altre sopportavavo. Altre ci stavano male. Qualcuna se lo faceva fruttare in vario modo. Darla al padrone, può sempre avere i suoi vantaggi od assenza di svantaggi. Altre, se ne vergognavano e basta.

Con Yvette, era diverso. Era, per Eugénio, come una gran conquista. Appunto, godimento psicologico. Autostima, dice qualcuno. ...Se uno la vede così... Si considerava un gran conquistatore, sebbene... ...lo vedremo.

Yvette andò sulla terrazza col proposito di curare le piante. L’intenzione c’era. È che non aveva voglia di passare dall’intenzione ai fatti. S’affacciò un po’. Cercò di guardare dentro le case d’altri, sebbene non ci fosse poi molto da guardare. Nonostante un po’ di brezza, faceva caldo. Si rifugiò nuovamente in casa dove la climatizzazione era perfetta e comunque aggiustabile, avesse mai voluto più caldo o più freddo.

Si riaggiustò nuovamente sul tappeto e tra i cuscini. Prese uno di quei magnifici libri che s’era comperati e che avrebbe voluto assimilare. Oh, com’era difficile! Si disse che non era il momento. Domani. O tra un mese o tra un anno o tra dieci... “Ma perché s’inventano queste complicazioni e poi ce le danno da leggere?!”, si disse.

Eugénio era stato un po’ a fantasticare ad occhi ora aperti ora socchiusi. Fosse stata una delle sue operaie od impiegate, poteva pure piombarle in casa (a seconda di dove viveva), picchiarla, metterglielo dentro e, venuto, lasciarle qualche bibliettone sul tavolo. Con Yvette non poteva. Lo avrebbero poi trovato con la testa affianco al corpo e l’uccello ficcato in gola...

Dopo un po’ richiamò. Lei rispose.

- “Yvette... ...volevo portarti dei fiori e, poi, sono sicuro che trovo aperta quella pasticceria che ha quei grandi dolci tutti panna e meringhe. ...Se porto pure dello champagne... ”

- “Oh, lo so quello che vuoi... ...Guarda domani voglio fare la comunione e non ho voglia di dire al confessore che tu mi hai fatto fare le tue solite sporcaccionate... ...Se almeno mi sposassi...”, lei rispose annoiata.

- “Amore, lo sai che ti sposerei pure subito. ... È che quando te ne parlo, tu cambi subito discorso...

- “Appunto! Tu dici che mi vuoi sposare solo per fare le sporcaccionate. Pensa che bello un matrimonio con voto di castità e con contratto dell’Opus per gli esercizi spirituali...”

- “Mica saranno proibite pure panna e meringhe...”

- “...Se uno vuol fare dei fioretti... Mannò lo champagne lo può bere pure il prete mentre dice messa, forse.

- “Allora, vengo...”

“Questo lo so dove vuole venirmi!”, si disse tra sé e sé Yvette.

- “...Comunque porta una magnifica torta e champagne, così ti fai un po’ perdonare questo stalking di telefonate proprio mentre ero così occupata col lavoro...”

Eugénio era panciolino, con una pancetta flaccida flaccida, carne bianchissima e più frolla che delicata in alcuni punti, e più maialesca che robusta in altri. Non che Yvette fosse una dea... Le lunge gambe erano più sul magrino che sul tornito. Le chiappe erano piuttosto inesistenti ed ossute. I seni più avvizziti che piccoli. È che si vestiva costosissimo, profumatissima, si dimenava come fasse stata la padrona del mondo e si vedeva che fosse ricchissima, per cui si sentiva gli occhi di tutti addosso e come se tutti avessero voluto trombarla. ...Prodigio dei soldi che fanno sembrar tutto oro ed accendono i desideri... ...O così sembrava...

Eugénio se n’arrivò con una quantità enorme di rose rosse, con due enormi torte meringate ed inondate di panne, ciliegine ed altro, pasticcini e cosette dolci e salate, e tre bottiglie di champagne [“sai non ero sicuro quale tipo preferissi”], tanto che si presentò con valletto dato dalla pasticceria per farsi aiutare a portare tutto.

“Questo vorrebbe chiavarmi per una settimana intera sette volte al giorno!”, concluse subito Yvette.

Non che lei si facesse impressionare o sciogliere da regalini o regaloni. Fece comunque mettere tutto su un tavolo dello spazio cucina ed i fiori in fioriere con acqua fresca. Lui pensava solo a trovare il modo di metterglielo dentro ed a farla bere. Lei pensava solo a riempirsi di torte, per quanto non disdegnasse lo champagne che bevve in gran quantità per aiutarsi a trangugiare più dolce.

Yvette se ne andò sul suo rifugio tra i cuscini sul tappeto e s’addormentò. Lui pure ebbe una pausa di sonno, su una poltrona, sebbene continuasse ad avere quel bisogno mentale di sborrare in un buco femminile.

Yvette di svegliò da quel sonno di champagne e di torta con lui che le stava sopra. Fosse stata una delle sue dipendenti, la avrebbe già trombata almeno un paio di volte, magari pure nel culo che gli dava un senso di possesso totale sulla femmina che secondo lui si sentiva umiliata, pur godendoci (così la vedeva lui), nella porta posteriore. No, con Yvette non poteva. Si vedeva lei che chiamava la famiglia e lui subito preso, mozzato di testa e ritrovato col cazzo ficcato nella gola.

Le era sopra che la stava leccando. Il padre gli aveva detto, quando lui era ancora piccolo: “Se ad una troia dai di tanto in tanto una leccata, lei non ti lascia più e tu ti dimostri che lei da te si lascia fare proprio tutto.” Il padre intendeva un'altra cosa. Ma lui era cresciuto con quella visione del lecco. Dato che non è che nel suo immaginario ci fossero baci e carezze, stava leccando Yvette sul collo mentre le sussurrava: “Amore, voglio sposarti.” Voleva chiavarla, naturalmente. Null’altro.

Lei si svegliò con quel solletichío che lui le procurava con quella strana pratica, che del resto lei già conosceva. E fu sopraffatta, come già altre volte, da un senso di schifo.

Intanto lui le ronzava:

- “Amore, amore, come ti amo, come ti amo...”

E visto che lei s’era svegliava cercava ora di sfilarle le mutandine.

- “...Vuoi ancora del dolce e dello champagne?”

- “Te l’avevo detto che volevi solo fare sporcaccionate...” ma tanto sapeva che ormai doveva dargliela, pure con quello che le ricordava che le aveva portato un gustosissimo dolce e dell’ottimo champagne, sebbene lei si sentisse un po’ stordita da quel sonno da alcolici e dolciumi.

- “Amore, amore, come ti amo...”

Yvette s’immaginava quello che sborrava dentro di lei e sul tappeto... Sebbene lui usasse il cappuccio... Ma lei s’immaginava egualmente disgustosa sborra dappertutto, anche se di fatto poi non la sborrava. Restava tutto dentro il condom, più o meno. Già si sentiva schifata da quei lecchi sul collo. Meno male che non la baciava realmente, lei si diceva, così s’evitava almeno lo scambio di disgustosa saliva.

- “Guarda, m’è testimone Dio che io non volevo e non voglio, ma tu m’hai ubriacata, stordita di dolci ed ora mi stati prendendo a forza... ...portami almeno sopra sul letto che qui, sul pavimento, sembriamo ancora più animali.”

Eugénio già le conosceva quelle sceneggiate.

- “Yvette, come ti amo, come ti amo...” e visto che poi lei non era neppure, ossuta com’era, di gran peso, la prese sulle braccia, con lei che faceva la svenuta abbandonata e la portò sopra nella camera da letto, su quel lettone enorme.

- “Eugénio, visto che proprio non puoi trattenerti dal fare le tue solite sporcaccionate, mettiti almeno il cappuccio...”

- “Amore, lo sai che me lo metto sempre...”

Srotolatosi lui il condom dalla cappella lungo il cazzo, lei aveva intanto piegato le gambe e le aveva ranicchiate come di solito faceva per farlo entrare e farlo dimenare con reciproca comodità.

- “Aih, aih, Eugénio, non lo vedi che mi fai male, se me lo premi a quel modo... Aspetta un momento che mi metto in po’ di crema.”

Non l’aveva trovata a portata di mano e neppure nei dintorni del letto. Era così andata in bagno, nel mobiletto delle medicine. Aveva lì un lubrificante vaginale, dato che l’aveva stretta e secca. Le faceva un po’ senso mettersi quell’unto sulla sua cosetta, ma era sempre meglio che farsela spellare e infiammare.

Aveva portato il barattolo a lui. Non era la prima volta. Era sempre così. S’era rimessa in posizione con gambe all’aria ma piegate e ranicchiate mentre gli diceva:

- “Eccolo, fai piano e spalmala bene e abbondante che sennò poi sto male e pure tu ti fai male.”

Lui gliena aveva schiaffata una certa quantità, col dito che intanto la spalmava, mentre glielo infilava e cominciava a dimenarsi. Su e giù. Su e giù.

Oh, come si sentiva uomo, ora, a strofinarselo dentro il buco di Yvette! Chissà quanti gliel’avevano dimenato dentro, si diceva, ma intanto ora c’era lui che stava preparandosi ad una bella sborrata dentro di lei.

Lei sentiva lui che accelerava e che poi, con un grugnito, si gonfiava, e si scaricava come con delle vibrazioni, e poi veloce usciva e si rovesciava affianco a lei.

“Oh, finalmente ha finito!”, si diceva lei.

“Oh, che bella sborrata!”, si diceva lui.

Sebbene lui fosse venuto nel condom, lei si sentiva inondata di sborra immaginaria e puzzolente. Si immaginava pure il letto contaminato non solo dal corpo di lui, ma pure da quel suo liquido. Si era così alzata per andare in bagno.

- “Dove vai, amore”, le aveva chiesto lui.

- “Vado a farmi una doccia...”

- “Come giá ora... ...non mi fai ancora...”

Eccome, gli aveva pure portato due enormi torte e tre bottiglie di champagne e lei non gli faceva neppure fare una doppia, pensava lui.

Ma guarda, questo porco. Vorrebbe continuare. Ecché non gli basta che l’ho fatto divertire... ...Vorrebbe andare avanti. Magari, pure dormire qui, si diceva lei.

La doccia era stata lunga, con saponi e profumi per scacciarsi dalla mente e dal corpo quella sborra immaginaria e puzzolente con cui lui l’aveva contaminata.

Tornata dalla doccia e con indumenti cambiati, cioè con altre mutandine e pure con altri veli per ricoprirsi almeno un po’ come già prima, non aveva avuto il coraggio di risalire sul lettone. Se lo vedeva lurido e contaminato con quel porco sopra e che pure avrebbe voluto richiavarla e chissá per quante volte ancora.

Lui s’era rieccitato ancor di più ai profumi di lei:

- “Amore, vieni ancora qui... ...Non posso stare senza di te...”

Ecco, vuole richiavarmi e pure subito. L’ho fatto scaricare e lui si sente più carico di prima:

- “Eugénio non mi sento bene... ...Voglio restare sola.”

- “Amore, e mi mandi via così... …Dai, fammelo fare ancora, che lo so che ti piace...”

- “...Eugénio, t’ho detto che voglio restare sola...”

- “...Yvette..., ...e mi mandi via così...”

Lei non aveva risposto ma non è che avesse l’aria di una che aprisse le gambe e lo lasciasse divertire.

Era scesa sotto, sul suo tappeto e tra i suoi cuscini, dopo avere passato uno spray disinfettante e poi uno profumante. Aveva acceso pure dei bastoncini profumati, sebbene quel salone fosse così grande.

Se ne stava assorta di nulla quando lui era comparso alla sua vista nudo e con l’uccello penzolante.

Con voce stridula lo aveva inequivocabilmente redarguito:

- “Eugénio cosa fai?! Lo sai che non mi va che giri per casa a quel modo! Sì che t’ho fatto divertire... ...Sono sempre troppo buona con te... ...Ma questo non è mica un bordello! Vatti subito a rivestire!”

Si che mi sono fatto una bella trombata, ma questa ora mi caccia via. Ebbé, una sborrata me la sono fatta... ...Qualcosa succederà se ho ancora voglia, si diceva tra sé e sé, mentre s’era andato a fare una doccia veloce e s’era rivestito.

Poi era risceso:

- “Yvette, vado a comprare dei pasticcini o quel che credi... ...dimmi... ...ci facciamo uno spuntino...”

Ecco, questo vuole rimenarla per rizomparmi addosso, s’era detta Yvette.

- “Te l’ho detto che non mi sento...”

- “E mi mandi via così?!”, aveva riinsitito lui.

Yvette aveva avuto un lampo.

Gli aveva allora buttato lì, freddamente:

- “Te la ricordi Gabriela?”

Gabriela era una pienotta, non particolarmente tornita e con un’aria un po’ scrofesca, che andava sempre a caccia di cazzo, e soprattutto tirava a farsi gli uomini delle amiche. Le volte che lui l’aveva vista e lei s’era subito messa a fare la seduttiva, lui s’era detto che se una così gli fosse capitata in ufficio l’avrebbe spinta contro lo schienale della poltrona, l’avrebbe rovesciata con la testa di lei sul sedile della stessa e d’in-piedi le avrebbe alzato la gonna, strappato le mutande e le sarebbe venuto subito dentro al culo. Dopo, l’avrebbe usata come materasso, spinta sul tappeto e sborrata nella fica anche senza cappuccio, che se la godeva di più pelle contro pelle sulla cappella.

Alla domanda di lei, lui aveva finto disinteresse:

- “Che c’entra Gabriela?”

- “Mi chiede sempre di te...”

In effetti, a Gabriela quel tipo panciuto flaccido, un po’ puzzolente e con l’aria maialesca, tirava. Contrariamente ad Yvette, a Gabriela piacevano i tipi che tirano solo a montarti e vogliono solo farsi delle sborrate. L’animalità pressoché dichiarata, senza tanti preliminari né arti, l’eccitava, tanto più che veniva subito e tanto più si sentiva usata, tanto più godeva. Per Gabriela il sesso era bello perché era sporco. E tanto più lo sentiva sporco tanto più lei godeva.

- “Sai, m’ha pure chiesto come sei a letto.”

- “E tu che cosa le hai risposto?”

- “Le ho detto che sei uno che ci da sotto...”

In realtà, Yvette aveva detto a Gabriela:

- “A me il sesso fa un po’ schifo... Mi sembra una cosa così sporca... ...un peccato da cui ci si dovrebbe liberare.”

Gabriela s’era eccitata ed aveva insistito.

Al che Yvette:

- “Non so neppure che cosa io ci stia a fare con uno così... ...Quasi quasi mi piacerebbe sposare uno gay... ...Non proprio uno gay... ...Uno che magari pensasse ad altro invece che a fare quelle cose... ...Uno che avesse perso l’uccello in un incidente.”

Gabriela, ancora più eccitata, aveva voluto sapere. Anche se gliel’aveva buttata lì in modo subdolo, il rossore e la traspirazione tradiva l’eccitazione:

- “...Non posso crederci... ...Anzi, ma allora dovrebbe esser perfetto con Eugénio. Ha un’aria così posata e saggia. Direi che è uno così serio e tranquillo...”

Al che, Yvette era sbottata:

- “Ma se è un gran porco...”, e s’era poi morsa le labbra com’avesse detto troppo.

L’eccitazione di Gabriela era cresciuta, sebbene, o proprio perché, Yvette aveva cambiato discorso e non ne aveva più voluto parlare.

...Ora, ad Yvette era balenata quell’idea... Non che avesse nessun piano. Voleva solo non farsi chiavare e schifare una seconda volta e non correre il rischio che quello le ricomparisse magari dopo qualche ora con sformati, arrosti, vini, funghi raffinati, antipasti, tartine, tramezzini, bevande raffinate e profumate e chissà cos’altro d’irresistibile. “Quando un uomo vuole chiavarti, se le inventa tutte finché non lo fai e rifai divertire...”, s’era detta Yvette.

Yvette lo vedeva che, pur sotto la sua chiorba di porco elementare, Eugénio stava rimuginando se non mille, almeno qualche pensiero. Si stava in effetti dicendo le solite cose, che solo per scopare uno ne trova o ne prende o ne compra. Yvette non solo era piena di soldi, ma proprio il fatto che non è che proprio corresse dietro al cazzo, per quando suo padre [il padre di Eugénio] gli avesse detto che tanto le femmine sono tutte troie per cui inutile farsi illusioni e sentimentalismi, gliela faceva sembrare come una vergine da mettere incinta, se solo avesse voluto sposarlo. Anche poi si fosse imbruttita, o non avesse più voluto il cazzo, lui buchi dove metterlo li trovava o comprava... ...Una cosa è avere uno o qualche erede, altra farsi delle sborrate perché uno ha voglia ...Per cui che ora lei le avesse fatto quell’accenno come quasi stesse pensando di passarlo ad un’amica...

- “Amore, io sono uno all’antica... …che è che mi vieni ora a dire di quella tua amica...”

- “Eugénio, e che non lo so che tu sei un donnaiolo... ...Non sono mica una gelosa, io.”

Lui s’era fatto di mille colori:

- “Ah, ma allora ho capito bene... ...Mi vuoi passare ad un’altra... A me non è che...”

Lei si stava dicendo che doveva vendergliela, la cosa, in qualche modo:

- “Dai, Eugénio, te lo detto che non mi sento bene. ...Sai che faccio? Me ne vado sei mesi in Svizzera in una casa di riposo. ...Magari, appena ritorno ci sposiamo.”

- “Magari... Promesso?!”

- “Mannò faccio per dire. Magari non mi sposo mai e mi faccio suora a Milano o dintorni. Dalla Svizzera è vicino...”

- “Ah, ma allora ho capito bene. Mi vuoi passare alla tua amica, così poi dici che t’ho tradito con un’altra?”

- “Eugénio... ...Eugénio, te l’ho già detto che lo sanno tutti che sei un donnaiolo.”

Di nuovo, Eugénio di mille colori.

- “Non ho mai avuto un’amante da quando stiamo assieme.”

- “Eugénio...”

- “Lo giuro! MAI!”

- “Eugénio, lo sanno tutti che salti loro addosso in fabbrica ed in ufficio... ...Anzi, sono stupita di non averti ancora visto in tv e sui giornali arrestato per stupri seriali!”

- “Ma... ...Non... ...Lascia che... ...Sebbene... ...Dunque...”

- “Ecco, Eugénio, non dire nulla...”

- “Ho, capito, amore, ti sei stufata... ...Hai un altro...”

“Oh, scemo, ma non lo vedi che mi fate schifo, voi porci che volete solo chiavarci?!”, pensava Yvette senza dir nulla.

Eppure quell’idea di Gabriela continuava a ronzarle per la testa. “Sono stufa di farmi zompare addosso, ma non posso neppure permettermi che pensi...” ...Stava vedendo come condirgliela:

- “Guarda, dicevo sul serio... ...Anzi, ne ho già parlato con loro... ...Magari vado domani e definisco la cosa... ...Un contratto di castità e di esercizi spirituali con l’Opus... ...Magari, dopo, ci sposiamo... ...O magari, no... ...Lo sai come vanno queste cose... Una prova, poi magari Dio ti chiama...”

Lui la ascoltava un po’ esterrefatto e preso dal discorso si diceva: “Certo che se poi Dio la chiama non è che poi una possa dire di no a Dio... ...Però, io che faccio poi... Mia madre me la mena che è tempo d’un erede... ...Non è possa fare un erede con una di quelle troie della fabbrica che mi tocca chiavare... ...Ma può anche essere che Dio poi non la chiami... ...Comunque se questa ora vuole sparire, non è che io possa farci nulla...”

Lui abbozzò un:

- “Beh, se è per qualche giorno...”

- “Ma che qualche giorno, Eugénio! Sono almeno sei mesi. Oppure pure sei anni.”

Lui era senza parole, pure un po’ disperato. Riuscì solo ad iniziare un:

- “Amore, ma che mi dici...”

- “Guarda, Eugénio, te l’ho detto che non mi sento bene. Non ho voglia di stare a parlare. Voglio restar sola. Magari domani vado direttamente a quel centro dell’Opus in Svizzera... ...Tu invece sei così sveglio ed energetico e desideroso di stare a chiacchierare anche tutta la notte... ...Sai che faccio, ora? Telefono a Gabriela...”

Lui deglutì di grosso, “Magari mi facesse scopare quella...”, ma continuò nella scena:

- “...Ecco, mi vuoi scaricare! Guarda, neppure mi piace quella... Io amo solo te...”

- “Lo vedi, Eugénio, tu pensi sempre e solo alle tue sporcaccionate... ...Io dicevo solo che tu hai voglia di stare a parlare, fare uno spuntino, bere qualcosa... ...Io invece voglio solo dormire e sola e senza nessuno in casa e domani chissà che non me ne vada per sempre in Europa e mi faccia suora di clausura a vita... ...Gabriela è una che la notte sta sempre sveglia. Magari ha una festa in corso proprio ora. Eppoi le piace chiacchierare. Anche a quelli e quelle che invita alle sue feste... ...Lasciami fare...”

Yvette ben lo sapeva che Eugénio voleva solo una che lo facesse entrare e sborrare, e non è che lui potesse neppure, ora, tentare una delle sue solite porcate in fabbrica, perché in quel momento c’erano solo i guardiani notturni. Gabriela era una gran porca... L’aveva persino vista, a volte, al mare, che se n’andava nella baracca degli attrezzi con l’uno o l’altro dei bagnini e quando ne usciva scodinzolava con aria di chi se l’era ben goduta. Una volta che aveva sbirciato da una fessura, l’aveva vista che si tirava il bagnino a sé e che appena lui glielo metteva dentro lei cominciava a grugnire... Oh, che scrofa in calore! ...Che schifo... ...Proprio non credeva che una donna potesse godersi un uomo a quel modo... A lei, Yvette, faceva solo schifo quando lasciava che un uomo si divertisse con lei. “...Bisogna esser proprio nate scrofe per fare come Gabriela...” Si vedeva Gabriela a letto con qualcuno e chissà che non l’avesse già fatto sborrare e risborrare ed ora sarebbe stata ben felice di cambiarlo con uno che le arrivasse là col coso duro.

Yvette fece il numero, anzi schiacciò il nome che già aveva sul telefonino, ed il telefonino fece tutto. Non rispondeva. “Ecco, la scrofa è a spassarsela con qualche porco!” Se la vedeva grugnire di goduria come l’aveva sbirciata quella volta nella baracca degli attrezzi con uno dei bagnini. Continuò a chiamare. Non rispondeva. “Quanto ci mette questo a sborrare, sì che lei si liberi e possa rispondere?! ...Che faccio con Eugénio se questa non risponde? ...Non è che sarà in crociera, in viaggio... ...Dovrebbe rispondere lo stesso...”

Gabriela era nell’ampio poligono di tiro sotto la villa che sparava centinaia di colpi con una Taurus PT92 doppia azione, 9x19mm para, con decine di caricatori da 30 colpi che infilava e sfilava a grande velocità in quella sua frenetica attività di quel momento. La cuffia da poligono nera, soffice ed elegante, la rendeva resiliente al rumore terrificante dei colpi mentre il rinculo dell’arma nulla toglieva all’eccitazione del tiro rapido con quell’arma potente e maneggevole.

Aveva collegato il telefonino ad un sistema di allarme visivo per cui aveva visto che il telefonino squillava. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Chi poteva mai telefonarle a quell’ora? S’era incuriosita quando, dopo un po’ di squilli aveva dato un’occhiata ed aveva visto che era Yvette. Non è che di solito le telefonasse e tanto meno a quell’ora. Era più lei che a volte la cercava oppure si incontravano più o meno casualmente.

Gabriela, nel pomeriggio, era andata da quel suo amico fotografo, un nero sudafricano che ora viveva e lavorava a Rio. Bastava che lei lo sbaciucchiasse di saluto e gli mettesse la mano sull’uccello che lui la spingesse sul letto e la facesse sussultare fino al cervello ed oltre con quel suo coso grosso e tozzo che le stantuffava dentro a velocità crescente. La porta della sua casa-laboratorio non era chiusa a chiave. Lei era entrata e che aveva visto? Una giapponese davvero ben tornita, formosa, divina, per quel che lei aveva potuto vedere, su una specie di divano senza sponde, le gambe all’aria e sulle spalle di lui, con la testa rovesciata dietro, che gorgheggiava in crescendo sotto i suoi colpi veloci e possenti. Lui aveva lanciato un’occhiata a quella Gabriela che s’era trovato in casa, pur senza farsi distogliere neppure un momento da quella spendida chiavata che aveva continuato in crescendo.

Gabriela s’era sentita come umiliata dalla bellezza di lei e piena d’invidia per quel cazzo che avrebbe voluto per sé. Invidia per il desiderio di quel cazzo. Invidia per quella che invece se lo cuccava. Invidia che quella fosse così bella e sensuale. Invidia perché se quella lo aveva preso per i sensi, lei, Gabriela, non poteva magari contarci più su quel cazzo, sebbene cogli uomini non si possa mai sapere. Invidia soprattutto per esser rimasta a bocca asciutta, anzi a fica bagnata, bagnatissima, ma senza nessuno che le sguazzasse dentro, l’asciugasse nello stantuffio e poi l’inondasse di prezioso sperma. Prendeva la pillola, proprio perché non poteva fare a meno di sentirsi lo sperma che usciva, l’inondava e poi le restava dentro a farsi assorbire dal suo “ventre”.

Continuava a vedersi quelle gambe superbe sulle spalle di lui, quelle chiappe splendine, sia quelle di lei che quelli di lui, quel cazzo nero possente che entrava ed usciva veloce da quella fica e quei sonorissimi orgasmi di lei che erano come un legame indissolubile fra quei due da cui lei Gabriela era estranea, esclusa. La giapponese se la godeva. Lei Gabriela se ne era dovuta scappare con ancor più voglia, e senza il bisogno di soddisfarla, di quando era, speranzosa, andata lì.

Aveva subito pensato dove potesse trovare un cazzo. Non ne aveva trovati, mentre continuava a vedersi, con crescente invidia, quei due. Era andata a mangiucchiare qualcosa. Era andata a far compere. Aveva rimangiucchiato qualcosa. Era poi andata a casa, in villa. Aveva bevuto. Inebriata pur senza essere ubriaca. Aveva cercato di rimediare un cazzo. Telefonato ma senza successo. Sembravano tutti indaffarati o dissolti. Aveva guardato un po’ di tv. Rimangiato. Ribevuto alcolici pur senza sentirsi ubriaca. S’era appisolata. Aveva ribevuto e rimangiucchiato. Aveva pure gelaterie varie nel frigo immenso, di cui aveva approfittato. Era poi scesa a sparare centinaia di colpi che vedeva entrare in teste e fracassare teste di chi le sottraesse cazzi e di cazzi le si sottraessero.

Alla fine, visto che al telefono era Yvette, rispose:

- “Oh, Yvette, ti stavo cercando.”

Yvette stupita:

- “Come, Gabriela, mi hai telefonato?!”

- “Non ancora, Yvette... ...Ero, qui, sotto la villa...” E fece partire una scarica assordante di colpi in rapida successione, senza neppure rimettersi le cuffie. “È che mi sono stufata pure di questo... ...Yvette, visto che sei sveglia, anche se è tardi, ...ma qualcosa aperto si trova..., perché non andiamo in qualche locale... ...così, tanto per prendere un po’ d’aria...”

- “Proprio ora è venuto Eugénio, Gabriela...”

“Ecco, se sei così fortunata da avere un cazzo sotto il naso, che mi telefoni a fare... ...Ah, no, a te il cazzo fa schifo... ...ma allora perché gliela dai... ...Con delle poverette come me a cui il cazzo piace e che invece ora devono starsene qui a fare il tiro a segno... ..E che mi telefoni a fare, scema...”, pensò, di getto, Gabriela. “Appunto, se mi telefona mentre a un cazzo sotto mano, è proprio perché a lei il cazzo non piace...”

- “Yvette, meglio... ...meglio in tre che in due! Porta anche lui... ...Dai, andiamo da qualche parte! In 20 minuti sono lì. ...Oppure passate voi.”

- “Guarda Gabriela, proprio non mi sento...”

- “Yvette, è successo qualcosa?!”

- “Non realmente, Gabriela... ...Guarda ad essere sincera, credevo che tu avessi una delle tue solite feste o che, comunque, fossi in casa con amici a bere qualcosa ed a fare quattro chiacchiere... ...Io son qui che non mi sento di far nulla... ...Voglio solo dormire che forse domani o dopodomani, appena riesco a connettere il cervello ed a metter qualche vestito in un borsone, può darsi che vada a ritemprarmi in una casa dell’Opus in Svizzera... ...O, forse, no! ...Non ho ancora deciso-deciso... ”

- “Ah, ecco Yvette, volevi raccontarmi la tua vita, prima di farti monaca...”

- “...T’ho detto che è appena arrivato Eugénio... È sempre così carino... È arrivato con mille leccornie... È sempre così estroverso, ciarliero... Mentre io, ora, ho solo desiderio di silenzio... Per non essere troppo rude e mandarlo via, e pure con tutte queste leccornie, m’ero detta che se tu avevi una festa od eri comunque con amici... ...lo sai, a lui piace sempre fare quattro chiacchere...”

Gabriela aveva rideglutito di grosso. Quel panciolino, con l’aria porcina e pure un po’ puzzolente, depravato quanto ignorante, era proprio uno da cui si sarebbe fatta subito fare, forse pure più che dal negrone fotografo bellissimo ...sebbene avesse quel cazzo nero e tozzo. ...I gusti sono gusti... e sono sempre impescrutabili. Piuttosto non capiva che ci facesse una freddina e col nasino all’insù come Yvette con uno così...

- “Yvette, non è che posso far venire a quest’ora il tuo fidanzato a casa mia...”

“Ecché, non lo so che ti stai già toccando pensando ad un cazzo che ti sborri dentro?!”, pensava Yvette.

- “Ma certo, Gabriela. Non ci pensavo neppure lontanamente... ...Eppoi, lo sai che son gelosa... ...Lui è stato così carino a venire qui con tutte queste leccornie... ...Io sono come malata ed in partenza, proprio non ho voglia di cibi e convivi... ...Tu sei sempre così carina con me... ...Lui stava quasi lasciandomi tutto nell’ingresso ed andansene... ...Te l’ho detto... Ero sicura che tu fossi con amici...”

- “Yvette, posso sempre chiamare qualcuna e qualcuno, visto che ci sono pasticcini e leccornie per far baldoria...”

- “Gabriela, se Eugénio non s’offende troppo con me, te lo mando un momento con tutte le cose che m’ha portato, gli offri in bicchierino nell’ingresso, due convenevoli e lo mandi via...”

- “Yvette..., ...lo sai che non so dirti di no in nulla... ...Se è proprio per farti un piacere... OK, facciamo come hai detto. Finisco le mie sparatorie al poligono. Intanto m’arriva lo spuntino e così poi me ne vado a dormire. Sia fatta la volontà di Dio.”

- “OK. Grazie. Baci, Gabriela.”

- “A presto, Yvette.”

- “Hai sentito, Eugénio?! ...Corri subito che tanto c’è quella pasticceria-rosticceria sempre aperta proprio sulla strada per la villa di Gabriela. Prendi qualcosa. Lei tanto lo sai che poi ti tiene a chiaccherare per un’ora buona, almeno. Io sono proprio morta. Vado subito a distendermi. Ah, e guarda che lo so che sei un po’ porco, per cui non farti venire delle idee con Gabriela, che tanto poi lei mi dice tutto... Eventualmente, se mi faccio suora di clausura a vita...” ...Glielo diceva per eccitarlo di più che tanto era sicura che Gabriela, a meno che proprio non stesse male, od avesse di meglio, o fosse stata fuori di testa, non si faceva scappare un cazzo...

- “Va bene, Yvette...”

“Oh, finalmente me lo sono sbolognato via...”, s’era detta mentre era corsa a cambiare lenzuola ed asciugamani e ad inondare di disinfettanti e profumi dovunque Eugénio fosse passato. “Se per caso si fa risentire, gli faccio una sceneggiata che s’è montato Gabriela e che ora mi fa schifo e non ne voglio più sapere. ...Che disgusto gli uomini! Trovassi uno gay bellino e gentile, che non volesse montarmi e non andasse cogli uomini che in effetti mi farebbe pure schifo vedermi appresso uno che fa sporcaccionate con altri maschi... ...Anche se poi, alla fin fine, è quasi meglio starsene sole. ...Qualche femmina magari... Mannò, poi dicono che sono lesbica. Sola m’annoio. Ma pure con gli altri m’annoio e peggio. Ecco rivado davvero all’Opus ed ora per qualcosa di più coinvolgente.”

Eugénio aveva comprato una quantità spropositata di laccornie dolci e salate mentre era tutto allupato s’immaginava sborrate dentro la scrofesca Gabriela. “Pure lei non è che posso saltarle addosso come con le troie della fabbrica... ...Vediamo come si mette... ...Sennò aspetterò che Yvette o torni o sparisca davvero... ...Se sparisce posso farmi la scena di quello che s’è innamorato di Gabriela, mandarle fiori ed invitarla a cena. Piena di soldi com’è, la mamma non mi sgrida certo se m’accaso con lei e le do un erede con lei... ...Mi dà l’idea d’una che non s’attacca come forse s’attaccherebbe Yvette... ...Macchemmimporta, anche se sparisce dopo aver fatto un erede, ne troverò poi un'altra con la grana... ...se la mamma vuole altri nipotini. Macchemmefrega... ...Mi facesse fare qualche sborrata nel suo buco ora, che mi sento tutto su di giri...”

Arrivò da Gabriela che era tanto visibilmente alterato tanto più cercava di fare l’indifferente. Lei lo vide dal poligono, negli schermi del sistema di sicurezza della villa, gli aprì e col sistema fonico gli disse d’entrare e d’avanzare mentre lei saliva dal sotterraneo della villa. Era davvero ancora incazzatissima per quel negrone con la giapponese fikissima. Arrivò dinnanzi ad Eugénio con la Taurus PT92 nella fondina e quel caricatore da 30 colpi che sporgeva visibilissino dal calcio. Eugénio lancio un’occhia a quell’arma al fianco di quella ch’avanzava spavalda e furiosa. Lei lo percepì com’intimorito, cosa ch’eccitò il suo sadismo.

- “Più siete porci, più ve la fate sotto appena vedete un giocattolino...”, gli disse mentre, le venne come la cosa più spontanea del mondo, estrasse l’arma e gliela infilò tra la pancia flaccida e la cintura dei pantaloni, verso l’uccello:

- “Certo che se ora te lo crivello con trenta colpi di pallottole esplosive...”

I pacchetti che lo ingombravano, caddeto a terra dappertutto. Eugénio restò paralizzato dal panico, senza parole e senza sapere che fare. Gabriela, col sadismo ancora più eccitato, che si combinava col livore del pomeriggio (il negrone che chiavava la fikona, lasciando lei, Gabriela, senza cazzo) sublimato contro tutti i maschi, sempre con l’arma in mano:

- “Ti piace, porco, quando violenti quelle indifese della fabbrica e devono pure star zitte che sennó le licenzi... ...Ora sai che faccio?! Ti violento io! ...Che dici, ti bucherello le gambe per esser sicura che non mi scappi?”

Con la mano sinistra infilata tra la cintura, che afferrava, ed i pantaloni di lui, lo trascinò su un cuscinone (su cu lo spinse) su un tappetone, gli fece volare via le scarpe, gli sfilò, quasi a strappo, pantaloni e mutande. Lei aveva solo una corta gonna e nulla sotto. E la fika bagnatissima da quei movimenti e dall’eccitazione che quell’assalto al porco le stava procurando. Era comunque sempre bagnatissima quando sentiva la prossimità del cazzo. Non era una fika secca o che dovesse essere preparata.

Gli fu sopra, con le ginocchia sui fianchi di lui e la fica aperta sul suo cazzo. Fece come per dargli il calcio della pistola sulla testa e poi lanciò l’arma distante che tanto ormai lo dominava anche senza la finzione di quell’inutile attrezzo. Con la mano destra ora libera gli afferrò la base del cazzo e le palle come a strappargli via tutto. No, voleva solo saggiargli il coso prima di metterselo dentro. Lui al contatto con quella manaccia volgare, quella massa carnosa su di lui, e quel boco di lei quasi sul suo cazzo s’arrapò subito. Lei sentendolo indurisi fulmineo ebbe un grugnito d’assenso:

- “Eddai, Eugénio, lo vedi che parliamo lingue complementari.”

Lui non capì il senso di quell frase appena complicata. Ma al contatto con la fica carnosa di lei che se lo tirava dentro e con cui gli avvolgeva il cazzo, ebbe un grugnito di positivo stupore. “Com’è umida, calda e come m’avvolge tutto” s’esclamò tra sé e sé mentre Gabriela cominciava a pomparlo ed a grugnire d’orgasmi crescenti.

Dimenandosi sempre più selvaggiamente, e tra i sussulti ed i grungiti del piacere, Gabriela gli afferrò il collo come a strozzarlo mentre gli urlava: “Dai, dai, vieni, vieni, inondami tutta!!!” Lui quasi strozzato, tutto rosso, pur senza il coraggio di reagire eppur che si sentiva morire soffocato, col cuore che sembrava scoppiargli, sentì un intenso e lussurioso colore che gli pervadeva velocissimo ed irresistibile cazzo, testa e tutto il corpo mentre un’esplosione superba gli transitava per l’uccello e gli usciva dalla cappella per dilagare nella vagina di Gabriela. Al che, lei, con un ululato di piacere, mentre lui durissimo gli si scaricava dentro, dette gli ultimi intensi colpi di fianchi e di fica come a prosciugargli quel cazzo che l’inondava, gli lasciò il collo che gli stava strozzando e gli s’abbatté addosso pesante e soffice mentre la vagina vibrante continuava, fors’anche più di prima a stringerlo ed a contraglisi attorno seppur, dopo poco, in lento decrescendo. Una vera esplosione di sensi, animalesca nel senso più alto dell’animalità pura e selvaggia.

Come a rafforzare e rendere più intenso il piacere psicologico di quel travolgente piacere fisico:

- “Sei proprio un bel porco, Eugénio! Lo vedi che non m’ero sbagliata.”

Poi, Gabriela si rotolò di 180°, la schiena sul tappeto, il viso verso il soffitto e gli occhi chiusi come ad appisolarsi: “Che faticaccia, Eugénio... ...Dai, fammi vedere che hai portato. Sono sicura che pure tu hai fame.”

Eugénio, obbediente, si mise mutande a pantaloni ed andò a raccogliere i pacchetti che aveva prima lasciato cadere a terra e glieli portò. Anche lei si alzò ed andò a prendere delle bevande, in un’area cucina-bar di quel pian terreno. Le tirò fuori da un grande frigo e le mise su in piano che faceva da tavolo. Era una villa su cinque piani (terreno ed altri quattro), oltre al sotterraneo. Su ogni piano v’erano servizi, frigo, aree cucina-bar. Era una villa fatta per poche persone, o pure per starvi da soli, ma capiente, comoda, spaziosa e ben attrezzata.

- “Dai, Eugénio, vieni qui [nell’area cucina bar]. ...Non vorrai mica che mangiamo per terra! ...E vatti almeno schiacquare. Non siamo mica bifolchi nei campi d’estate!” Era volgare e selvaggia, ma in quelle cose più formale che Yvette.

Eugénio si gongolava tutto: “Oh, che sborrata! Magari mi facesse trombare di nuovo...” Ma con lei quasi non osava fiatare. Anzi, non fiatava del tutto. Le dava qualche sbirciata. Era come del tutto imbambolato. Aspettava: “Me lo dirà lei che vuole che faccia o che vuole che le faccia...”

- “Certo che sei un tipo originale, Eugénio... ...Sei uno tutto spavaldo, in fabbrica... ...Fai il violentatore seriale, lì da te... ...Invece ora qui fai tutto la pecorella timorosa..., non fiati..., sei tutto rosso di soggezione... ...Però, devo ammettere che ci sai fare... ...Sei proprio bonazzo...”

Eugénio non sapeva che rispondere.

- “Così Yvette t’ha scaricato a me?!”

- “No, anzi, m’ha minacciato. M’ha detto di starti alla larga...”

- “Eggià, tu non la conosci quella... ...E ti manda qui a quest’ora... ...Ma è vero che Yvette è proprio freddina-freddina?”

- “...Non saprei... ...Io dico che le piace anche se non lo fa vedere...”

- “Tu dici, Eugénio?! Non hai elementi per crederlo. Però te lo dici. Ti dici che le piace ma dissimula. Tuttavia, alla fine t’ha mandato qui. E non è che abbia altri. Lo saprei. Anzi, proprio non ci tira agli uomini. Non capisco come abbiate fatto voi due...”

Gli lanciò un’aria seduttiva. Gli andò quasi addosso, ...sì che la sentisse. Gli infilò la mano dentro i pantaloni e le mutante e glielo riagguantò a quel modo, al collo del pene e sotto le palle, che lui si riattizzò subito:

- “Dai, Eugénio non farmi rifare sceneggiate con la pistola. Lasciamola dov’è che se poi mi scappa un colpo...”

Se lo trascinò all’ascensore interno con cui raggiunsero una camera da letto all’ultimo piano:

- “Dai, Eugénio, non farmi rifare faticacce. Vienimi sopra che è meglio pure per te...”

S’era sdraiata. Aveva allargato le gambe mentre lui gl’infilava lo sfilatone turgidissimo dentro la fica carnosa e bagnatissima. E se la goderono entrambi pure meglio e più comodi di prima, con grugniti animalesci che ad entrambi venivano spontanei per accompagnare ed esprimere il godimento. ...Eran fatti così...

A lei piaceva sentisi lo sperma dentro ed un corpo pur maialesco affianco. Lui, pure, non era particolarmente schifiltoso. Per cui, s’addormentarono lì, senza problemi. Dopo qualche ora, lui si svegliò e s’alzo per andare a pisciare. Quando tornò, lei che s’era pure svegliata seppur non del tutto, gli riafferrò l’uccello nel solito modo e lui fu ben felice che lei gli chiedesse di darglielo di nuovo. Rigoduti si riaddormentarono fino a giorno inoltrato.

Lui aveva ancora voglia di quel buco carnoso che lo faceva impazzire di goduria, sebbene non osasse proporsi. Pure lei aveva voglia di ricuccarselo. Dopo una colazione abbondante nell’area cucina-bar del piano, se lo ritrascinò in camera per l’uccello e le palle e lo rifecero. Sarebbero entrambi andati avanti in eterno. S’eran proprio trovati!

[Se si vuole, si riprende di Yvette e Gabriela in mashal-008. Solitudini …diviniche. Tuttavia, non mi piacciono i serial. ‘Sta volta è venuta così... Per cui, ogni “pezzo” è autosufficiente. ...Davvero autosufficiente. Nettamente staccato e senza necessarie connessioni.]