lunedì 26 settembre 2011

mashal-029. Gianni e Luisa

mashal-029. Gianni e Luisa
by Georg Moshe Rukacs

Claudio, l'allievo che per certi aspetti quasi lo venerava, era passato da Luisa, la convivente di Gianni.

Gianni era ormai da sette mesi in galera dove faceva finta di non essere nella merda atteggiandosi a modesto intellettuale, ma pur sempre accanito macinatore di riviste e di libri. Lo avevano accusato di insurrezione contro l’Arma. Poi, per prolungare la detenzione, di sodomizzazione di una caramba tuttora ignoto ma le cui ricerche erano in corso.

Claudio passava spesso da Luisa per avere notizie di Gianni, e per farne avere. Quella volta aveva portato una sua pubblicazione che voleva che lui avesse e leggesse. Naturalmente, si era annunciato prima ed era arrivato in perfetto orario.

Luisa era andata ad aprirgli tutta trafelata e con l'aria di fa finta di non voler far vedere che c’era qualcosa. In realtà, voleva farsi vedere perché a quell’ora sapeva che Claudio sarebbe passato.

Mentre stavano parlando, nello studio di Gianni, e lei conservava quell'aria, con Claudio aveva il suo solito atteggiamento di chi si sente sulle spine e teme sempre, o così lasciava intendere, di essere un intruso, passò davanti alla porta Mino nudo, in punta di piedi, a piccoli passi, leggermente racchiuso su sé stesso, con le mutande in mano, per coprirsi l'uccello, quasi boffonchiando, ed entrò in bagno, che era due porte più in là.

La cosa poi si riseppe, non per Claudio, che non disse mai nulla, ma per lo stesso Mino (che tra l’altro era, od era anche, un notorio finocchio) che raccontò l'episodio, quasi vantandosene.

Booh...!

mashal-028. Fumo alle spalle

mashal-028. Fumo alle spalle
by Georg Moshe Rukacs

L’esplosione fu davvero fragorosa.

Mi stavo avviando con un totalmente comprensibile, ma inebriante, senso di liberazione, guardando il cielo, con spaccati di azzurro, lungo Piazza Castello verso via Roma. Naturalmente Piazza Castello e tutte le vie confluenti in, o defluenti da, essa erano totalmente bloccate. Alla fine, bastano poche auto che si fermino, i soliti eroi che si approssimino al luogo dell’incidente, qualche d’un altro che li segua. Appena il tempo che qualche zimbello in divisa fermi tutto o dia indicazioni contradditorie a qualche suo simile più in là, prima di unirsi anche lui alla corsa al commento ed allo sgomento, ed ecco che l’intaso diviene blocco irrimediabile.

Così, in via Roma, incoccio, su una macchinetta né nuova né moderna, una cosciona con due occhioni da papera, che poi in realtà le papere apparenti sono le più perspicaci e sveglie femmine che esistano nel mondo che si crede avanzato. Perché almeno hanno conservato una originalità ed una immediatezza, altrove distrutte dalla pretesa civiltà. Le guardo le cosce. Le guardo il viso. Le guardo il petto esplosivo.

Mi incrocia lo sguardo e fa la svampita:
- “Che cosa è successo? Ma, che cosa è successo? Oddio... ma qui non ci si muove più...”.

Attraverso il finestrino aperto le sorrido e le faccio:
- “Dai dammi un passaggio”.

- “E già, manca anche che ci si scherzi, su questo casino”, mi butta lì con voce strascicata.

- “Dai, aprimi”, le dico.

Mentre lei si sporge poco convinta verso l’altra portiera per sbloccare la sicura, faccio il giro, apro, entro e mi siedo.

- “Ah, finalmente un po’ di quiete in mezzo a tutto questo casino. Sarà il passaggio più bello che mi sia mai stato offerto”, le sorrido squadrandola in attesa di una sua reazione.

- “Ma me lo dici che passaggio vuoi che ti dia, se qui non si muove nulla”, mi fa tra il seccato e l’emozionato.

- “Ma è proprio per questo che sono qui. Perché è tutto bloccato. Non voglio un passaggio, bensì in pa-ssa-ggio,” e le sorrido sfiorandole con la destra l’orecchio sinistro, i capelli, la tempia, mentre un attimo dopo con la sinistra comincio a toccarle il fianco destro e la parte esterna delle coscie.

- “Ma cosa fai”, mi fa, mentre è chiaro che sta cominciando a starci.

La travolgo di parole a mitragliatrice:
- “Dai, non fartene una colpa, tutt’altro, se ti sei innamorata di me prima ancora di vedermi. E poi siamo qui e ci restermo almeno per tre ore, e tu sei così piena di vita che certamente non sei capace di restare ferma neppure un minuto. E così dirompente di sensualità...” ed altre schiocchezze senza senso, anzi pienissime di senso.

Tiro su il finestrino mentre la ricopro di me sul viso e sul collo.

- “No, no... dai... non ho capito che cosa vuoi fare...”

- “Montarti!”

- “Come?!”

- “Si, montarti. ...Dai, non mi piace quel Vostro ‘ciulare’...”

E lei, un po’ alterata:
- “Ma che linguaggio è questo?”

- “Non è un linguaggio... E quello che io ora faccio a te... ed è quello che tu ora vuoi farti fare da me... Sai... montare... quando io ti cavalco e godo... e tu ti senti cavalcata e godi... ma montare è più bello, perché tu sei la panna che io monto e tu impazzisci... io sono come la frusta che monta la panna, te..., ed anche la frusta impazzisce...”

Lei rossa di imbarazzo, eccitazione, sconcerto, ed anche di voglia:
- “Ma ci vedono...”

- “Impossibile!”, le rispondo. “Se così piena di sesso e sei così eccitata, che si sta già appannando tutto.”

Infatti... Le tiro su la maglietta e le slaccio i seni, anzi glieli libero perché esplodevano dentro il reggiseno. La libero quel che basta per sentirmi la sua pelle addosso alla mia, mentre mi tiro via le mie cose. La gonna e le mutande gliele tolgo tutte perché non mi va di avere inciampi a mezze gambe. Le tiro su queste coscione ecitanti, le piego le ginocchia e le tengo le gambe, così piegate, bloccate con le mie braccia’. Le entro dentro. E inizio a montarla con una intensità che lei viene per la quinta volta quando io inizio a sborrarla dentro e lei mi si contrae invitandomi a continuare con immutato piacere. Le pareti della vagina divengono progressivamente più scivolose di lei e del mio sperma, ma la sua contrazione me lo trattiene, me lo assorbe e mi prolunga il piacere di continuare ed accellerare i miei sussulti dentro di lei. Una montata di incredibile freschezza, intensità e godimento. Il cazzo che entra tutto. E lei che si sente tutta riempita. È di quelle che godono aprendo la bocca, gettando la testa indietro, chiudendo gli occhi assorti nel piacere, ed emettendo un grido continuo gutturale, che si accentua e si strozza con l’aumento dell’intensità dell’orgasmo, mentre ripetono degli strozzati:
“Sì, sì, ti prego... ohhh, sì continua... ohhh, sì ti prego... ohhh, così ancora... ohhh, che bello, ohhh, ahhh...”

All’inizio stravaccata come a dire: “Fammi quello che vuoi”, passa dall’attesa e dall’abbandono passivo ad assecondare i miei movimenti, fino a farsi frenetica, tesa, gonfia delle esplosioni che le si producono dentro e che provoca a me. Proprio una di quelle rare ficone che sanno lavorare di fianchi e non solo stare lì a cuccarselo.

Non so se è la posizione, il momento, o cos’altro ma quando viene le fica le sbotta in delle sborrate sonore, liberandosi di aria e producendo moderati schizzi di liquido, tuttavia senza cessare di avvolgermi, di tenermi dentro, di venirmi incontro. E tutto le si rinnova più volte.

Ed io, mentre sborro, continuo a montarla. Anzi, mi stimola ad aumentare il ritmo e sento lo sperma liberarsi, fluire, continuare a fluire, darmi piacere e continuare a darmi piacere anche dopo il primo sbotto dentro di lei. Quando comincio a rallentare nei colpi e poi mi fermo, in realtà continuo a strusciarla, non vorrei finire, mi sento la cappella formicolare di piacevoli sensazioni che continuano. E continuo a sentirmelo duro, ben aderente a lei, tutto ben dentro fino ai coglioni, che penzolanti, sotto, mi danno la sensazione del ritmo di un fuori pieno egualmente di sensazioni perché anch’essi sono formicolanti di godimento.

Avrei continuato a montarla oltre la prima volta, ma volevo andarmene. Così esco e mi rivesto. Lei si tira su un po’ a forza, dall’estasi che la vorrebbe trattenere supina, si passa le mani sulle cosce e vicino alla fica e compiaciuta mi fa:

- “Oh, però...”

Poi si tira il ventre in dentro, per rilasciarlo subito dopo, mentre si ripassa le mani tra l’attaccatura delle gambe e la fica, chiude gli occhi, e sbotta di nuovo:
- “Ohhh...”, un lungo sospiro e:
- “Stringimi, ti prego.”

Avevo appena finito di abbottonarmi la camicia. Lo avevo ancora penzolante, così ne approfittai:
- “Non vedi che continua a colare. Perché non me lo pulisci?”

- “E come?...”

- “Con la lingua”

- “Come con la lingua... se proprio schifoso...”

- “Predimelo in bocca!”

Arrossi tutta, di colpo.

Io, allora, ammiccante, suadente:
- “E buono, da succhiare, il gommino...”

Le presi, la testa, le accarezzai i capelli e la tirai verso di me:
- “Dai... sii buona...”

Lei lo prese in bocca. Io le accarezzai le sopracciglia ed il naso, coi pollici, mentre le tenevo il viso:
- “Vedi che sei brava... ora giragli la lingua sula cappella... shhh... ottimo...ohhh...”

Ce l’avevo di nuovo duro ed eccitato dalla sua lingua che mi spazzolava la cappella. Ma lo tirai fuori e finii di vestirmi

Lei mi guardava un po’ perplessa:
- “Non vuoi sapere come mi chiamo?”

- “No, non voglio saperlo... ma ti amerò per sempre.”

La perplessità aumentava e divenne sgomento man mano che finivo di vestirmi, finché: “Ed ora che cosa fai!?”

- “Ora me ne vado”, le rispondo.

- “Come, te ne vai?”

- “Si, me ne vado!”

- “Ma io credevo... E se mi hai messo incinta?”

- “Lo spero, per te!”

- “E come faccio?”

- “Come fai?!... Chiamalo Ivan, o Ivana!”

Aprii la porta, uscii, la sbattei senza voltarmi. Avrei camminato sul tetto delle auto e sghignazzato mentre lo facevo. Mi limitai ad abbassare lo sguardo al suolo, a tenermi dentro la felicità che mi riempiva, e senza guardare nulla e nessuno mi avviai verso la stazione. Era l’11 marzo del 2001. In nuovo millennio, veramente già iniziato l’anno prima, prometteva proprio bene...

Fu allora che mi sovvenni della profezia:
Esiste un luogo dove tutto è già stato detto e scritto.
Esiste un tempo senza passato né futuro.
Esiste uno spazio che non ha dimensione e che ne ha infinite.
Esiste un punto dove questo luogo, questo tempo, questo spazio, si fondono in permanenza e dove essi esistono senza il bisogno di fondersi.
Esiste un instante in cui tutto esiste senza che nulla sia.

mashal-027. Francesc’anal

mashal-027. Francesc’anal
by Georg Moshe Rukacs

Francesca quando si sedeva sul water per pisciare o per defecare cominiciava a sentire un insolito sfrigolio alla passera. Sarà stato l’essere lì aperta, ed il fresco dell’acqua che faceva fluire per eliminare subito gli odori... Ma ciò che più la sconvolgeva e l’eccitava era il sogno ad occhi aperti che con sempre maggiore insistenza faceva. Immaginava che una forza oscura, un braccio con una mano chiusa a pugno, un serpente enorme e spaventoso, uno spirito  maligno, salisse sù con forza inarrestabile, uscisse fragorosamente dallo scarico, le entrasse dentro l’ano, le afferrasse petto e budella, e la trascinasse da dove era venuto. E provava un sentimento di timorosa attesa e di piacere, a pensare che questo stesse per accadere, mentre la posizione offriva l’ano a questa cosa paventata e voluta nello stesso tempo.

Cosi quando Oreste un giorno, per l’ennesima volta, mentre la limonava, provò a vedere se aveva deciso di starci, lei lo portò verso le sue chiappe, se le fece accarezzare, si fece leccare l’ano mentre non resisteva più ad immaginarsi di farselo penetrare, ed infine lo condusse a sbatterglelo proprio lì, bloccando e deviando ogni sua differente velleità. Lui, pur in preda all’eccitazione, quasi esitava a penetrare l’ano che cercava di aprire per introdurvi la punta del pene. Allora lei, che intanto, con le mani, si apriva le chiappe, non appena sentì che lui, durissimo, era nel punto giusto, gli si spinse contro aprendo la bocca e la gola in una profonda espirazione di emozione e di stupore per l’intenso piacere che finalmente provava. Lui, entratogli tutto, cominciò a dimenarlo con lunghi e veloci colpi con un’intensa ansia di venire. Mentre in lei crescevano gli orgasmi, che in pochissimo la fecero quasi mancare e la sconvolsero in vagiti gutturali lunghi e forti, lui, con spinte sempre più potenti, cominciò a sborrarla dentro e, come incapace di fermarsi, continuava voglioso di penetrarla fino all’impossibile, finché non le piombò addosso sfinito e soddisfatto, ancora turgido ma svuotato e goduto all’inverosimile.

Francesca mancò per un attimo. Quando si riebbe, con lui addosso, sentì che l’orrendo diavolo le aveva finalmente divorato l’anima lasciandola esausta e felice. Cercò allora di stringerlo sì che non potesse più uscire e tenerselo per sempre dentro, lavorandolo lentamente di fianchi e di natiche per gustarselo ancora.

mashal-026. Erika, LLN

mashal-026. Erika, LLN
by Georg Moshe Rukacs

Era veramente curioso essere lì, in quella sala computer, senza sapere che cosa scrivere. Situazione di attesa. Prova dell'ora, anzi del minuto e del secondo per non sballare. Soprattutto per non essere avanti e per non essere indietro.

Mi spiaceva per la bimba, che quando me ne sono andato, prima di ritornare, aveva gli occhi sbarrati sul video ed incavati nei suoi pensieri. È proprio per questo che mi sono detto che dovevo tornare ed agganciarla.

Ora ha assunto quest'aria più distesa e tesa nello stesso tempo. Vediamo se vorrà resistere fino all’ultimo all’incertezza dell’attesa o se sarà lei ad abbandonare. Ma anche in questo caso, almeno, non avrà la sindrome dell’abbandonata. Semmai quella dell'abbandonante. Può anche darsi che non gliene freghi nulla, per quanto non credo. Se non altro in una femmina c'è sempre il desiderio per l'interesse, per l'attenzione, ed anche per il desiderio che deve suscitare. Come vorrei sapere che cosa scrive. Chissà se le cose asettiche ed innocenti di curiosità sull'una o sull'altra, che intercettai, erano sue. Chissà se il mio essere tornato qui scatena la sua curiosità, od altri sentimenti, o no. Chissa se gli occhi della sua mente si stanno interrogando. Certamente lo stanno facendo! Vedrò così la psicologia femminile cosa si risolve a fare. Lo scrivere frenetico delle sue dita, e delle mie, cela, forse, la risoluzione e l’impazienza di restare fino alla fine.

Basta attendere per saperlo. Se almeno questi stronzoni di teutonici se ne andassero a fottersi. Perché se ne vanno?! Le ragazze dietro al SAS sono del tutto innocue. E poi chi cazzo se ne frega.

Ecco è l'ora di chiusura. Le sono dietro sommessamente e con la forza del pensiero le centro la nuca. Lei si volta.

- “Ciao”, le faccio io.
- “Ciao.”
- “Io mi chiamo Kolba e sono ucraino.”
- “Io mi chiamo Erika e sono viennese.”
- “Oh Vienna! E' una città infinita... Una volta cercai di attraversarla e non riuscivo più ad uscirne.
- “Veramente?”
“E’ proprio così. Anche i tuoi occhi sono infiniti. Uno li guarda e ci si perde.”
- “Ohoh...”
- “E’ vero. Io li guardo e resto senza parole.”
- “E tu che cosa fai oltre a scrivere sempre?”
- “Mi piacciono le bimbe molto belle, con qualcosa di veramente straordinario... Tu!”
- “Noo...”
- “Si, devo assolutamente conoscerti...”, ed intanto a queste parole lei finì di divenire rossa, anzi lo divenne ancora di più.
- “Ma io...”
- “Anch'io...”

Sorrise disarmata e vinta. Allora giocai al rialzo:
- “Amami!”

Divenne ancora più rossa e confusa:
- “Ma tu non sai nulla di me...”
- “E' vero... e non voglio sapere nulla... Voglio amare te e voglio avere il tuo amore.”

Le sfiorai la parte interna del braccio che restò abbandonato a lasciarsi sfiorare. Le presi il polso, e la mano che si lasciò prendere:
- “Tu ora vieni da me...”
- “Ma io...”
- “Non sei obbligata a nulla... Te ne puoi andare quando vuoi... e sarai sempre tu a decidere di te stessa... Ma voglio i tuoi occhi di fronte ai miei, se non altro per ripeterti mille volte che sei meravigliosa”.

Lo era veramente. Straordinariamente.