lunedì 26 settembre 2011

mashal-028. Fumo alle spalle

mashal-028. Fumo alle spalle
by Georg Moshe Rukacs

L’esplosione fu davvero fragorosa.

Mi stavo avviando con un totalmente comprensibile, ma inebriante, senso di liberazione, guardando il cielo, con spaccati di azzurro, lungo Piazza Castello verso via Roma. Naturalmente Piazza Castello e tutte le vie confluenti in, o defluenti da, essa erano totalmente bloccate. Alla fine, bastano poche auto che si fermino, i soliti eroi che si approssimino al luogo dell’incidente, qualche d’un altro che li segua. Appena il tempo che qualche zimbello in divisa fermi tutto o dia indicazioni contradditorie a qualche suo simile più in là, prima di unirsi anche lui alla corsa al commento ed allo sgomento, ed ecco che l’intaso diviene blocco irrimediabile.

Così, in via Roma, incoccio, su una macchinetta né nuova né moderna, una cosciona con due occhioni da papera, che poi in realtà le papere apparenti sono le più perspicaci e sveglie femmine che esistano nel mondo che si crede avanzato. Perché almeno hanno conservato una originalità ed una immediatezza, altrove distrutte dalla pretesa civiltà. Le guardo le cosce. Le guardo il viso. Le guardo il petto esplosivo.

Mi incrocia lo sguardo e fa la svampita:
- “Che cosa è successo? Ma, che cosa è successo? Oddio... ma qui non ci si muove più...”.

Attraverso il finestrino aperto le sorrido e le faccio:
- “Dai dammi un passaggio”.

- “E già, manca anche che ci si scherzi, su questo casino”, mi butta lì con voce strascicata.

- “Dai, aprimi”, le dico.

Mentre lei si sporge poco convinta verso l’altra portiera per sbloccare la sicura, faccio il giro, apro, entro e mi siedo.

- “Ah, finalmente un po’ di quiete in mezzo a tutto questo casino. Sarà il passaggio più bello che mi sia mai stato offerto”, le sorrido squadrandola in attesa di una sua reazione.

- “Ma me lo dici che passaggio vuoi che ti dia, se qui non si muove nulla”, mi fa tra il seccato e l’emozionato.

- “Ma è proprio per questo che sono qui. Perché è tutto bloccato. Non voglio un passaggio, bensì in pa-ssa-ggio,” e le sorrido sfiorandole con la destra l’orecchio sinistro, i capelli, la tempia, mentre un attimo dopo con la sinistra comincio a toccarle il fianco destro e la parte esterna delle coscie.

- “Ma cosa fai”, mi fa, mentre è chiaro che sta cominciando a starci.

La travolgo di parole a mitragliatrice:
- “Dai, non fartene una colpa, tutt’altro, se ti sei innamorata di me prima ancora di vedermi. E poi siamo qui e ci restermo almeno per tre ore, e tu sei così piena di vita che certamente non sei capace di restare ferma neppure un minuto. E così dirompente di sensualità...” ed altre schiocchezze senza senso, anzi pienissime di senso.

Tiro su il finestrino mentre la ricopro di me sul viso e sul collo.

- “No, no... dai... non ho capito che cosa vuoi fare...”

- “Montarti!”

- “Come?!”

- “Si, montarti. ...Dai, non mi piace quel Vostro ‘ciulare’...”

E lei, un po’ alterata:
- “Ma che linguaggio è questo?”

- “Non è un linguaggio... E quello che io ora faccio a te... ed è quello che tu ora vuoi farti fare da me... Sai... montare... quando io ti cavalco e godo... e tu ti senti cavalcata e godi... ma montare è più bello, perché tu sei la panna che io monto e tu impazzisci... io sono come la frusta che monta la panna, te..., ed anche la frusta impazzisce...”

Lei rossa di imbarazzo, eccitazione, sconcerto, ed anche di voglia:
- “Ma ci vedono...”

- “Impossibile!”, le rispondo. “Se così piena di sesso e sei così eccitata, che si sta già appannando tutto.”

Infatti... Le tiro su la maglietta e le slaccio i seni, anzi glieli libero perché esplodevano dentro il reggiseno. La libero quel che basta per sentirmi la sua pelle addosso alla mia, mentre mi tiro via le mie cose. La gonna e le mutande gliele tolgo tutte perché non mi va di avere inciampi a mezze gambe. Le tiro su queste coscione ecitanti, le piego le ginocchia e le tengo le gambe, così piegate, bloccate con le mie braccia’. Le entro dentro. E inizio a montarla con una intensità che lei viene per la quinta volta quando io inizio a sborrarla dentro e lei mi si contrae invitandomi a continuare con immutato piacere. Le pareti della vagina divengono progressivamente più scivolose di lei e del mio sperma, ma la sua contrazione me lo trattiene, me lo assorbe e mi prolunga il piacere di continuare ed accellerare i miei sussulti dentro di lei. Una montata di incredibile freschezza, intensità e godimento. Il cazzo che entra tutto. E lei che si sente tutta riempita. È di quelle che godono aprendo la bocca, gettando la testa indietro, chiudendo gli occhi assorti nel piacere, ed emettendo un grido continuo gutturale, che si accentua e si strozza con l’aumento dell’intensità dell’orgasmo, mentre ripetono degli strozzati:
“Sì, sì, ti prego... ohhh, sì continua... ohhh, sì ti prego... ohhh, così ancora... ohhh, che bello, ohhh, ahhh...”

All’inizio stravaccata come a dire: “Fammi quello che vuoi”, passa dall’attesa e dall’abbandono passivo ad assecondare i miei movimenti, fino a farsi frenetica, tesa, gonfia delle esplosioni che le si producono dentro e che provoca a me. Proprio una di quelle rare ficone che sanno lavorare di fianchi e non solo stare lì a cuccarselo.

Non so se è la posizione, il momento, o cos’altro ma quando viene le fica le sbotta in delle sborrate sonore, liberandosi di aria e producendo moderati schizzi di liquido, tuttavia senza cessare di avvolgermi, di tenermi dentro, di venirmi incontro. E tutto le si rinnova più volte.

Ed io, mentre sborro, continuo a montarla. Anzi, mi stimola ad aumentare il ritmo e sento lo sperma liberarsi, fluire, continuare a fluire, darmi piacere e continuare a darmi piacere anche dopo il primo sbotto dentro di lei. Quando comincio a rallentare nei colpi e poi mi fermo, in realtà continuo a strusciarla, non vorrei finire, mi sento la cappella formicolare di piacevoli sensazioni che continuano. E continuo a sentirmelo duro, ben aderente a lei, tutto ben dentro fino ai coglioni, che penzolanti, sotto, mi danno la sensazione del ritmo di un fuori pieno egualmente di sensazioni perché anch’essi sono formicolanti di godimento.

Avrei continuato a montarla oltre la prima volta, ma volevo andarmene. Così esco e mi rivesto. Lei si tira su un po’ a forza, dall’estasi che la vorrebbe trattenere supina, si passa le mani sulle cosce e vicino alla fica e compiaciuta mi fa:

- “Oh, però...”

Poi si tira il ventre in dentro, per rilasciarlo subito dopo, mentre si ripassa le mani tra l’attaccatura delle gambe e la fica, chiude gli occhi, e sbotta di nuovo:
- “Ohhh...”, un lungo sospiro e:
- “Stringimi, ti prego.”

Avevo appena finito di abbottonarmi la camicia. Lo avevo ancora penzolante, così ne approfittai:
- “Non vedi che continua a colare. Perché non me lo pulisci?”

- “E come?...”

- “Con la lingua”

- “Come con la lingua... se proprio schifoso...”

- “Predimelo in bocca!”

Arrossi tutta, di colpo.

Io, allora, ammiccante, suadente:
- “E buono, da succhiare, il gommino...”

Le presi, la testa, le accarezzai i capelli e la tirai verso di me:
- “Dai... sii buona...”

Lei lo prese in bocca. Io le accarezzai le sopracciglia ed il naso, coi pollici, mentre le tenevo il viso:
- “Vedi che sei brava... ora giragli la lingua sula cappella... shhh... ottimo...ohhh...”

Ce l’avevo di nuovo duro ed eccitato dalla sua lingua che mi spazzolava la cappella. Ma lo tirai fuori e finii di vestirmi

Lei mi guardava un po’ perplessa:
- “Non vuoi sapere come mi chiamo?”

- “No, non voglio saperlo... ma ti amerò per sempre.”

La perplessità aumentava e divenne sgomento man mano che finivo di vestirmi, finché: “Ed ora che cosa fai!?”

- “Ora me ne vado”, le rispondo.

- “Come, te ne vai?”

- “Si, me ne vado!”

- “Ma io credevo... E se mi hai messo incinta?”

- “Lo spero, per te!”

- “E come faccio?”

- “Come fai?!... Chiamalo Ivan, o Ivana!”

Aprii la porta, uscii, la sbattei senza voltarmi. Avrei camminato sul tetto delle auto e sghignazzato mentre lo facevo. Mi limitai ad abbassare lo sguardo al suolo, a tenermi dentro la felicità che mi riempiva, e senza guardare nulla e nessuno mi avviai verso la stazione. Era l’11 marzo del 2001. In nuovo millennio, veramente già iniziato l’anno prima, prometteva proprio bene...

Fu allora che mi sovvenni della profezia:
Esiste un luogo dove tutto è già stato detto e scritto.
Esiste un tempo senza passato né futuro.
Esiste uno spazio che non ha dimensione e che ne ha infinite.
Esiste un punto dove questo luogo, questo tempo, questo spazio, si fondono in permanenza e dove essi esistono senza il bisogno di fondersi.
Esiste un instante in cui tutto esiste senza che nulla sia.