mashal-025. England 1995/96
by Georg Moshe Rukacs
L’Inghilterra fu un ripiego. Torino con le solite strade, la sporcizia sui marciapiedi, la casbah, l'aria che è fumo. Basta andare a Superga, o al Parco della Rimembranza, od in qualunque altro punto alto della collina, per vedere la cappa di luridume che arriva fino a Rivoli, ammesso che quel giorno Rivoli sia visibile, e che taglia la vista delle montagne, bianche o non, che sono sullo sfondo. I verdi sono probabilmente occupatissimi nell’alta politica, perché strenui supporters del sindaco sinistra-Fiat, che evidentemente li beneficia adeguatamente, si muovono come la Fiat ed il suo inquinamento ambientale (fisico e non) non esistessero. Ma del resto a Torino esistono solo la Fiat e chi la ignora, perché chi le è contro non potrebbe mai avere diritto alla vita, se non transitoriamente.
Un po’ di ghostwriting per Lugano. Ed intanto mi organizzai per LLN e per l’UK. Ero già a LLN durante luglio ed agosto 1995, quando andai alla segreteria studenti dove una signora gentilissima e con tracce di una bellezza e di una eleganza che permanevano cogli anni, mi dette la lettera di ammissione. Perfetto! Poco dopo mi mandarono dall'Italia la lettera che era arrivata da Toulouse e, poi, quella da Colchester. Tra Toulouse e LLN, alla fine scelsi (nella mia testa) LLN, nonostante i mattoni finti e tossici, il clima torrido, l'artificialità dei luoghi, il luridume della decadente terra di Vallonia. Toulouse probabilmente non sarebbe stata meglio, con l’aggravante di non essere un quasi-campus come lo è LLN. Per vivere sarebbe stata meglio Toulouse. Per studiare ero più concentrato in un campus artificiale e surreale. E poi c’era abbastanza gente anche qui.
Ma alla fine tra LLN e la Essex University, scelsi la seconda, Colchester, non distante da Londra, prossima al mare nella cui aria speravo. Campus-campus, organizzatissimo, dove si poteva essere soli e non, studiare e non, con mille servizi a portata di mano, doccia in camera, cucina attrezzatissima, culto del piccolo come solo i britannici e gli estremo orientali hanno, per ciò che ne so io. Gli orari sono orari, gli impiegati sorridono sempre, i diritti sono diritti ed i doveri anche.
In discoteca mi diressi diritto su di lei. Bianchissima, apparentemente esile ma piena dove doveva, come assente e smarrita, qualche lungo ricciolo biondo che le accarezzava le spalle. Le dissi che era la più bella delle ragazze che ci fossero al mondo. Sorrise ed arrossì, ma positivamente, di timidezza e di pudore, non di imbarazzo. Le sfiorai la spalla, scoperta, il braccio. I suoi occhi erano nei miei, e lei mi seguiva senza resistermi. Allora passai con naturalezza sul fianco ed in parte sulla natica, le sfiorai la coscia piena e levigata, e scoperta dalla gonna cortissima. Continuavo a tenerla cogli occhi e lei continuava a seguirmi senza resistermi. La mia mano, approfittando del punto in cui ci trovavamo, che non permetteva la vista di ciò che stavo facendo, le entrò nella coscia sotto la gonna e poi con naturalezza dentro le calze per passare vicinissima alla sua passera. A questo punto le dissi: “Amami”. Lei mi guardava con una naturalezza ed un candore tali, e con un rossore che stava cambiando natura, che il mio dito si fece strada dove era umida e poi cercò il suo clitoride. Ci girai sopra ed attorno, mentre le sussurrai di venire in camera mia.
Mentre ci avviavamo mi disse di essere timidissima e di evitare gli altri, e di non avere esperienza di maschi. Mi buttò lì che trovava stupide le altre donne e che evitava generalmente anche le sue “amiche”. In camera fu un uragano di tenerezza che a poco a poco si liberava. Quando stavo per approssimarmi a penetrarla mi disse che non voleva. La accarezzai ancora sul capo, aderendo a lei da un fianco, e la interrogai con lo sguardo. Mi disse che voleva essere mia per sempre. Le risposi che mi piaceva moltissimo, che potevo anche sognare di amarla per sempre, ma che non potevo garantirle nulla. Restò lì a continuare a lasciarsi accarezzare dappertutto. Dopo averle succhiato il clitodire con lei che si dibatteva partendo sempre di più, le chiesi se voleva. Non rispose nulla ma mi chiamava a sé con le sue carezze. Glielo passai sopra, poi in mezzo, poi di nuovo sopra, ed infine con piccoli colpi e, facendo attenzione, sopraffeci le sue difese naturali. Quando le entrò dentro tutto e le si spinse sempre più su, lei reagì con emissioni sonore di chi cominciava e continuava a gustarselo sempre più intensamente. Nonostante ciò, mentre i suoi fianchi sussultavano e le sue cosce si tendevano, si arrestò e con un tono di voce dolce e combattuto mi disse: “Ti prego, ora non voglio”. Uscìi e le restai accanto attaccato, senza chiederle nulla, accarezzandola. Lei restava li godendomi e godendosi. Quando più tardi ricercai di esserle dentro e le dissi: “Voglio averti”, lei mi rispose: “Voglio che mi ami...”. “Si, voglio amarti” e capito che lei voleva, le fui dentro finché non venne più volte totalmente perduta e senza remore.
Praticamente non se ne andò più. Era sempre da me. Si metteva sul o nel letto coi suoi libri, e se ne stava lì, a studiare e ad aspettare. Non mi ha mai detto di no a nulla. Senza mai chiedere, era felice di qualunque cosa le proponessi di fare assieme. Incantevole senza essere remissiva. Ma anzi con un carattere marcato cui la soavità non toglieva nulla al, anzi esaltava il, suo desiderio di essere donna.