Madri di merda 3. Guglielmina detta Mina
by Georg Rukacs
Guglielmina, detta, abbreviando, Mina. Nata verso gli inizi del XX secolo. Od un po’ dopo. Non prima. O di Siena, o di Rapolano, o di qualche altra parte della Toscana. Il cognome era forse Scattozzi o qualcosa del genere. Di quelle e quelli che si sposano tra cugini. Infatti, Mina era sposata con un cugino con lo stesso cognome. Poi erano emigrati in Liguria.
Già da piccola era la ruffianetta della madre. La madre di Mina era già lei sull’ossesso. Bifolca ed ossessa. Di quelle che vivono per gettarsi sui figli ed ingerirsi in qualunque cosa facciano. Una concezione di famiglia come possesso, come adulti sbirraglia e figli da essere “guidati” ad ogni passo, come burattini e schiavi. È la concezione contadina del bestiame. Peggio. Una è malata e si dice che lo fa per la famiglia e perché così si deve fare in famiglia e per la famiglia. Sono malati, ed allora “guidano” gli altri.
Mina raccontava tutto alla madre. Curiosava. Metteva il naso dappertutto. Ed andava a riferire. Prova un gusto freddamente sadico a far del male. Ciò che la faceva sentire in pace con sé stessa e col mondo, cioè con la madre che la voleva proprio così. Non che si sentisse proprio in pace in pace. Per un attimo si sentiva come in pace ed ecco che subito subentrava l’ansia di continuare a fare del male. Cattolicissimi naturalmente. Obbedienza e dir tutto. Far del male e poi andare in chiesa per dirsi che è così che si doveva fare, che tale era l’ordine naturale. Perché il prossimo lo si fotte, o si cerca di fottterlo, per sentirsi in ordine con l’ordine costituito, che poi era una famiglia gretta che si riproduceva senza senso e senza ambizioni. La sorella maggiore era appena più libera, per quanto non è che facesse grandi cose. Mina cercava di farsi dire tutto e poi andava a riferire alla madre per mettere la sorella maggiore in cattiva luce. Ma lo faceva con tutti. Si diceva, tra sé e sé, che era stata mandata dalla Madonna per punire i cattivi, per cui ogni cattiveria lei facesse, era il Il Bene. Se faceva la spiona era bene, Il Bene, lo faceva per la Madonna. “Brava Mina che mi aiuti a controllare la famiglia.” “Grazie, mammina che ti posso aiutare.” Infine, era arrivata all’età da sposarsi.
Lui era un cugino. Ragazzo di grandi sogni ma senza carattere. Faceva quello che facevano tutti, pur facendosi trascinare. E sognava. Però si sentiva poi obbligato a seguire chiunque lo trascinasse. Era il tempo dei casini. L’avevano portato al casino. Un casino con prostitute un po’ schifose e puzzolenti. Costavano meno. Fatto il suo apprendistato di “donne” a quel modo, certo continuava a pensare ad una gran ficona con cui passare la vita. Gli avevano combinato con Mina, piccolina, bruttina, gretta, infida, senz’alcuna attrattiva, senza neppure qualche seducenza del carattere. Lui sognava. Ma l’avevano trascinato fino all’altare. S’era detto, tra sè e sè, ch’era sempre meglio delle prostitute del casino. Se non altro era più giovane e non era una prostituta. S’era consolato così.
S’erano spostati. Lei, dopo la prima notte, alla madre ansiosa e morbosamente curiosa che fingendo freddezza professionale, da “vera” madre di famiglia che si “preoccupa” per i figli, le aveva chiesto: “Mammina, sono proprio una brava moglie... ...L’ho fatto contento... ...Poi ha dormito... …Non mi ha neppure fatto tanto male... ...Io intanto pregavo... ...Sì, sono proprio una brava moglie ed una brava cristiana...” E così via, sulla sua nuova vita da casalinga con marito. ...A raccontare alla madre che da brava spiona di casa ora era divenuta “brava moglie”. ...Dal far cattiverie come figlia, a far cattiverie come moglie.
La guerra. Grandi sogni, anche lì, lui. Nessun sogno s’era realizzato. Le guerre sono una schifezza. Non è che da ufficiale di complemento in una guerra persa, uno senza carattere ne tiri fuori molto. Era tornato. Ah, sì, ne aveva tirato fuori un posto statale, dove contrariamente ad altri non s’era neppure dato troppo a sgomitate e traffici. Col lavoro statale, il trasferimento in Liguria, dov’erano poi sempre restati, un una cittadina pur capoluogo di provincia. Tra gli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, avevano in tutto avuto cinque figli, di cui il primo morto appena nato. Rita, Nikla, Luigi, Giovanni. Tutti castrati dalla madre Mina e con, sotto il naso, l’esempio quotidiano d’un padre debole e debosciato, ...certo, con grandi sogni segreti.
Mina passava le sue giornate a cucinare cose impossibili salatissime e durissime. Di quelle che rovinano cuore e sangue oltre che che i nervi, dato che mangiare polli pietrificati od altre cose secche a quel modo non è poi una grande piacevolezza. E se non erano durissime, erano comunque salatissime e saporitissime. Intanto si dilettava a sorvegliare figlie e figli. Frugava gli assorbenti delle figlie, così come tasche, borse, lettere, diari, tutto, di tutti. Lo considerava il suo dovere. Se scopriva qualcosa la diceva a tutti come incitamento perché anche gli altri della famiglia si sorvegliassero tra di loro e riferissero a lei ed tutti. Spiare e linciare. Spiarsi e linciarsi.
Il marito, vissuto di sogni, di quello che avrebbe potuto fare da pensionato, era andato in pensione i primi anni ’70. Ed era subito morto. Pancia troppo grossa da troppo mangiare. Più nessuna speranza dopo che l’agognata pensione era solo noia e fare i conti con quello che non aveva fatto e non avrebbe mai fatto.
Naturalmente, Mina metteva il naso pesantemente nelle cose di tutti. Già detto. Al marito non c’era nulla da controllare. Era tutto casa ed ufficio senza alcuna attività esterna che giustificasse una sua vita parallela alle noie della famiglia. Mina lo tormentava con l’affettatezza ed il cibo malsano, salatissimo, duro ed abbondante che lo porterà presto alla tomba. Neppure la vivacità d’una moglie con cui bisticciare. Lei viscida. Lui buono ma rinunciatario.
Riscossa la liquidazione, se n’erano volati a Londra per uno squallido viaggio. Non che sia squallido viaggiare. Ma si vive una vita sognando cose che non si fanno né si faranno mai. In pensione si va poi qualche giorno a Londra in gita organizzata. Quelle cose senza senso che a tanti piacciono. Eppure qualcuno se ne rende conto. Il primo viaggio dopo una vita di sogni non realizzati. La pancia. Una moglie che ti fa schifo. Neppure grandi soldi per diletttarsi in scialacqui. Ecco il mondo è quello. Vedi, vedi. E tu sei lì. Poi, appena in tempo per farsi mangiare tutta la liquidazione da un fondo di investimento per polli da derubare. Investi ...e dopo pochi mesi è tutto sparito. Più nulla. Passi le giornate uscendo la mattina a fotografare i silos del porto. Poi, a casa. La moglie disgustosa. Il cibo disgustoso. La TV. Vorresti leggere. Tutta la vita hai sognato di leggere. “Ah, appena andrò in pensione....” Poi, in pensione, non ne hai voglia. Che leggi? Che scrivi? Per chi? Per te? Ma non te ne frega nulla davvero, sennò l’avresti fatto già prima, dal primo giorno, senza rinviare. Ti saresti scelto un’altra vita, od avresti rotto con una vitae, con vite, non sentivi come tueti. Un fratello, pur sposatosi, una ficona, se n’era poi andato, senza di lei, all’estero a cercarsi un’altra vita, altre vite. Non lui. Lui era restaito lì. A far l’impoiegatucolo della mutua, con Mina quando tornava a casa. La pensione. I silos del porto cui vai a far foto. Un giorno, schifato, rientri prima. Ti metti a letto perché non ti senti in sesto. Non ti rialzi più. Ecco, era morto così. Lo schifo del pranzo non ancora fatto, dopo essere uscito per uscire, “maritino mio, vai a far due passi”. Ecco, rientri, ti metti nel letto, perché non ti senti bene e crepi. Tra lo schifo dell’uscire senza senso ed un pranzo disgustoso preparato da una moglie disgustosa. Ecco, ti manca il coraggio pure di quello. Ah, potresti passare dalla banca. Ritirare tutto (prima d’essertelo fatto fregare da qualche giovane baldanzoso d’un qualche fondo d’investimento truffa, ma, anche, a maggior ragione, dopo... ...hai sempre la pensione). Andare all’aeroporto. Vedere dove t’ispira andare a vivere per gli anni od i decenni successivi. Ed andarci. Subito. Senza voltarti. Hai la liquidazione, o quel che è restato. Hai la pensione. A casa sono tutti grandi. Lavorano già tutti (e sperperano pure già tutti, come tutti quelli cresciuti senza soldi in tasca, “grazie” alla madre sbirra e demente che non ha mai dato loro la “paghetta” settimanale! ...preferendo il caso per caso), il “minchione” escluso. La moglie, può andare dall’una o dall’altro... ...Dopo che te la sei sopportata una vita... Mannò, non ci si sveglia a 60 anni... Crepi e lasci la pensione (di riversibilità) alla moglie che t’ha rovinato la vita e che t’ammazza col viscidume e col pollo duro e salatissimo. ...Dopo che uno è vissuto da minchione per sei decenni... ...Che deve fare dopo?! Andarsene all’improvviso, subito, o dopo lunga malattia. Deve averci pensato. ...Una lunga malattia con quella viscida e tutto il viscidume di contorno a “curarlo”. Se n’è andato subito. Il cuore si ferma ed è tutto risolto.
Intanto, Mina, con la sua cattiveria profonda e radicata, indifferente a questo marito pavidoindifferente pur tormentato da quellao vita squallida, spadroneggiava. Lui era la fonte di reddito e la copertura per la sua vita d’ossessa, ossessa freddamente e viscidamente maniacale. Prima che lui tirasse le cuoia, poi durante le settimane super-maniacali della sepoltura e del lutto, e dopo, . Mina, faceva la capa-famiglia, con lui che disgustato la lasciava fare con gli scantonamenti tipici delgi scantonamenti di chi voleva pure risparmiarsi quel supplemento di disagio esistenziale. Lui non riusciva a celare gli arrossimenti del viso. Un arrossimento e si faceva da parte: “Vedi tu Mina.” “Siii” “Uhmmm” Gli bastava, fare il capotavola posizionato in direzione della porta. Ecco, era “il capofamiglia”. A tavola. Che non gli rompessero i coglioni ulteriormente. Sorrideva schivo e si sottraeva quando Mina gli raccontava i pettegolezzi di casa. Arrossiva e scantonava. Macchemmenefrega Mina, fa che va bene, anzi va malissimo, ma già sto male a fare questa vita senza senszo, de vo pure crucciarmi pe r le cose pe r cui maniacalmente ti crucci, anzi ti diverti e ci sguazzi, tu?, ...già mi cruccio a sentire tu che vorresti coinvolgermi..più. Gli altri divenivano dirigenti, pur coin semplice diploma. Facevano i sindacalisti. Scaopavano colleghe o mignotte esterne. Prendevano sostanziose bustarelle o si gettavano in seconde e terze attività. Certo i soldi non fanno la felicità ma aiutano. Meglio infelice coi soldi, che infelice senza. C’è chi di bustarelle e secondi e terzi lavori si fa una seconda famiglia, od anche terza o quarta, ed oltre, con un letto o letti che supplisconoe al primoa squallido e senza interesse. Esco, per il secondo lavoro... Ecco, sono di ritorno. Oih, come sono stanco vado subito a dormire. Il mezzo-fratello di mio padre che era, pur con semplice diploma da maestro, dirigente in Comune, è andato avanti così per decenni. Usciva. Andava ad aiutare il tale od a fare il promotore farmaceutico. Passava del negozio dove aiutava. Oh, resto poco che devo andare a fare una commissione. In realtà, andava nel letto d’una collega cui era morto il marito. Poi, tornava a casa distrutto. Oh, m’ha rovinato il campo di concentramento. Oh, che mal di testa che ho. I tedeschi, con tutte quelle patate mi hanno rovinato lo stomaco quando ero prigionieror in Germania. Ecccheddevoffà. Vado a dormire. Poverino, l’ha rovinato il campo di concentramento. Ha fatto un figlio e poi una figlia con quella schifezza di moglie, ora non gli tira più, ha sempre il mal di testa e deve sempre andare a dormire presto. F; fa anche il secondo lavoro ed il terzo lavoro, e ritorna così distrutto. Oh, che marito e padre esemplare che da solo regge tutt a la famiglia. Essisà, in comune pagano così poco, anche se è dirigente. Deve andare a rimediare il suppllemento altrove. Andava dalla seconda moglie con cui si sollazzava nel letto. A lei era morto il marito. Il figlio di lei cresceva e se ne andava in giro per i fatti suoi. Si piacevano, lei e lui suoi dirigente in comune. Meglio due felici che neppure loro due felici.
Invece lo Scattozzi, faceva tutto lo straordinario possibile lì alla mutua e poi se ne tornava a casa. Niente secondi lavori. Niente scopate corsare. Niente di niente. Non poteva neppure farsi una sega che la moglie metteva il naso dappertutto, pure al cesso. Una “bella” pancia strabordante, non da porco voglioso, bensì da maialone senzsa desideri o che i desideri se li sogna davanti alla Tv che ti fa sentire ancora più inutile e merdacchio. Poi ti canzonano pure dicendoti che e soddistrafatto, per chiarire che lui sei era un vero cattolico e marito e padre esemplare. Esemplare decche? Per chi? Ah, della moglie, Mina che esercitava le sue cattiverie sui figli e su chi capitava a tiro. Quando è morto, Mina ha finto diperazione. Per qualche minuto. Poi, il primo pensiero è stato: diventa duro, s’irrigidisce (il “rigor mortis”), e non possiamo mettergli l’abito buono per la bara ed il funerale. Infatti, dopo i primi minuti di sceneggiata, “oh, m’è appena morto il marito!”, s’è subito messa ad urlare come un’ossessa: “S’irrigidisce! Bisogna subito vestirlo!” ...Boh!!!!!!!
Rita, la più grande, aveva trovato il modo di lasciare l’università (quelle università iniziate perché non si sa bene che fare dopo il diploma) sposandosi con un cattosinistro paranoico e “responsabile” (il classico figlio d’operaio statale “con la testa sulla spalle”, ...sia il padre che il figlio) che aveva conosciuto in treno e che stava ormai finendo una facoltà scentifica per fare il promotore farmaceutico. Squallida “carriera” ma piena di soldi. Infatti si era dato alla politica, pur non professionale, come cattolico-Dc para Pci nelle Acli. Ti copri il culo dal lato della Chiesa-Dc e col culo così coperto fai il para-Pci. Insomma, sei coperto con tutti mentre cooperi a sfasciare Italiozia facendo finta d’essere un cooperante dei salvatori. Hai il tuo lavoro, pur facendo il politico come dopolavoro. Così quando non ti tira più con la moglie ma non osi andare con altre, hai sempre lo “svago” dell’“impegno sociale”. E Mina aveva guadagnato un genero “buono” paranoico da usare all’occorrenza s e i figli avesso scantonato alle sue richieste. Rita, del resto, come figlia maggiore, non poteva certo sottrarsi alla sue “responsabilità” di fronte alla famiglia, cioè alle cattiverie e pazzie di Mina. Ordinarie follie...
Poi c’era Luigi, il terzosecondo ma primo figlio maschio. Un debole come il padre. Un po’ stava dietro alla paranoie della madre, un po’ ne era vittima. Comunque, finita la scuola, il tecnico industriale, s’era trovato un lavoro distante come tecnico di megatubazioni, del tipo delle tubazioni per tipo per oleodotti e simili, che lo portavano in giro per la Padania, forse anche altrove poi. Se, alle figlie, Mina, frugava ansiosa le mutande, per vedere se ci fosse mai stata qualche traccia di sperma e d’eccesso di liquidi femminili da sovreccitazione, e perfino nei pannolini, pe r vedere se avessero le regolari tracce di sangue mestruale, oppure se li cambiassero solo perché sapevano che poi la madre andava a controllare tutto per cessi e cestini, ai figli frugava tutto il resto. Certo, anche per le figlie era d’obbligo avere diari ed altre annotazioni esistenziali sì che Mina passasse le ore a leggerli per scovare tracce di peccati, se mai vi fossero stati peccati. Peccato, per genitori paranoici, è sinonimo di sesso. Se Luigi, in giro pe r lavoro, frequentava bar e baldbracche varie, ecco che la scopeta di lettere di qualcuna innamorata o che si fingeva tale, era fonte di linciaggio familiare da parte di Mina. Le leggeva. Le passava agli altri, alle due figlie ed all’altro figlio, sì che cooperassero nel linciaggio contro “il puttaniere”. Se scopriva medicine da pazzi, tipo psicopillole od altro che servivano a Luigi per rimediare alla pressione ed ai disagi del lavoro (radiografava i tubi posati per controllare che non avessero falle per cui era esposto a aradiazioni oltre che ad altri disagi), ecco che c’era un’altra scusa per scatenare il linciaggio contro Luigi. “Perché non fa pure lui l’impiegato della mutua invece che un tale lavoraccio?!” Se Luigi aveva due “fidanzate”, lì vicino a casa, che volevano sposarlo, Mina l’orientava e lo faceva orientare verso la più pazza e squallida, o verso la meno normale e la meno ficazza. Gli esseri umani o non-umani sono già quel che sono... ...Ha un senso “orientarli” secondo le proprie paranoie?! ...Beh, sarebbe meglio non avere paranoie... Certo, se poi gli occorreva Luigi come maschio maggiore, dunque “capofamiglia”, per qualche carognata da pazza, quando era scoparso il padre, ecco che Mina cercava di mobilitarlo secondo le su e follieparanie. “Sei ora tu il capofamiglia!” Se lui si sottraeva, c’era comunque sempre il genero da mobilitarsi tramite la figliae Rita. Se pure lui non era abbastanza paranoico e folle per le esigenze delle carognate di Mina, c’erano le figlie... o la più pazza tra loro... ...o pure qualche suocera dei figli e figlie...
L’altro figlio, l’ultimo, Giovanni, era il minchione did famiglia. Non perché fosse davvero tale ma perché quello era il ruolo assegnato da Mina. Giovanni era la donna di casa con patente. Mina aveva una sorella, più vecchia di lei ma decisamente migliore di carattere. Una che aveva scopato con gran soddisfazionen col marito che poi era morto o in guerra o poco dopo lasciandole dunque un buon ricordo. Aveva avuto una figlia, Miriam, una gran bella ragazza che s’era laureata in lingue e s’era sposata con un medico, figlio di medici, un “genio”. Uno perfetto, che sapeva tutto, cui tutti dovevano deferenza. Non si capisce perché un tal genio facesse solo il medico dellae mutua o per operai e in un quartiere di periferia e non il genio, amagari a New York, od anche solo il professorone a Pisa, la città universitaria più prossima a quella cittadina ligure. Se non altro, il “genio” aveva saputo rimendiarsi la ficona e se la teneva sempre in casa, gelosissimo, dove lei si trtastullava con lezioni private in varie lingue su scala industriale. Faceva lezione anche a 5 o 10 allievi contemporaneamente, attorno ad un lungo tavolo cui correggeva frasi in Inglese, Francese, Latino ed altre lingue lei sapeva suppongo bene o benissimo. Poi, si schermiva quando i genitori degli allievi le chiedevano quanto le dovessero per le leeizioni private. Se insistevano, chiedeva pochissimo. Del resto, era moglie d’un medico figlio di medici, dunque un benestante, che per giunta era così perfetto oltre che gelosissimo dell a moglie, che non voleva figli potessero fargli ombra. O questo era quello che si sapeva... Chissà che il genio, perfetto, innamoratissimo dell a moglie innamoraomaritissima di lui, non avesse poi qualch e vizietto o vizione inconfessabile. Non è importante. Era così perfetto che neppure si poteva né si può pensare una cosa simile. Anzi, era lui che riferiva sull’uno o sull’altro, sull’una o sull’altra. Come medico, e che medico!, conosceva tutti i segreti non solo della medicina ma della gente. E raccontava “in famiglia” i fatti altrui, dei suoi pazienti. Che così circolavano... Dunque, senza vita sociale, dato che lui era gelosissimo, e con lui sempre occupatissimo a fare il medico, non avevano grande bisogno di soldi. Lei dava lezioni perché, prigioniera in casa, era il suo passatempo quando il marito lavorava.
Giovanni, il figlio minchione, era stato assegnato a lui, anche a lui, il medico, quando ne aveva bisogno. Il grande medico, il genio, la domenica, con la moglie Miriam, nella buona stagione, andava in barca. Gli occorreva un aiuto. Ecco che Mina, la sorella minore della sua sorella maggiore, la suocera del genio, gli dava Giovanni. Il medico se lo portava dunque come ragazzo di fatica per mettere la barca in mare, poi per gestirla. Magari aveva pure bisogno d’un mozzo per remare o chissà per cos’altro. Ogni tanto, il medico genio, guardava questio Giovanni che sprecava il suo tempo, perché una madre cattiva e demente lo prestava al genero dementeo della sorella, e gli sbraitava: “Certo, Giovanni che sei senza amici... ...sei proprio un fallito alla tua età a ridurti a passare le domeniche con noi... ...Giovanni, devo dirtelo, ...sei proprio un gran minchione!” Miriam, pur di carattere buono come la madre, o tale sembrava e sembravano, era così affiatata col marito, che non osava intervenire in favore di Giovanni. Faceva finta di non sentire. Era lui, il medico genio, a pretendere Giovanni gli facesse da ragazzo di fatica per le sue necessità. ...E come ringraziamento gli dava del minchione. Giovnanni lo raccontava poi alla madre Mina che, naturalmente, lo sottoponeva ad ineterrogatorio stringente quando tornava a casa. Mina subito lo raccontava alle figlie ed all’altro figlio, perché potessero scatenare il linciaggio contro il minchione che si facev a trattare da minchione, oltre che raccontare del minchione ad altri ancora perché sapessero che tipo era Giovanni. Mina, un’invidiosa ossessa, mandava Giovanni col genero della sorella e con la nipote perché in realtà sperava di venire a conoscenza di qualche cattiveria da raccontare poi alla sorella (la madre della nipote, Miriam) con cui mettere in cattiva luce i due, con cui seminare zizzania tra i due. Ma certo, le invidiose sono invidiose a tutto campo. Dato che il genio e moglie erano, o almeno sembravano, una coppia perfetta, affiatatissima, visto che da quelle uscite domenicali del figlio Giovanni come mozzo del genio e della sua Miriam riusciva solo a cavarne quelle cattiverie contro Giovanni, Mina s’accontentava di quel che aveva: far linciare il figlio Giovanni come minchione con certificazione medica, il medico “genio” che lo certificava come “minchione”! Giovanni, il minchione di casa, era naturalmente il minchionen di tutti. Mina lo usava coime autista (almeno da quando ebbe la patente), comehe ragazzo da mandare a fare la spesa, per aiutare l’uno o l’altro. Giovnanni, qualunque cosa stesse facendo, doveva sempre essere a disposizione. Lui si fece così il classico in 10 anni e scienze politich e in un altra decina, non perché non c’arrivasse né perché studiasse magari di più del programma normale o leggesse altroel, o avesse altre attività, bensì perché, come minchione di casa,e era il minchione di tutti, innanzitutto, certo, il minchione di Mina.
La seconda figlia, Nikla, seconda di tutta la prole vivente, perché i due figli maschi erano successivi, era una pasticciona agitata. La sua carriera era di cattocomunista da parroccchia.; La parrocchiana delle Acli, in cui faceva, con un’amica, la filo Pci. Una, due, Dc da Pci. Si capirà poi, appieno, che feccia fosse la sottospecie in Italoizia. Gentaglia invidiosa dei “ricchi”, per cui, al servizio obiettivo in realtà di ricchissimi, facevano quelli che infinocchiavano i “poveri” infiorendo il loro essere poveri. Lei passerà, con quella madre demente, dall’essere una squattrinata ad una che, appena ebbe uno stipendio, se lo spendeva i primi 5 giorni nelle demenze più incredibili, dallo sbevazzare, alle cianfusaglie, agli straccetti, ...davvero le cose più inimmaginabili. Una vera frenesia di spendere, tanto poi, a casa, era abituata dalla madre a far debiti dappertutto. Del resto, pure Mina era una così. Montata senza sostanza. Meno hanno soldi, più li buttan via, pur vivendo in modo misero. Nikla era ed è una cattocomunista da bere. Invidiosa di tutti. Ossessa da tutto. Di quelle che da giovani si mascherano dietro discorsi che sembrano grandi idealità, ma che appena si trova a fare i conti con le realtà della vita si smaschera come una demente dominata dalla pazzie e squallide miserie materne. Dall’“alta spiritualità” catto-“rivoluzionaria” al luogocomunismo più squallido.
Mina, col marito debole e senza aspirazioni (solo con fantasie che l’avvilivano ancor di più), che la lasciava libera nella sue follie e cattiverie, aveva così quattro figli e figlie scalcagnati e deboli, pronti a servirla nella propria pratica del male. ...Piccole miserie. ...D’ogni genere.
Mortole il marito, Mina, dopo che pure l’ultimo figlio, il minchione Giovanni, s’era alla fine laureato, trovato un lavoro parastatale e sposato, era andata ad abitare a casa di Rita, la maggiore dei quattro, e famiglia. Prima abitava al secondo piano d’una casetta al cui primo (il pian terreno) abitava la sorella. La casetta, prima di proprietà degli Scattozzi (del marito e del fratello), l’avevano venduta al parente medico. ...Tanto per far cassa e sperperare subito l’incassato, senza neppur pagare i debiti che Mina faceva dappertutto, con la scusa che il fratello di lui voleva disfarsi della sua metà. ...C’abitavano altri... ...potevano rilevarla loro, Mina ed il marito, invece che venderla al medico genio, cioè al genero della sorella di Mina che abitava al primo piano o pian terreno. ...Ma erano così bamba che s’erano pure fatti mangiare dal comune, per usucapione, un pezzo di terreno sì che avevano i poggioli dal lato della strada laterale che davano sulla strada mentre prima erano su una striscia di terreno loro. ...Bastava recintarlo ed ostruirlo. Ma erano troppo bamba, perfino per tutelare banali cose loro. La suocera del medico e sorella di Mina era poi deceduta. Mina s’era inventata che il medico con moglie (la nipote di Mina che ne era la zia) voleva andare ad abitare nella casetta e l’aveva dunque sbattuta in mezzo alla strada. La cosa non era vera. Il medico disponeva d’appartamenti vari, meglio di quella casetta, in un palazzone lì vicino, dove abitava. E comunque aveva i soldi per comprarsi una casetta nuova in luogo più confortevole di quel quartiere.
Usa alla bugiarderia ed alla falsità, Mina aveva convinto tutti che era stata sbattuta in mezzo ad una strada. Paranoici, pazzi ed altri dementi sono sempre solidali tra loro, credono alle menzogne reciproche, per cui il genero “buono” cattocomunista l’aveva subito soccorsa prendendola a casa con loro, dall’altra parte della città. Era quello che lei voleva. Sara, la figlia di Rita e del marito Paolo, crescendo cominciava a pensare solo al cazzo in famiglia ultra-catto-sessuofoba. Tensioni in casa, con continue urla e bisticci. Mina che voleva far la padrona col genero paranoico e senza senso dell’umorismo. Urla e lingue che s’aggiungevano alle tensioni tra figlia e genitori, con Mina ch’era sempre in mezzo con la sua lingua sempre in movimento. Ben presto, il genero Paolo, il “buono” e “responsabile” cattocomunista militante, non ce l’aveva fatta più. Mina aveva talmente disperato tutti che l’avevano mandata in un’appartamentino indipendente nella casetta indipendente dei genitori del genero di Mina. Sfortunatamente lì vicino, per cui l’avevano appiccicosa, infida e cattiva, sempre tra i piedi lo stesso. Beh, se non altro non origliava quando marito e moglie scopavano, se scopavano ancora qualche volta, e non faceva poi sorrisetti e commenti morbosi dopo, quando li incontrava nell’appartamento non piccolissimo ma neppure grandissimo. O non origliava e non metteva lingua ad ogni ora nelle cose loro, non frugava l’appartamento, approfittando d’ogni loro assenza, etc., non abitando più lì. Lui, Paolo, ormai sul nevrotico aperto, dopo un decennio e mezzo di matrimonio, aveva detto chiaro alla moglie Rita che non voleva vedersi la suocera Mina attorno quando, tardi, tornava a casa stanco d’una giornata di lavoro o dopo le attività sociali e politiche. L’avevano elemosinata d’un locale lì vicino. Che se ne stesse a cuccia, almeno quando lui rientrava a casa. Nessuno fa la vita da film ‘meregano tra feste, sorrisi, battute brillanti. Uno ha magari voglia di buttarsi in mutande sul letto, sul divano, di stendersi sul tappeto, di mettersi sulla sdraia sul grande balcone (avevano un’attico, tutto il piano, in una palazzina, lì in quella periferia estrema, come un’enclave tra la città e poi le borgate ed i comuni marinari e di cantieri nella parte orientale del golfo), di starsene in silenzo, o col solo rumorìo d’una tv, d’una radio, d’uno stereo o dei semplici vocii della notte e delle cicale. Magari c’è la moglie che ha voglia di dire qualcosa. Non è che un essere umano voglia sentirsi il gracchiare d’una suocera malvagia, piccola, infida, disgustosa, viscida, una che pur vecchia non sappia rifugiarsi in una bottiglia oppure far ginnastica, tenersi ed aggiustarsi appena ed andare in cerca di qualche cazzo di qualcuno cui piaccia la fica vecchia. Non che spesso si possa essere felici. Ma pure una suocera, o una madre, o altra disgustosa che ti gracchi e ti ronzi attorno con mille “gentilezze” che avrebbero spinto un qualunque Paolo a getterasi dalla terrazza oppure andare in albergo a dormire solo senza tali familari attorno, è spesso troppo per chiunque.
Intanto, Mina, pur sloggiata dal loro appartamento, s’ingegnava con le sue cattiverie morbose a cercare di rovinare la vita a Rita e Paolo e famiglia. Poi naturalmente a Luigi e moglie ed a Giovanni e moglie, entrambi sposati distanti a Milano ed a Torino. Certo, s’accaniva pure con Nikla incitandola a cattiverie contro il marito che stufo di quelle sceme ossesse e spendone senza soldi (che Nikla si spendeva tutti, appena ne aveva e poi ne pretendeva altri da lui per continuare a spendere ben al di sopra delle loro possibilità) se ne era andato per i fatti suoi. Piena di prosopopea, Mina si considerava il centro del mondo. Se trovava dementi ossessi come lei, e li trovava, la assecondavano. Appunto, tra maniaci e malvagi si sostengono sempre. Solidarietà tra pazzi ossessi e pazze ossesse, tra malate e malati, tra maniache e maniaci, tra pidocchie e pidocchi. Per far del male a chiunque riuscissero a raggiungere.
Come tutte le dementi invidiose ossesse, Mina era in agitazione permanente per tutti coloro riusciva in qualche modo a raggiungere. Anzi era ossessionata da tutti. Ma non riuscendo a raggiungere molti era ancora più ossessionata dal dover riuscire a far del male a coloro riusciva a raggiungere. La prima nipote, Sara, la figlia di Rita, cresceva e cominciava a pensare solo al cazzo. L’abbiam detto. Pur appena quasi adolescente, ancora alle medie inferiori. In quartiere popolare, aveva voglia di limonare coi ragazzi, di farsi toccare, di farsi scopare. Mina ne era ossessa. Aggrediva la figlia, Rita, ed il genero, Paolo, che si doveva bloccare Sara, la si doveva chiudere in casa, controllarla, non farle vedere nessuno, imbottirla di calmanti, sorvegliarla la vicino. Mina aveva i tremori a pensare che qualcuna della famiglia potesse godersela. “Puttana! Puttana!”, urlava rabbiosa pensando a Sara, stringendo i pugni ed i denti quando nessuno la vedeva e sentiva. Già Rita e Paolo erano ossessi di loro contro la figlia Sara che pensava solo al cazzo e lo diceva e lo faceva vedere che pensava solo a quello. La sentivano che si toccava e vagiva nella sua stanza. La sentivano che telefonava e parlava con le amiche, morbosa, di ragazzi. Appunto, non ce l’avevano più fatta ad avere pure quella pazza invidiosa scatenata di Mina in casa. L’avevano mandata a vivere poche decine di metri più in là. Poi, Mina s’era scatenata pure contro l’altra pesudo-nipote [non era davvero figlia della figlia Nikla, era stato un altro caso d’ovulo impiantato con magia con successiva fecondazione paterna, racconteremo tra breve (i tempi sono giunti) delle magie giudaiche di Clorinda e della Profezia] Serena. La pseudo-madre di Serena, Nikla, era ossessa che la pseudo-figlia potesse innamorarsi d’un ragazzo. Era infine successo. Lo disse alla madre Mina, la pseudo-nonna di Serena che si scatenò pure lei. Pure l’altra pseudo-nonna. “È innamorata! È felice! Se la gode!”: basta questo a scatenare i deliri ossessivi dei dementi invidiosi ossessi. Mina e Nikla convolsero, dunque, pure l’altra pesudo-nonna [anche lì, Roberto, il padre di Serana, non era davvero figlio di Franca, era stato un caso d’ovulo impiantato con magia con successiva fecondazione paterna, racconteremo tra breve (i tempi sono giunti) di questa precedente magia giudaica di Clorinda e della Profezia], Franca. Le tre pazze scatenate contro Serena. Aiuteranno solo la Profezia. Ciò non toglie che erano pazze ossesse in delirio distruttivo (almeno nelle intenzioni loro) ed autodistruttivo.
E così, Mina era in permanente deliri ed invidie contro gli altri nipoti, così come già contro figlie, figli, e congiunti e congiunte, contro tutti. Non aveva altro nella vita e dalla vita.
Anche di fronte alla morte, Mina s’è presentata in pieno delirio. Dopo avere confessato al prete che era senza peccato e che perdonava tutti coloro cui lei aveva fatto malvagità (...anzi, aveva raccontato al prete che tutti avevano sempre fatto malvagità a lei), aveva annunciato solenne a familiari che dementi la stavano ad ascoltare che lei perdonava tutti. Nessuno di coloro lei “perdonava” l’aveva mai pisciata. Era lei che passava le giornate ed usava figlie e figli ossessi come lei a cercare di far del male a tutti coloro poteva. Comunque, non aveva anima. Appena morta, da pidocchia viva è divenuta pidocchia morta. Nessun paradiso né nessun inferno si preoccupa di pidocchi e pidocchie. Inutilità che scorrono come l’acqua di fogna. Mina era tornata negli escrementi delle fogne e s’era dissolta nella terra e nel mare senza lasciare traccia.
by Georg Rukacs
Guglielmina, detta, abbreviando, Mina. Nata verso gli inizi del XX secolo. Od un po’ dopo. Non prima. O di Siena, o di Rapolano, o di qualche altra parte della Toscana. Il cognome era forse Scattozzi o qualcosa del genere. Di quelle e quelli che si sposano tra cugini. Infatti, Mina era sposata con un cugino con lo stesso cognome. Poi erano emigrati in Liguria.
Già da piccola era la ruffianetta della madre. La madre di Mina era già lei sull’ossesso. Bifolca ed ossessa. Di quelle che vivono per gettarsi sui figli ed ingerirsi in qualunque cosa facciano. Una concezione di famiglia come possesso, come adulti sbirraglia e figli da essere “guidati” ad ogni passo, come burattini e schiavi. È la concezione contadina del bestiame. Peggio. Una è malata e si dice che lo fa per la famiglia e perché così si deve fare in famiglia e per la famiglia. Sono malati, ed allora “guidano” gli altri.
Mina raccontava tutto alla madre. Curiosava. Metteva il naso dappertutto. Ed andava a riferire. Prova un gusto freddamente sadico a far del male. Ciò che la faceva sentire in pace con sé stessa e col mondo, cioè con la madre che la voleva proprio così. Non che si sentisse proprio in pace in pace. Per un attimo si sentiva come in pace ed ecco che subito subentrava l’ansia di continuare a fare del male. Cattolicissimi naturalmente. Obbedienza e dir tutto. Far del male e poi andare in chiesa per dirsi che è così che si doveva fare, che tale era l’ordine naturale. Perché il prossimo lo si fotte, o si cerca di fottterlo, per sentirsi in ordine con l’ordine costituito, che poi era una famiglia gretta che si riproduceva senza senso e senza ambizioni. La sorella maggiore era appena più libera, per quanto non è che facesse grandi cose. Mina cercava di farsi dire tutto e poi andava a riferire alla madre per mettere la sorella maggiore in cattiva luce. Ma lo faceva con tutti. Si diceva, tra sé e sé, che era stata mandata dalla Madonna per punire i cattivi, per cui ogni cattiveria lei facesse, era il Il Bene. Se faceva la spiona era bene, Il Bene, lo faceva per la Madonna. “Brava Mina che mi aiuti a controllare la famiglia.” “Grazie, mammina che ti posso aiutare.” Infine, era arrivata all’età da sposarsi.
Lui era un cugino. Ragazzo di grandi sogni ma senza carattere. Faceva quello che facevano tutti, pur facendosi trascinare. E sognava. Però si sentiva poi obbligato a seguire chiunque lo trascinasse. Era il tempo dei casini. L’avevano portato al casino. Un casino con prostitute un po’ schifose e puzzolenti. Costavano meno. Fatto il suo apprendistato di “donne” a quel modo, certo continuava a pensare ad una gran ficona con cui passare la vita. Gli avevano combinato con Mina, piccolina, bruttina, gretta, infida, senz’alcuna attrattiva, senza neppure qualche seducenza del carattere. Lui sognava. Ma l’avevano trascinato fino all’altare. S’era detto, tra sè e sè, ch’era sempre meglio delle prostitute del casino. Se non altro era più giovane e non era una prostituta. S’era consolato così.
S’erano spostati. Lei, dopo la prima notte, alla madre ansiosa e morbosamente curiosa che fingendo freddezza professionale, da “vera” madre di famiglia che si “preoccupa” per i figli, le aveva chiesto: “Mammina, sono proprio una brava moglie... ...L’ho fatto contento... ...Poi ha dormito... …Non mi ha neppure fatto tanto male... ...Io intanto pregavo... ...Sì, sono proprio una brava moglie ed una brava cristiana...” E così via, sulla sua nuova vita da casalinga con marito. ...A raccontare alla madre che da brava spiona di casa ora era divenuta “brava moglie”. ...Dal far cattiverie come figlia, a far cattiverie come moglie.
La guerra. Grandi sogni, anche lì, lui. Nessun sogno s’era realizzato. Le guerre sono una schifezza. Non è che da ufficiale di complemento in una guerra persa, uno senza carattere ne tiri fuori molto. Era tornato. Ah, sì, ne aveva tirato fuori un posto statale, dove contrariamente ad altri non s’era neppure dato troppo a sgomitate e traffici. Col lavoro statale, il trasferimento in Liguria, dov’erano poi sempre restati, un una cittadina pur capoluogo di provincia. Tra gli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, avevano in tutto avuto cinque figli, di cui il primo morto appena nato. Rita, Nikla, Luigi, Giovanni. Tutti castrati dalla madre Mina e con, sotto il naso, l’esempio quotidiano d’un padre debole e debosciato, ...certo, con grandi sogni segreti.
Mina passava le sue giornate a cucinare cose impossibili salatissime e durissime. Di quelle che rovinano cuore e sangue oltre che che i nervi, dato che mangiare polli pietrificati od altre cose secche a quel modo non è poi una grande piacevolezza. E se non erano durissime, erano comunque salatissime e saporitissime. Intanto si dilettava a sorvegliare figlie e figli. Frugava gli assorbenti delle figlie, così come tasche, borse, lettere, diari, tutto, di tutti. Lo considerava il suo dovere. Se scopriva qualcosa la diceva a tutti come incitamento perché anche gli altri della famiglia si sorvegliassero tra di loro e riferissero a lei ed tutti. Spiare e linciare. Spiarsi e linciarsi.
Il marito, vissuto di sogni, di quello che avrebbe potuto fare da pensionato, era andato in pensione i primi anni ’70. Ed era subito morto. Pancia troppo grossa da troppo mangiare. Più nessuna speranza dopo che l’agognata pensione era solo noia e fare i conti con quello che non aveva fatto e non avrebbe mai fatto.
Naturalmente, Mina metteva il naso pesantemente nelle cose di tutti. Già detto. Al marito non c’era nulla da controllare. Era tutto casa ed ufficio senza alcuna attività esterna che giustificasse una sua vita parallela alle noie della famiglia. Mina lo tormentava con l’affettatezza ed il cibo malsano, salatissimo, duro ed abbondante che lo porterà presto alla tomba. Neppure la vivacità d’una moglie con cui bisticciare. Lei viscida. Lui buono ma rinunciatario.
Riscossa la liquidazione, se n’erano volati a Londra per uno squallido viaggio. Non che sia squallido viaggiare. Ma si vive una vita sognando cose che non si fanno né si faranno mai. In pensione si va poi qualche giorno a Londra in gita organizzata. Quelle cose senza senso che a tanti piacciono. Eppure qualcuno se ne rende conto. Il primo viaggio dopo una vita di sogni non realizzati. La pancia. Una moglie che ti fa schifo. Neppure grandi soldi per diletttarsi in scialacqui. Ecco il mondo è quello. Vedi, vedi. E tu sei lì. Poi, appena in tempo per farsi mangiare tutta la liquidazione da un fondo di investimento per polli da derubare. Investi ...e dopo pochi mesi è tutto sparito. Più nulla. Passi le giornate uscendo la mattina a fotografare i silos del porto. Poi, a casa. La moglie disgustosa. Il cibo disgustoso. La TV. Vorresti leggere. Tutta la vita hai sognato di leggere. “Ah, appena andrò in pensione....” Poi, in pensione, non ne hai voglia. Che leggi? Che scrivi? Per chi? Per te? Ma non te ne frega nulla davvero, sennò l’avresti fatto già prima, dal primo giorno, senza rinviare. Ti saresti scelto un’altra vita, od avresti rotto con una vitae, con vite, non sentivi come tueti. Un fratello, pur sposatosi, una ficona, se n’era poi andato, senza di lei, all’estero a cercarsi un’altra vita, altre vite. Non lui. Lui era restaito lì. A far l’impoiegatucolo della mutua, con Mina quando tornava a casa. La pensione. I silos del porto cui vai a far foto. Un giorno, schifato, rientri prima. Ti metti a letto perché non ti senti in sesto. Non ti rialzi più. Ecco, era morto così. Lo schifo del pranzo non ancora fatto, dopo essere uscito per uscire, “maritino mio, vai a far due passi”. Ecco, rientri, ti metti nel letto, perché non ti senti bene e crepi. Tra lo schifo dell’uscire senza senso ed un pranzo disgustoso preparato da una moglie disgustosa. Ecco, ti manca il coraggio pure di quello. Ah, potresti passare dalla banca. Ritirare tutto (prima d’essertelo fatto fregare da qualche giovane baldanzoso d’un qualche fondo d’investimento truffa, ma, anche, a maggior ragione, dopo... ...hai sempre la pensione). Andare all’aeroporto. Vedere dove t’ispira andare a vivere per gli anni od i decenni successivi. Ed andarci. Subito. Senza voltarti. Hai la liquidazione, o quel che è restato. Hai la pensione. A casa sono tutti grandi. Lavorano già tutti (e sperperano pure già tutti, come tutti quelli cresciuti senza soldi in tasca, “grazie” alla madre sbirra e demente che non ha mai dato loro la “paghetta” settimanale! ...preferendo il caso per caso), il “minchione” escluso. La moglie, può andare dall’una o dall’altro... ...Dopo che te la sei sopportata una vita... Mannò, non ci si sveglia a 60 anni... Crepi e lasci la pensione (di riversibilità) alla moglie che t’ha rovinato la vita e che t’ammazza col viscidume e col pollo duro e salatissimo. ...Dopo che uno è vissuto da minchione per sei decenni... ...Che deve fare dopo?! Andarsene all’improvviso, subito, o dopo lunga malattia. Deve averci pensato. ...Una lunga malattia con quella viscida e tutto il viscidume di contorno a “curarlo”. Se n’è andato subito. Il cuore si ferma ed è tutto risolto.
Intanto, Mina, con la sua cattiveria profonda e radicata, indifferente a questo marito pavidoindifferente pur tormentato da quellao vita squallida, spadroneggiava. Lui era la fonte di reddito e la copertura per la sua vita d’ossessa, ossessa freddamente e viscidamente maniacale. Prima che lui tirasse le cuoia, poi durante le settimane super-maniacali della sepoltura e del lutto, e dopo, . Mina, faceva la capa-famiglia, con lui che disgustato la lasciava fare con gli scantonamenti tipici delgi scantonamenti di chi voleva pure risparmiarsi quel supplemento di disagio esistenziale. Lui non riusciva a celare gli arrossimenti del viso. Un arrossimento e si faceva da parte: “Vedi tu Mina.” “Siii” “Uhmmm” Gli bastava, fare il capotavola posizionato in direzione della porta. Ecco, era “il capofamiglia”. A tavola. Che non gli rompessero i coglioni ulteriormente. Sorrideva schivo e si sottraeva quando Mina gli raccontava i pettegolezzi di casa. Arrossiva e scantonava. Macchemmenefrega Mina, fa che va bene, anzi va malissimo, ma già sto male a fare questa vita senza senszo, de vo pure crucciarmi pe r le cose pe r cui maniacalmente ti crucci, anzi ti diverti e ci sguazzi, tu?, ...già mi cruccio a sentire tu che vorresti coinvolgermi..più. Gli altri divenivano dirigenti, pur coin semplice diploma. Facevano i sindacalisti. Scaopavano colleghe o mignotte esterne. Prendevano sostanziose bustarelle o si gettavano in seconde e terze attività. Certo i soldi non fanno la felicità ma aiutano. Meglio infelice coi soldi, che infelice senza. C’è chi di bustarelle e secondi e terzi lavori si fa una seconda famiglia, od anche terza o quarta, ed oltre, con un letto o letti che supplisconoe al primoa squallido e senza interesse. Esco, per il secondo lavoro... Ecco, sono di ritorno. Oih, come sono stanco vado subito a dormire. Il mezzo-fratello di mio padre che era, pur con semplice diploma da maestro, dirigente in Comune, è andato avanti così per decenni. Usciva. Andava ad aiutare il tale od a fare il promotore farmaceutico. Passava del negozio dove aiutava. Oh, resto poco che devo andare a fare una commissione. In realtà, andava nel letto d’una collega cui era morto il marito. Poi, tornava a casa distrutto. Oh, m’ha rovinato il campo di concentramento. Oh, che mal di testa che ho. I tedeschi, con tutte quelle patate mi hanno rovinato lo stomaco quando ero prigionieror in Germania. Ecccheddevoffà. Vado a dormire. Poverino, l’ha rovinato il campo di concentramento. Ha fatto un figlio e poi una figlia con quella schifezza di moglie, ora non gli tira più, ha sempre il mal di testa e deve sempre andare a dormire presto. F; fa anche il secondo lavoro ed il terzo lavoro, e ritorna così distrutto. Oh, che marito e padre esemplare che da solo regge tutt a la famiglia. Essisà, in comune pagano così poco, anche se è dirigente. Deve andare a rimediare il suppllemento altrove. Andava dalla seconda moglie con cui si sollazzava nel letto. A lei era morto il marito. Il figlio di lei cresceva e se ne andava in giro per i fatti suoi. Si piacevano, lei e lui suoi dirigente in comune. Meglio due felici che neppure loro due felici.
Invece lo Scattozzi, faceva tutto lo straordinario possibile lì alla mutua e poi se ne tornava a casa. Niente secondi lavori. Niente scopate corsare. Niente di niente. Non poteva neppure farsi una sega che la moglie metteva il naso dappertutto, pure al cesso. Una “bella” pancia strabordante, non da porco voglioso, bensì da maialone senzsa desideri o che i desideri se li sogna davanti alla Tv che ti fa sentire ancora più inutile e merdacchio. Poi ti canzonano pure dicendoti che e soddistrafatto, per chiarire che lui sei era un vero cattolico e marito e padre esemplare. Esemplare decche? Per chi? Ah, della moglie, Mina che esercitava le sue cattiverie sui figli e su chi capitava a tiro. Quando è morto, Mina ha finto diperazione. Per qualche minuto. Poi, il primo pensiero è stato: diventa duro, s’irrigidisce (il “rigor mortis”), e non possiamo mettergli l’abito buono per la bara ed il funerale. Infatti, dopo i primi minuti di sceneggiata, “oh, m’è appena morto il marito!”, s’è subito messa ad urlare come un’ossessa: “S’irrigidisce! Bisogna subito vestirlo!” ...Boh!!!!!!!
Rita, la più grande, aveva trovato il modo di lasciare l’università (quelle università iniziate perché non si sa bene che fare dopo il diploma) sposandosi con un cattosinistro paranoico e “responsabile” (il classico figlio d’operaio statale “con la testa sulla spalle”, ...sia il padre che il figlio) che aveva conosciuto in treno e che stava ormai finendo una facoltà scentifica per fare il promotore farmaceutico. Squallida “carriera” ma piena di soldi. Infatti si era dato alla politica, pur non professionale, come cattolico-Dc para Pci nelle Acli. Ti copri il culo dal lato della Chiesa-Dc e col culo così coperto fai il para-Pci. Insomma, sei coperto con tutti mentre cooperi a sfasciare Italiozia facendo finta d’essere un cooperante dei salvatori. Hai il tuo lavoro, pur facendo il politico come dopolavoro. Così quando non ti tira più con la moglie ma non osi andare con altre, hai sempre lo “svago” dell’“impegno sociale”. E Mina aveva guadagnato un genero “buono” paranoico da usare all’occorrenza s e i figli avesso scantonato alle sue richieste. Rita, del resto, come figlia maggiore, non poteva certo sottrarsi alla sue “responsabilità” di fronte alla famiglia, cioè alle cattiverie e pazzie di Mina. Ordinarie follie...
Poi c’era Luigi, il terzosecondo ma primo figlio maschio. Un debole come il padre. Un po’ stava dietro alla paranoie della madre, un po’ ne era vittima. Comunque, finita la scuola, il tecnico industriale, s’era trovato un lavoro distante come tecnico di megatubazioni, del tipo delle tubazioni per tipo per oleodotti e simili, che lo portavano in giro per la Padania, forse anche altrove poi. Se, alle figlie, Mina, frugava ansiosa le mutande, per vedere se ci fosse mai stata qualche traccia di sperma e d’eccesso di liquidi femminili da sovreccitazione, e perfino nei pannolini, pe r vedere se avessero le regolari tracce di sangue mestruale, oppure se li cambiassero solo perché sapevano che poi la madre andava a controllare tutto per cessi e cestini, ai figli frugava tutto il resto. Certo, anche per le figlie era d’obbligo avere diari ed altre annotazioni esistenziali sì che Mina passasse le ore a leggerli per scovare tracce di peccati, se mai vi fossero stati peccati. Peccato, per genitori paranoici, è sinonimo di sesso. Se Luigi, in giro pe r lavoro, frequentava bar e baldbracche varie, ecco che la scopeta di lettere di qualcuna innamorata o che si fingeva tale, era fonte di linciaggio familiare da parte di Mina. Le leggeva. Le passava agli altri, alle due figlie ed all’altro figlio, sì che cooperassero nel linciaggio contro “il puttaniere”. Se scopriva medicine da pazzi, tipo psicopillole od altro che servivano a Luigi per rimediare alla pressione ed ai disagi del lavoro (radiografava i tubi posati per controllare che non avessero falle per cui era esposto a aradiazioni oltre che ad altri disagi), ecco che c’era un’altra scusa per scatenare il linciaggio contro Luigi. “Perché non fa pure lui l’impiegato della mutua invece che un tale lavoraccio?!” Se Luigi aveva due “fidanzate”, lì vicino a casa, che volevano sposarlo, Mina l’orientava e lo faceva orientare verso la più pazza e squallida, o verso la meno normale e la meno ficazza. Gli esseri umani o non-umani sono già quel che sono... ...Ha un senso “orientarli” secondo le proprie paranoie?! ...Beh, sarebbe meglio non avere paranoie... Certo, se poi gli occorreva Luigi come maschio maggiore, dunque “capofamiglia”, per qualche carognata da pazza, quando era scoparso il padre, ecco che Mina cercava di mobilitarlo secondo le su e follieparanie. “Sei ora tu il capofamiglia!” Se lui si sottraeva, c’era comunque sempre il genero da mobilitarsi tramite la figliae Rita. Se pure lui non era abbastanza paranoico e folle per le esigenze delle carognate di Mina, c’erano le figlie... o la più pazza tra loro... ...o pure qualche suocera dei figli e figlie...
L’altro figlio, l’ultimo, Giovanni, era il minchione did famiglia. Non perché fosse davvero tale ma perché quello era il ruolo assegnato da Mina. Giovanni era la donna di casa con patente. Mina aveva una sorella, più vecchia di lei ma decisamente migliore di carattere. Una che aveva scopato con gran soddisfazionen col marito che poi era morto o in guerra o poco dopo lasciandole dunque un buon ricordo. Aveva avuto una figlia, Miriam, una gran bella ragazza che s’era laureata in lingue e s’era sposata con un medico, figlio di medici, un “genio”. Uno perfetto, che sapeva tutto, cui tutti dovevano deferenza. Non si capisce perché un tal genio facesse solo il medico dellae mutua o per operai e in un quartiere di periferia e non il genio, amagari a New York, od anche solo il professorone a Pisa, la città universitaria più prossima a quella cittadina ligure. Se non altro, il “genio” aveva saputo rimendiarsi la ficona e se la teneva sempre in casa, gelosissimo, dove lei si trtastullava con lezioni private in varie lingue su scala industriale. Faceva lezione anche a 5 o 10 allievi contemporaneamente, attorno ad un lungo tavolo cui correggeva frasi in Inglese, Francese, Latino ed altre lingue lei sapeva suppongo bene o benissimo. Poi, si schermiva quando i genitori degli allievi le chiedevano quanto le dovessero per le leeizioni private. Se insistevano, chiedeva pochissimo. Del resto, era moglie d’un medico figlio di medici, dunque un benestante, che per giunta era così perfetto oltre che gelosissimo dell a moglie, che non voleva figli potessero fargli ombra. O questo era quello che si sapeva... Chissà che il genio, perfetto, innamoratissimo dell a moglie innamoraomaritissima di lui, non avesse poi qualch e vizietto o vizione inconfessabile. Non è importante. Era così perfetto che neppure si poteva né si può pensare una cosa simile. Anzi, era lui che riferiva sull’uno o sull’altro, sull’una o sull’altra. Come medico, e che medico!, conosceva tutti i segreti non solo della medicina ma della gente. E raccontava “in famiglia” i fatti altrui, dei suoi pazienti. Che così circolavano... Dunque, senza vita sociale, dato che lui era gelosissimo, e con lui sempre occupatissimo a fare il medico, non avevano grande bisogno di soldi. Lei dava lezioni perché, prigioniera in casa, era il suo passatempo quando il marito lavorava.
Giovanni, il figlio minchione, era stato assegnato a lui, anche a lui, il medico, quando ne aveva bisogno. Il grande medico, il genio, la domenica, con la moglie Miriam, nella buona stagione, andava in barca. Gli occorreva un aiuto. Ecco che Mina, la sorella minore della sua sorella maggiore, la suocera del genio, gli dava Giovanni. Il medico se lo portava dunque come ragazzo di fatica per mettere la barca in mare, poi per gestirla. Magari aveva pure bisogno d’un mozzo per remare o chissà per cos’altro. Ogni tanto, il medico genio, guardava questio Giovanni che sprecava il suo tempo, perché una madre cattiva e demente lo prestava al genero dementeo della sorella, e gli sbraitava: “Certo, Giovanni che sei senza amici... ...sei proprio un fallito alla tua età a ridurti a passare le domeniche con noi... ...Giovanni, devo dirtelo, ...sei proprio un gran minchione!” Miriam, pur di carattere buono come la madre, o tale sembrava e sembravano, era così affiatata col marito, che non osava intervenire in favore di Giovanni. Faceva finta di non sentire. Era lui, il medico genio, a pretendere Giovanni gli facesse da ragazzo di fatica per le sue necessità. ...E come ringraziamento gli dava del minchione. Giovnanni lo raccontava poi alla madre Mina che, naturalmente, lo sottoponeva ad ineterrogatorio stringente quando tornava a casa. Mina subito lo raccontava alle figlie ed all’altro figlio, perché potessero scatenare il linciaggio contro il minchione che si facev a trattare da minchione, oltre che raccontare del minchione ad altri ancora perché sapessero che tipo era Giovanni. Mina, un’invidiosa ossessa, mandava Giovanni col genero della sorella e con la nipote perché in realtà sperava di venire a conoscenza di qualche cattiveria da raccontare poi alla sorella (la madre della nipote, Miriam) con cui mettere in cattiva luce i due, con cui seminare zizzania tra i due. Ma certo, le invidiose sono invidiose a tutto campo. Dato che il genio e moglie erano, o almeno sembravano, una coppia perfetta, affiatatissima, visto che da quelle uscite domenicali del figlio Giovanni come mozzo del genio e della sua Miriam riusciva solo a cavarne quelle cattiverie contro Giovanni, Mina s’accontentava di quel che aveva: far linciare il figlio Giovanni come minchione con certificazione medica, il medico “genio” che lo certificava come “minchione”! Giovanni, il minchione di casa, era naturalmente il minchionen di tutti. Mina lo usava coime autista (almeno da quando ebbe la patente), comehe ragazzo da mandare a fare la spesa, per aiutare l’uno o l’altro. Giovnanni, qualunque cosa stesse facendo, doveva sempre essere a disposizione. Lui si fece così il classico in 10 anni e scienze politich e in un altra decina, non perché non c’arrivasse né perché studiasse magari di più del programma normale o leggesse altroel, o avesse altre attività, bensì perché, come minchione di casa,e era il minchione di tutti, innanzitutto, certo, il minchione di Mina.
La seconda figlia, Nikla, seconda di tutta la prole vivente, perché i due figli maschi erano successivi, era una pasticciona agitata. La sua carriera era di cattocomunista da parroccchia.; La parrocchiana delle Acli, in cui faceva, con un’amica, la filo Pci. Una, due, Dc da Pci. Si capirà poi, appieno, che feccia fosse la sottospecie in Italoizia. Gentaglia invidiosa dei “ricchi”, per cui, al servizio obiettivo in realtà di ricchissimi, facevano quelli che infinocchiavano i “poveri” infiorendo il loro essere poveri. Lei passerà, con quella madre demente, dall’essere una squattrinata ad una che, appena ebbe uno stipendio, se lo spendeva i primi 5 giorni nelle demenze più incredibili, dallo sbevazzare, alle cianfusaglie, agli straccetti, ...davvero le cose più inimmaginabili. Una vera frenesia di spendere, tanto poi, a casa, era abituata dalla madre a far debiti dappertutto. Del resto, pure Mina era una così. Montata senza sostanza. Meno hanno soldi, più li buttan via, pur vivendo in modo misero. Nikla era ed è una cattocomunista da bere. Invidiosa di tutti. Ossessa da tutto. Di quelle che da giovani si mascherano dietro discorsi che sembrano grandi idealità, ma che appena si trova a fare i conti con le realtà della vita si smaschera come una demente dominata dalla pazzie e squallide miserie materne. Dall’“alta spiritualità” catto-“rivoluzionaria” al luogocomunismo più squallido.
Mina, col marito debole e senza aspirazioni (solo con fantasie che l’avvilivano ancor di più), che la lasciava libera nella sue follie e cattiverie, aveva così quattro figli e figlie scalcagnati e deboli, pronti a servirla nella propria pratica del male. ...Piccole miserie. ...D’ogni genere.
Mortole il marito, Mina, dopo che pure l’ultimo figlio, il minchione Giovanni, s’era alla fine laureato, trovato un lavoro parastatale e sposato, era andata ad abitare a casa di Rita, la maggiore dei quattro, e famiglia. Prima abitava al secondo piano d’una casetta al cui primo (il pian terreno) abitava la sorella. La casetta, prima di proprietà degli Scattozzi (del marito e del fratello), l’avevano venduta al parente medico. ...Tanto per far cassa e sperperare subito l’incassato, senza neppur pagare i debiti che Mina faceva dappertutto, con la scusa che il fratello di lui voleva disfarsi della sua metà. ...C’abitavano altri... ...potevano rilevarla loro, Mina ed il marito, invece che venderla al medico genio, cioè al genero della sorella di Mina che abitava al primo piano o pian terreno. ...Ma erano così bamba che s’erano pure fatti mangiare dal comune, per usucapione, un pezzo di terreno sì che avevano i poggioli dal lato della strada laterale che davano sulla strada mentre prima erano su una striscia di terreno loro. ...Bastava recintarlo ed ostruirlo. Ma erano troppo bamba, perfino per tutelare banali cose loro. La suocera del medico e sorella di Mina era poi deceduta. Mina s’era inventata che il medico con moglie (la nipote di Mina che ne era la zia) voleva andare ad abitare nella casetta e l’aveva dunque sbattuta in mezzo alla strada. La cosa non era vera. Il medico disponeva d’appartamenti vari, meglio di quella casetta, in un palazzone lì vicino, dove abitava. E comunque aveva i soldi per comprarsi una casetta nuova in luogo più confortevole di quel quartiere.
Usa alla bugiarderia ed alla falsità, Mina aveva convinto tutti che era stata sbattuta in mezzo ad una strada. Paranoici, pazzi ed altri dementi sono sempre solidali tra loro, credono alle menzogne reciproche, per cui il genero “buono” cattocomunista l’aveva subito soccorsa prendendola a casa con loro, dall’altra parte della città. Era quello che lei voleva. Sara, la figlia di Rita e del marito Paolo, crescendo cominciava a pensare solo al cazzo in famiglia ultra-catto-sessuofoba. Tensioni in casa, con continue urla e bisticci. Mina che voleva far la padrona col genero paranoico e senza senso dell’umorismo. Urla e lingue che s’aggiungevano alle tensioni tra figlia e genitori, con Mina ch’era sempre in mezzo con la sua lingua sempre in movimento. Ben presto, il genero Paolo, il “buono” e “responsabile” cattocomunista militante, non ce l’aveva fatta più. Mina aveva talmente disperato tutti che l’avevano mandata in un’appartamentino indipendente nella casetta indipendente dei genitori del genero di Mina. Sfortunatamente lì vicino, per cui l’avevano appiccicosa, infida e cattiva, sempre tra i piedi lo stesso. Beh, se non altro non origliava quando marito e moglie scopavano, se scopavano ancora qualche volta, e non faceva poi sorrisetti e commenti morbosi dopo, quando li incontrava nell’appartamento non piccolissimo ma neppure grandissimo. O non origliava e non metteva lingua ad ogni ora nelle cose loro, non frugava l’appartamento, approfittando d’ogni loro assenza, etc., non abitando più lì. Lui, Paolo, ormai sul nevrotico aperto, dopo un decennio e mezzo di matrimonio, aveva detto chiaro alla moglie Rita che non voleva vedersi la suocera Mina attorno quando, tardi, tornava a casa stanco d’una giornata di lavoro o dopo le attività sociali e politiche. L’avevano elemosinata d’un locale lì vicino. Che se ne stesse a cuccia, almeno quando lui rientrava a casa. Nessuno fa la vita da film ‘meregano tra feste, sorrisi, battute brillanti. Uno ha magari voglia di buttarsi in mutande sul letto, sul divano, di stendersi sul tappeto, di mettersi sulla sdraia sul grande balcone (avevano un’attico, tutto il piano, in una palazzina, lì in quella periferia estrema, come un’enclave tra la città e poi le borgate ed i comuni marinari e di cantieri nella parte orientale del golfo), di starsene in silenzo, o col solo rumorìo d’una tv, d’una radio, d’uno stereo o dei semplici vocii della notte e delle cicale. Magari c’è la moglie che ha voglia di dire qualcosa. Non è che un essere umano voglia sentirsi il gracchiare d’una suocera malvagia, piccola, infida, disgustosa, viscida, una che pur vecchia non sappia rifugiarsi in una bottiglia oppure far ginnastica, tenersi ed aggiustarsi appena ed andare in cerca di qualche cazzo di qualcuno cui piaccia la fica vecchia. Non che spesso si possa essere felici. Ma pure una suocera, o una madre, o altra disgustosa che ti gracchi e ti ronzi attorno con mille “gentilezze” che avrebbero spinto un qualunque Paolo a getterasi dalla terrazza oppure andare in albergo a dormire solo senza tali familari attorno, è spesso troppo per chiunque.
Intanto, Mina, pur sloggiata dal loro appartamento, s’ingegnava con le sue cattiverie morbose a cercare di rovinare la vita a Rita e Paolo e famiglia. Poi naturalmente a Luigi e moglie ed a Giovanni e moglie, entrambi sposati distanti a Milano ed a Torino. Certo, s’accaniva pure con Nikla incitandola a cattiverie contro il marito che stufo di quelle sceme ossesse e spendone senza soldi (che Nikla si spendeva tutti, appena ne aveva e poi ne pretendeva altri da lui per continuare a spendere ben al di sopra delle loro possibilità) se ne era andato per i fatti suoi. Piena di prosopopea, Mina si considerava il centro del mondo. Se trovava dementi ossessi come lei, e li trovava, la assecondavano. Appunto, tra maniaci e malvagi si sostengono sempre. Solidarietà tra pazzi ossessi e pazze ossesse, tra malate e malati, tra maniache e maniaci, tra pidocchie e pidocchi. Per far del male a chiunque riuscissero a raggiungere.
Come tutte le dementi invidiose ossesse, Mina era in agitazione permanente per tutti coloro riusciva in qualche modo a raggiungere. Anzi era ossessionata da tutti. Ma non riuscendo a raggiungere molti era ancora più ossessionata dal dover riuscire a far del male a coloro riusciva a raggiungere. La prima nipote, Sara, la figlia di Rita, cresceva e cominciava a pensare solo al cazzo. L’abbiam detto. Pur appena quasi adolescente, ancora alle medie inferiori. In quartiere popolare, aveva voglia di limonare coi ragazzi, di farsi toccare, di farsi scopare. Mina ne era ossessa. Aggrediva la figlia, Rita, ed il genero, Paolo, che si doveva bloccare Sara, la si doveva chiudere in casa, controllarla, non farle vedere nessuno, imbottirla di calmanti, sorvegliarla la vicino. Mina aveva i tremori a pensare che qualcuna della famiglia potesse godersela. “Puttana! Puttana!”, urlava rabbiosa pensando a Sara, stringendo i pugni ed i denti quando nessuno la vedeva e sentiva. Già Rita e Paolo erano ossessi di loro contro la figlia Sara che pensava solo al cazzo e lo diceva e lo faceva vedere che pensava solo a quello. La sentivano che si toccava e vagiva nella sua stanza. La sentivano che telefonava e parlava con le amiche, morbosa, di ragazzi. Appunto, non ce l’avevano più fatta ad avere pure quella pazza invidiosa scatenata di Mina in casa. L’avevano mandata a vivere poche decine di metri più in là. Poi, Mina s’era scatenata pure contro l’altra pesudo-nipote [non era davvero figlia della figlia Nikla, era stato un altro caso d’ovulo impiantato con magia con successiva fecondazione paterna, racconteremo tra breve (i tempi sono giunti) delle magie giudaiche di Clorinda e della Profezia] Serena. La pseudo-madre di Serena, Nikla, era ossessa che la pseudo-figlia potesse innamorarsi d’un ragazzo. Era infine successo. Lo disse alla madre Mina, la pseudo-nonna di Serena che si scatenò pure lei. Pure l’altra pseudo-nonna. “È innamorata! È felice! Se la gode!”: basta questo a scatenare i deliri ossessivi dei dementi invidiosi ossessi. Mina e Nikla convolsero, dunque, pure l’altra pesudo-nonna [anche lì, Roberto, il padre di Serana, non era davvero figlio di Franca, era stato un caso d’ovulo impiantato con magia con successiva fecondazione paterna, racconteremo tra breve (i tempi sono giunti) di questa precedente magia giudaica di Clorinda e della Profezia], Franca. Le tre pazze scatenate contro Serena. Aiuteranno solo la Profezia. Ciò non toglie che erano pazze ossesse in delirio distruttivo (almeno nelle intenzioni loro) ed autodistruttivo.
E così, Mina era in permanente deliri ed invidie contro gli altri nipoti, così come già contro figlie, figli, e congiunti e congiunte, contro tutti. Non aveva altro nella vita e dalla vita.
Anche di fronte alla morte, Mina s’è presentata in pieno delirio. Dopo avere confessato al prete che era senza peccato e che perdonava tutti coloro cui lei aveva fatto malvagità (...anzi, aveva raccontato al prete che tutti avevano sempre fatto malvagità a lei), aveva annunciato solenne a familiari che dementi la stavano ad ascoltare che lei perdonava tutti. Nessuno di coloro lei “perdonava” l’aveva mai pisciata. Era lei che passava le giornate ed usava figlie e figli ossessi come lei a cercare di far del male a tutti coloro poteva. Comunque, non aveva anima. Appena morta, da pidocchia viva è divenuta pidocchia morta. Nessun paradiso né nessun inferno si preoccupa di pidocchi e pidocchie. Inutilità che scorrono come l’acqua di fogna. Mina era tornata negli escrementi delle fogne e s’era dissolta nella terra e nel mare senza lasciare traccia.