mashal-071. Carabinieri a Sanduba de Buteco, Tijuca, RJ, 20/06..10/07/2013
by Georg Moshe Rukacs
Rio de Janeiro. Brasile. Un altro pianeta.
...Non del tutto...
Leggo l’annuncio di lavoro come aiutante di
cucina e scrivo, alle 23:08 di martedì 18/06, che, se è possibile lavorare
senza libretto di lavoro, sono subito disponibile. Bruno Barros mi risponde
alle 23:19, di passare il giorno dopo, tra le 10:00 e le 14:00, in rua Jurupari 46/a, e di parlare con Junior.
Passo mercoledì 19/06, verso mezzogiorno.
Sono lì la madre Gloria ed il figlio Junior, manager del turno di giorno. Il
colloquio di lavoro è con la madre, Gloria. Cosa che significa che la capa
reale è lei, almeno quando vi siano solo lei ed il figlio minore.
Il tutto si svolge e si conclude in pochi
minuti. L’orario è dalle 9:00 alle 17:00, dice lei, “con pausa mensa”. Dal
martedì alla domenica. Il lunedì sono chiusi. R$900 al mese tutto compreso, più
la percentuale sugli incassi. È meno del salario minimo della categoria che è
di R$725. I festivi sarebbero da pagare doppi, a termini di legge. Invece lì
non li pagano, né le domeniche, né eventuali altri festivi, a quel che dice
Ênio il cuoco capo.
I padroncini non sono capaci a fare i conti.
Per cui si inventano quei salari tutto compreso che alla fin fine sono meno del
salario minimo legale. Sono ignoranti ma abbastanza delinquenti da fregare
sempre il prossimo.
Quel mercoledì, il cuoco del turno di giorno,
Ênio, non è lì. Mi dirà poi che la madre aveva le batterie del pacemaker
cardiaco scariche, per cui ha dovuto accompagnarla d’urgenza all’ospedale.
Comincio dal giorno dopo, giovedì 20/06/2013.
Chiedo ed il figlio, Junior, dice che giovedì 20/06 apre alle 9:30. Per cui,
arrivo lì prima di quell’ora. Aspetto, dato che, in realtà, aprono un poco
prima delle 10:00.
Gloria, che passa sempre di lì poco dopo
l’apertura, dice ad Ênio, il mio primo giorno di lavoro:
- “Ha visto che le abbiamo trovato un aiuto.”
Segno che lui gliela menava quotidianamente
pure su quello.
Mi dirà poi Ênio che l’orario di lavoro non è
9:00..17:00, bensì 10:00..18:00. Gloria non conosce i dettagli organizzativi. È
troppo concentrata ad arraffare i soldi.
Quando gli farò notare che l’orario di lavoro
è di 7h20, perché altrimenti sarebbe più di 44 ore settimanali, lui quasi si
offende. Ne sarà poi tutto risentito. Lui si fa lunghe pause per fumare e
chiacchierare, arriva dopo anche se talvolta passa prima per negozi per il
ristorante, dato che lui critica in continuazione l’inettitudine di chi fa gli
acquisti, i figli della proprietaria in genere. Poi, continua a lavorare anche
dopo le 18:00 se ha cose da completare. Prima si fa lunghe pause. Poi si
lamenta che ha troppo lavoro e che deve fare più ore. Lavorano alla brasileira.
In Brasile, pressoché nessuno sa far di
conto. Non è questione di matematica ma di aritmetica elementare. Nessuno sa
fare di conto. Ogni logica elementare, perfino il far di conto, è stata
soppressa. Nessuno sa che 8x6 non fa 44, ma di più. Nessuno sa che 7h20x6 fa 44
ore. Per cui, se sono 8x6, la pausa mensa e riposo deve essere di 40 minuti.
Troppo difficile per un brasileiro. Oppure si fanno 7h20 filati.
La Sanduba de Boteco è un lanchonete, un
bar-ristorante (forse si chiamerebbe “tavola calda”, in italiano, sebbene il confine tra le varie
denominazioni possa essere labile), in rua Jurupari 46/A,
Tijuca, Rio de Janeiro, RJ. I proprietari abitano nella stessa via, più su.
L’impresa è a gestione familiare. Gloria, la madre, passa di lì per prelevare
conti e soldi. A volte, si ferma un po’ per guardarsi attorno.
Bruno, il figlio maggiore, fa o faceva il
manager del turno di notte. Il nome completo è Bruno Monteiro de Barros. brunomonteirodebarros@gmail.com
Junior, l’altro figlio, faceva il turno di
giorno. Ora gli è subentrato, sembrerebbe, Sergio come para-manager.
V’è poi una figlia ma che non lavora lì. O
studia. O non fa nulla. O lavora altrove. Di tanto in tanto, compare per
mangiare
Il cuoco principale è Ênio Rodrigues Pezzella,
napoletano da parte di padre, anzianotto (nato il 25/05/1955), nevrotico,
chiassoso ed agitato. Lui dice di essere di origini sicule. Gli sembrerà che
faccia più chic. In realtà, il cognome è napoletano e la personalità sua pure.
Aveva frequentato vari corsi come cuoco, fornaio e pizzaiolo. Era poi divenuto
istruttore, “professor de gastronomia”, dal 2006 al 2012, in una delle scuole
dove aveva studiato, la Faetec.
Un suo annuncio online per cercare lavoro,
del 29 aprile 2013, ha attirato l’attenzione di Bruno Barros. Lo hanno
accalappiato lì, per quattro soldi. Prima avevano un cuoco sbagasciato e
sporco. Non che ora sia molto più pulito, né i proprietari se ne curano. Lui
conclama che gli occorreva un luogo dove gli pagassero i contributi per la pensione.
Giustificazione debole, a 58 anni, se uno, oltre a saper cucinare, avesse un
poco di iniziativa. Lì è veramente un buco. Né lui si mostra felice della
sistemazione.
Spesso impreca apertamente che non vece l’ora
di andarsene, dice. Dice che non gli hanno neppure ancora restituito il
libretto di lavoro, che non dovrebbero trattenere più 48 ore, a termini di
legge, il tempo per annotare che uno lavora lì ed eventuali dettagli del
rapporto di lavoro. Lì, glielo trattengono da un paio di mesi, forse.
Jajà è un forse quarantenne con aria da
modello, alto e scolpito, che arriva lì in bicicletta. Si veste da grande
cuoco, ma se lo si osserva appena lo si vede che è impacciato e non
particolarmente formato nei lavori di cucina. È insicuro, insicuro in procedure
del tutto errate, neppure l’insicuro di chi sappia quel che deve fare e
necessiti solo di pratica. Non è stato ben impostato come futuro cuoco. Conosce
quei quattro piatti che gli chiedono di fare. È stato allievo del ‘professor’
Ênio Pezzella che ne parla male ora, ma non in sua presenza quando invece
ostenta grande amicizia, pur dicendo “ma non era così, prima”.
Sergio, che quando io arrivai lì faceva il
turno di notte con Jajà, è un anzianotto, con doppia nazionalità ma non parla
italiano, né lo conosce. È ampolloso quanto vuoto, di ignoranza nera brasileira
tipica come del resto gli altri. Comunque è una persona in apparenza affabile e
in apparenza ragionevole. Più o meno da venerdì 5/07, comincia a lavorare come
para-manager. Sta alla cassa, e si atteggia e lo fanno atteggiare a manager del
turno di giorno.
Luis è il cameriere di giorno, che si
indirizza a Ênio chiamandolo ‘professore’ e, talvolta, ‘maestro’.
Il primo giorno di lavoro, non vi sono abiti
di lavoro, per me. Quando poi arriva Ênio, questi mi dà un paio di calzoni
bianchi sudici. Niente maglietta. Niente zoccoli chiusi da lavoro. Neppure i
giorni successivi. Mi dovrò portare io una maglietta nera, per far vedere che
non è la bianca in genere danno nei ristoranti. Me la porto via tutti i giorni,
dato che è mia e solo mia. Pure gli altri, non hanno abiti da lavoro. Se li
portano loro. In genere, si portano una maglietta od una giacca da lavoro
bianca, mentre usano gli stessi calzoni che usano per strada. Usando il
grembiule di materiale sintetico, quello vi è, lì, sono parzialmente
protetti.
Gloria, la proprietaria, fa intendere che
compreranno magliette da lavoro per me. Non è vero. Dovrebbero comprarle pure
per gli altri. Poi, dirà ad Ênio che
compra zoccoli chiusi da lavoro. Non è vero. Non si vede nulla. I proprietari
tirano solo ad arraffare soldi, sia come sia. Non se ne fregano di nulla. Fanno
pure fatica a comprare le cose per cucinare e gli altri generi che occorrono
per lavorare e produrre. Corrono ad acquistare solo l’essenziale, all’ultimo
momento, e neppure sempre.
I proprietari, il che è un vantaggio per i
dipendenti, non sono particolarmente oppressivi su niente. Sono solo sciatti e
trasandati. Non si preoccupano che la cucina sia pulita o che sia ben attrezzata.
Del resto, è piccola. Sebbene la cucina abbia sei fornelli, le originali
procedure culinarie di Ênio, fanno sì che i fornelli sia sempre tutti occupati.
Ênio non ha una vera esperienza di
ristoranti, avendo sempre fatto l’insegnante, almeno nei suoi cinquantanni.
Mistero che abbia fatto prima. Da studente ad insegnante di arti culinarie. Non
ha neppure una mentalità teorica. Si è creato le sue realtà che riproduce lì
che si sente padrone della cucina ed uomo di fiducia dei proprietari cui
interessa solo fare soldi sfruttando al massimo lui cuoco principale e
chiedendogli il massimo possibile. Lui cucina tutto sul momento, del resto non
hanno neppure un forno a microonde, e complicandosi tutto. La qualità è bassa e
tutto è ulteriormente complicato dalle mille inettitudini brasileire che lui ha
assorbito come studente di cucina.
Ênio inizia la giornata di lavoro imprecando
contro quelli della notte che gli hanno consumato tutto, tagliato cose che non
dovevano, dunque privandolo di materie prime essenziali, avariato alimenti con
collocazioni errate nel frigorifero, lasciato più sporco di quanto già la
cucina non lo sia pure quando è ‘pulita’.
Arrabbiatosi ed imprecato contro quelli della
notte, ecco che inizia ad imprecare contro i proprietari. Mancano le cose per
cucinare. Allora si affanna ad ordinarle anche se comprano quello fa comodo a
loro. A volte si resta senza detergente. Il caffè per i dipendenti evitano di
comprarlo anche se lo si chiede. Vi sono sono pure errori e dimenticanze in
altre cose di prima necessità per produrre i piatti. Comunque, v’è da dire che,
sollecitati da Ênio, poi corrono a comprare riso, fagioli, carne, pollo etc
finiti in corso d’opera.
Alcuni utensili se li deve comprare
direttamente Ênio, perché i proprietari non provvedono. Oltre ad essere
sciatti, essi non sono del ramo. Fanno i proprietari. Ma non conoscono il
lavoro, né si affannano a conoscerlo.
Non v’è neppure un angolo dove i dipendenti
possano cambiarsi e collocare le proprie cose che restano appese nel piccolo
gabinetto interno cui si accede diretti dalla cucina. Il pavimento della cucina
è di brillanti mattonelle bianche bianchissime ma su cui si scivola. Geometri
non del ramo fanno ‘magnifici’ progetti e ristrutturazioni che si rivelano del
tutto a-funzionali.
In cucina, v’è una sola acqua e pure con
lavandino non funzionale. Il bacino è metallico, perfetto, sebbene piccolo, ma
incastonato in una struttura di marmo o similare dove è facile rompere piatti e
similari. Io non ho rotto nulla in tre settimane. Ma altri, a cominciare da
Ênio, sbattono e rompono cose. Tra la cucina e l’area bar, v’è una sola
apertura, una sola finestra, quando sarebbe uno standard averne due, una per
piatti in uscita ed un’altra per piatti in entrata.
Poi, Ênio passa a bestemmiare contro il
cameriere, che pur lo tratta amichevolmente, reo di non chiedere ai clienti i
minimi dettagli sul grado di cottura della carne. Una paranoia continua.
Impreca perché l’area fornelli sarebbe poco
illuminata. In realtà, è un suo problema di occhi. Se usa gli occhiali da
presbite, in cucina è facile si annebbino coi vapori. Non è solo quello. Non
vede bene né senza occhiali né con gli occhiali da presbite. Se bruciacchia
delle bistecche, eccolo che accusa la luce insufficiente. Non è che possano mettergli
un riflettore dell’antiaerea. Alla fine, il giorno di chiusura, lunedì 8/07,
estraggono la lampadina al neon che stava incastonata nella cappa. Bella fuori,
penzolante, illumina di più. Lui continua ad imprecare che non basta. Il
problema sono i suoi occhi ma non riesce ad ammetterselo.
Verso le 17:00, a volte, arrivano ordini del
turno di sera-notte. Ma quelli del turno di notte o non sono ancora arrivati o
se ne stanno a cazzeggiare. Ecco che Ênio, pur preparando le portate, urla che
lui è cuoco e non dovrebbe fare portate da lanchonete. Tali sono da lui
evidentemente giudicate quelle del menù della sera-notte. Differenze bizantine.
A parte tutto ciò, non è che sia una cattiva
persona. È più prossimo ad una macchietta. Non solo per il carattere, ma pure
per le procedure culinarie.
Vederlo fare un suo ‘sugo’, per completare la
cottura del pollo alla pseudo-parmigiana e per scaldare l’arrosto, con un
pomodoro da tavola annacquato all’estremo, anziché facile e gustoso per esempio
con della pasta di pomodori pelati e del dado in polvere e qualche spezia, è
una di quelle cose che danno la dimensione del Brasile profondo, della sua
ignoranza nera. L’arrosto non è arrosto perché, dopo una rosolata iniziale, lo
fa lessare immergendolo in acqua che poi porta ad ebollizione. Sa fare tutto,
ma fa tutto secondo stravaganze gli sono state insegnate e senza usare il
cervello per fare qualcosa di sensato. Tanto, poi, il cliente brasileiro mangia
tutto.
Invece di imporsi per avere un microonde,
occupa due fornelli con bagnomaria per riso e purè. Il riso lo usano al posto
del pane. Il purè per chi non voglia le patate fritte, e viceversa. Il purè lo
fanno con le patate, e solo con esse. Non hanno quelle confezioni con polvere
che basta combinare con acqua bollente quando vi siano emergenze e sia
impossibile fare rapidamente del purè supplementare. Originali i ravioloni in
friggitoria o, altrove, al forno. Ma è uno standard brasileiro. Divengono
secchi e pastosi, almeno fuori. Ma al brasilico piacciono così, dicono e si
dicono. Il raviolone lo chiamano ‘pastel’, ma è un raviolone. In realtà,
riacquisterebbe sofficità immerso in un
purè od in un sugo. Troppo difficile per dei brasileiri. ‘Eresia’ indicibile,
per loro! Preferiscono servirlo così, secco e magari o bruciacchiato o crudo
dentro, visto che è imposibile farlo al punto giusto, a quel modo.
Inoltre, come ex-‘professore’, e per
carattere, è abituato a lavorare da solo, pur non essendo sufficiente una sola
persona, anche quando vi sia meno lavoro. Poi, quando i clienti premono, è una
pazzia solo uno in cucina. Infatti, impreca pure per quello.
Gli avevano affiancato una ragazza. Ma alla
fine deve essersi stufata di quello che imprecava e la insultava. Interrogato,
lui di che che un giorno è sparita. Segno che la ha fatta licenziare o che è
lei che si è stufata e lo ha mandato affanculo.
Ênio insulta tutti. Per cui, basta aspettare
che la crisi passi. Un momento dopo, non appena la pressione dei clienti passi,
è affabile, gentile, servizievole, cooperativo.
Non appena io inizio a lavorare lì, gli
Squadroni della Morte della Polícia Federal brasileira agli ordini del governo
(su solita sollecitazione compradora Carabinieri-NATO) contattano Bruno, per il
solito State/government-organized stalking (persecuzione di Stato, terrorismo
di Stato) anche sul loro di lavoro. Solito schema operativo di questo tipo di
terrorismo di Stato.
I proprietari, sciatti (e qui è un vantaggio!), non hanno testa per
quelle cose. Infatti evitano qualunque forma di mobbing. Passano la cosa a Ênio. Ma anche lui non ha testa per quelle
cose. Eppure diventa lui la prima linea del funzionario della Polizia Segreta.
Diviene l’unico che dovrebbe mobbizzarmi e,
al contempo, quello che dovrebbe controllare il mobbing e riferire all’agente
speciale in parallelo ai proprietari, secondo la teoria e la pratica dei
controlli incrociati sugli State/government-organized stalking sul campo.
I proprietari scaricano tutto su di lui. Lui non c’è per quelle cose. L’agente
speciale degli Squadroni della Morte della Polícia Federal brasileira lo
minaccia. Lui non regge.
Gli Squadroni della Morte / Polizie Segrete
non è che la storia la contino subito e tutta. Occorre una progressione.
- “Qui la Polícia Federal [in realtà gli
Squadroni della Morte / Polizia Segreta, che sono cosa differente e del tutto
particolare, ma si coprono dietro sigle innocue di polizie e forze armate]...”
- “Dica...”
- “Quell’Athos... ...ci dovreste far sapere...”
- “C’è qualche problema?”
- “No, è solo che abbiamo bisogno di notizie. Poi, vi contattiamo di
persona, a voce. Ah, riservatezza! Che lui non sappia e non sospetti di nulla,
che vi abbiamo contattato.”
- “Ma noi come facciamo? Non è che gli stiamo attorno in cucina.”
- “Beh, lavorerà con qualcuno...”
- “Nel turno del mattino sono solo in due...”
- “Come si chiama l’altro?”
- “Ênio Pezzella...”
- “Dite a lui di scoprire... poi vi facciamo sapere...”
Inizio a lavorare lì di giovedì. Pressione di clienti del fine
settimana. Già venerdì o sabato, Ênio
mi dice che “martedì si inizia la formazione”, un modo un po’ retorico per dire
che martedì 25/06 mi fa vedere e fare i vari piatti. In realtà, ho già visto
tutto. Sono quattro cazzate, mal fatte, alla brasileira.
Gli Squadroni della Morte della Polícia Federal
brasileira ricontattano di nuovo sia i proprietari che Ênio, varie volte, anche
durante i giorno di riposo, che è lunedì 24 giugno:
- “Avete scoperto nulla?”
- “Sembra una persona a modo, che lavora...”
- “Cosa fa?”
- “In cucina, i lavori di cucina, dai lavori più di base a prepararsi a
sostituire il cuoco principale, Ênio,
il suo giorno di riposo domenicale o quando dovesse assentarsi per ferie
od altro.”
- “Ah, una prima cosa... Non deve assolutamente cucinare!”
- “E come facciamo? Lo abbiamo assunto anche per quello. Del resto ha
detto di essere pratico.”
- “Come, vi ha detto di essere un cuoco?”
- “Perché non lo è?”
- “È un intellettuale, un filosofo, uno scienziato, uno che studia e
scrive sempre, in continuazione!”
- “E non possiamo farlo cucinare?”
- “È una cosa difficile a spiegare... Abbiamo ordini..., ...ordini
dall’alto, da molto in alto... Non deve cucinare!”
- “Cosa deve fare?”
- “Dovete fargli fare le cose peggiori. Maltrattarlo.”
- “Come facciamo? È un piccolo ristorante...”
- “Sono ordini dall’alto, della
presidenta..., del governo..., ...dalle potenze occidentali!”
- “Addirittura? E fanno queste cose?”
- “No, è che vi sono richieste dall’estero,
richieste cui non possiamo dire di no.”
- “Davvero? È uno così importante. Ma che ha
fatto?”
- “Non ha fatto nulla. Va obbligato ad
andarsene dal Brasile. Per cui, ora che lo avete assunto, grava su di voi
di...”
- “Di fare che?”
- “Dovete spingerlo a licenziarsi... Sì,
maltrattarlo, fare mobbing!”
In realtà, non fecero nulla. I proprietari assunsero
un’aria sospettosa e terrificata, ma nulla più. Scaricarono tutto su Ênio.
L’agente speciale degli Squadroni della Morte
della Polícia Federal brasileira insisteva con lui:
- “Allora come va il mobbing?”
- “Cosa posso fare io. Siamo solo in due. Ci
sono i clienti da servire. Che posso fare?”
- “Lui che dice?”
- “Lui fa tutto senza problemi.”
- “O lo mobbizzate alla disperazione o dovete
licenziarlo!”
L’agente speciale lo ripeté ai proprietari:
- “Dovete umilialo e spingerlo a licenziarsi
quanto prima! Oppure...”
Non sapevano cosa fare.
Ênio, al rientro, martedì 26/06, evitò
qualunque ‘formazione’. In realtà, avrei potuto cucinare anche senza la sua
‘formazione’. È che c’erano fornelli solo per uno. Non si può cucinare in due,
in ambienti piccoli, tanto meno lì. Poi, lui, aveva l’ordine degli Squadroni
della Morte della Polícia Federal brasileira.
Tutte le volte che parlava con l’agente
speciale degli Squadroni della Morte della Polícia Federal brasileira, Ênio
reagiva quasi istericamente o con lo stesso, o poi coi proprietari:
- “Ed io che posso fare?! Che posso fare?!”
L’agente speciale lo minacciava che se lui
non mi mobbizzava, potevano montare le stesse cose contro di lui:
- “Ênio, lei è ormai anziano. ...Se perde
quel posto e se poi non ne trova un altro... Se i miei superiori, come ora mi
ordinano di fare questo contro quello, se magari se la prendono, si risentono,
con lei, e fanno le stesse cose contro di lei...”
I due figli, Bruno e Junior gli dissero che
doveva dire che lui era solo in cucina, che io non facevo nulla:
- “Non posso dire che non fa nulla. Posso
dire che sono solo, perché se quelli del governo mi vietano di fargli fare il
mio lavoro...”
Per cui, quando c’era pressione di pubblico
ed io ero indaffarato coi piatti e le posate, che erano in quantità piuttosto
limitata e, se si esaurivano, i clienti non potevano esser serviti, o con altre
incombenze come tagliate cose o cucinare riso e purè od altro che erano finiti
(dato che facevano tutto in quantità insufficienti) lui urlava verso l’area
bar, dove v’erano il cameriere, Junior, o altro, e, poi, gli ultimi giorni,
Sergio:
- “Io sono solo! Io sono solo!”
Intanto, i proprietari, sempre più in
difficoltà con quello degli Squadroni della Morte della Polícia Federal brasileira
che premeva perché o mi inducessero a licenziarmi o mi licenziassero loro,
apparentemente spariscono dalla gestione sul campo e, più o meno da venerdì
5/07, si fanno sostituire da Sergio come para-manager.
In pratica, lui sta alla cassa. Loro compaiono
per le compere principali del giorno, a dare un’occhiata e, poi, dopo che io ho
finito l’orario di lavoro:
- “Sergio, bisogna che lei subentri come
manager al turno del mattino. Quelli degli Squadroni della Morte della Polícia
Federal brasileira insistono perché si faccia mobbing contro Athos. Noi non
possiamo. L’unica cosa è licenziarlo al più presto. Se ne deve occupare lei.
Noi non possiamo. Se Athos sospetta, chissà che cosa ci fa... Abbiamo paura.
Noi non possiamo.”
Sotto la pressione dell’agente degli degli
Squadroni della Morte della Polícia Federal brasileira, Ênio è sempre più
sconvolto, in autentico stato confusionale. Fuma in continuazione. Allunga le
sue pause. Straparla. Agisce in modo incoerente.
Giovedì 4/07 o venerdì 5/07 arriva la proprietaria
dalla porta della cucina verso l’esterno, che è sempre aperta, fa finta di
chiedergli che cosa lui stia ancora facendo verso le 18:00
- “Ho varie cose da finire! Non mi bastano le
ore normali!”
Se ne era stato un paio d’ore complessive tra
fumare e chiacchierare con l’uno o l’altro tra cui Jajà. Poi, senza senso
logico e senza collegamento, come una cosa già preparata, montata, con la
stessa Gloria, ma da lui mal recitata dato che suonava chiaramente falsa, urla a me, cui aveva già detto di andare a
casa e che stavo dunque cambiandomi:
- “Va via! Va via! Puoi andare via!”
Come a dire che faceva tutto lui e solo lui.
Agitatissimo, sconnesso, sabato 06/07, Ênio
mi brucia la mano, nella parte oltre il pollice, poco prima del polso, col la
padella che usa per completare il pollo alla pseudo-parmigiana e per riscaldare
l’arrosto. Neppure se ne accorge, né io gli dico nulla. Una ferita che
occorrono più di due settimane perché la crosta vada via e qualche mese perché
ne scompaia traccia.
Sabato 06/07/13, chiedo alla padrona quando
paghino. Arrossisce appena ed, imbarazzata, risponde che se occupa il figlio.
Ma di arraffare i soldi e controllare quotidianamente i conti se ne occupa lei.
Poi, annuncia a Ênio che starà “in viaggio” per alcuni giorni. Se ne va per un
breve vacanza. Non hanno i soldi per pagare gli stipendi perché li spendono
tutti per loro stessi! Anzi, li hanno ma fa loro fatica pagare il dovuto ai
dipendenti,
Domenica 7/07/13, organizzano la sceneggiata
che, forse verso le 11, compare Jajà, come a far vedere che sono obbligati a
far venire un’altra persona. Si è in tre, in una cucina piuttosto piccola. Ênio
impreca in continuazione contro Jajà anche se poi ostenta gentilezza. Gli fa
fare delle cazzate e che Jajà fa pure in modo maldestro disvelandosi un
principiante. In pratica, Jajà lavora nel turno del mattino e poi si fa pure il
suo solito di notte, da solo, ora che Sergio lo hanno mosso alla
cassa-gestione.
Quando Jajà cucina al posto di Ênio, cioè
Ênio lo fa cucinare al suo posto, lo stesso se ne sta a far nulla. Non è una
grande sceneggiata. Organizzata su richiesta dell’agente degli degli Squadroni
della Morte della Polícia Federal brasileira, non è che dimostri nulla, se non
che stanno montandosi delle auto-giustificazioni fasulle per licenziarmi.
Quando
Ênio mi aveva detto che la domenica successiva avrebbe dovuto essere il suo
giorno di riposo addizionale (una domenica al mese), gli avevo detto tranquillo
che magari cucinavo pure meglio, anche se è vero che uno solo un basta nelle
ore di piena. Non c’è solo da cucinare ma, per esempio, piatti e simili si
esauriscono presto dato che ne hanno quantità molto limitate. Beh, se li
riusano semi-sporchi... ma vanno lo stesso un po’ lavicchiati. Avendo già
deciso di licenziarmi, hanno fatto fare la prova a Jajà, per la sostituzione
della domenica successiva. O magari lavorano entrambi visto che uno solo, nelle
ore di piena, è un azzardo. Il cliente brasileiro se ne va, se non lo servono
subito.
Mercoledì 10/07/13, chiedo al figlio minore,
Junior, quando paghino. Dice che pagano venerdì 12/07/13. Gli faccio soavemente
notare che dovrebbero pagare entro i primo cinque giorni lavorativi del mese.
Dato che la madre, la capa, è “in viaggio”, pagano quando lei torna.
Prima avevo chiesto a Sergio che, pomposo e
retorico mi aveva detto:
- “Possono pagare il 10 ma, se non hanno
disponibilità di cassa, possono pagare anche l’11 od il 12.”
Gli avevo risposto secco che, per legge, il
salario si paga entro i primi cinque giorni utili del mese.
In realtà, Sergio era sempre stato
formalmente gentile. È uno un po’ scemotto e senza cultura, ma comunque il tipo
che non cerca guai né conflitti col prossimo, e che tenta sempre di darsi un
contegno. Ênio sparlava sempre di lui, anche di Jajà, dicendo che facevano
tutto sbagliato, che gli consumavano le cose etc, ma poi non aveva il coraggio
di dirlo loro in faccia. Anzi, con loro si fingeva grande amico.
Uno dei giorni che Sergio era arrivato prima
delle 10:00, per apprendere il nuovo lavoro di para-manager, in pratica per il
passaggio delle consegne visto che non è che vi fossero grandi cose da
apprendere, ed aspettava che i proprietari aprissero, prima che gli dessero la
chiave ed aprisse lui, mi aveva detto non so cosa su ciò che stavo in apparenza
leggendo o scrivendo. Gli avevo risposto che, in realtà, scrivevo parole per
memorizzarle, null’altro. Al che stava dicendo che per memorizzare parole
portoghesi di poteva leggere Kardec.
- “No, non sono portoghesi. Sono tibetane e
su base spagnola...”
- “Che libro è?”
- “Lo uso come quaderno. Lo avevo letto solo
per la lingua portoghese. Era praticamente nell’immondizia... Lo vidi e lo
presi.”
- “Che libro era?”
- “Sullo spiritualismo...”
- “Ah, ti interessi di spiritualismo? Posso
portarti in una chiesa spiritualista qui vicino.”
- “...Se ti ho detto che ho trovato il libro
nell’immondizia e che lo ho letto solo per la lingua...”
- “Si, un giorno posso portarti in una chiesa
spiritualista qui vicina...”
La logica non è il punto forte dei brasileiri
che capiscono a vanvera e parlano senza sapere quel che dicono.
Quel mercoledì, Sergio era poi venuto in
cucina, mentre stavo lavorando, e tornando sulla faccenda dello stipendio che
deve essere pagato entro i primi cinque giorni lavorativi del mese, se ne era
uscito pomposo:
- “Ci sono regole differenti per brasiliani e
per stranieri.”
- “Le leggi sono uguali per tutti. Ci sono
solo differenze amministrative, su talune questioni.”, gli avevo replicato
secco alle sue insensatezze ignoranti.
- “Ci sono delle regole precise. Per esempio
per il soggiorno in Brasile.”
- “In realtà, non ci sono regole. Uno può
restare qui quanto vuole...”
- “Vorrai dire che ci sono leggi ma che non
sono applicate.”
- “No, no, è che per esempio ci sono stati,
nel mondo, dove c’è la deportazione se uno eccede la permanenza prevista. In
Brasile, per esempio, per espellere uno straniero con visto scaduto, occorre un
decreto del governo che sia pericoloso. Per cui, uno, una volta entrato, a meno
che non commetta crimini e sia preso, può restare quanto vuole, anche per
sempre.”
Lo avevo guardato ultimativo. Non sanno le
cose e se le inventano. Lui aveva infine taciuto.
Quel mercoledì 10/07/13, Ênio era più nero
del solito. Era arrivato quasi senza salutare. In effetti, già la mattina del
giorno prima... Se ne era andato allo stesso modo, frettoloso come fuggendo,
mentre io aspettavo che si liberasse il gabinetto da uno che si era messo lì a
farsi la doccia proprio in prossimità delle 18:00. Avevo poi preso le mie cose,
il bagno è piccolissimo, per cui basta allungare una mano dopo avere chiesto
permesso, e mi ero cambiato nel gabinetto clienti.
Durante la giornata lavorativa, quando vi era
la pressione dei clienti, Ênio si era fatto la sua solita parte, come già gli
altri ultimi giorni del “sono solo in cucina.” Prima mi aveva detto di non fare
alcune cose, poi si era messo ad urlare agitato che le stesse cose mi aveva
detto di non fare lo avevano portato a restare senza alcuni ingredienti
essenziali, per cui, in fretta, io avevo preparato quello che mancava.
Glielo avevo sottolineato:
- “Prima mi dici di non fare le cose, poi
dici che mancano...”
- “Pomodori e cipolle affettati erano gelati
e dunque inservibili.”
- “Chi, il giorno prima, li ha messi in
un’area del frigo dove sono gelati? Certo, non io! Perché non mi hai detto che
li hai gettati via?”
- “Sono abituato a lavorar da solo! Sono
abituato a lavorar da solo!”, aveva troncato imbarazzato e dunque aggressivo.
Era in realtà nero perché Bruno gli aveva
detto che data la pressione dell’agente speciale degli Squadroni della Morte
della Polícia Federal brasileira non potevano tenermi più e dovevano dunque
licenziarmi. Gli avevano detto che assumevano, in realtà, forse, per il fine
settimana, come cameriera aggiuntiva, non in cucina, una che già aveva lavorato
lì in quella posizione, per servire ai tavoli. Lui lo sapeva che una cosa era
uno o una che, quando c’erano troppi piatti e la pressione dei clienti, lavasse
qualche piatto, altra avere uno o una che facesse con lui anche i vari lavori
strettamente culinari. Era proprio nero, nerissimo ed imbarazzatissimo.
Giovedì 11/07/13 mattina, quando sto
entrando, Sergio mi dice che il padrone ha detto che sono licenziato, di
passare martedì 16/07, alle 10:30, per essere pagato. Io non gli ho chiesto
nulla, cosa che ha subito riferito:
- “No, non ha obiettato nulla. Sembrava lo
sapesse...”
Martedì 16/07, dovrebbero pagare gli
11/30simi di giugno ed i 10/31simi di sabato, e la commissione (la frazione di
percentuale sugli incassi), più, sulla somma totale, 1/12+(1/11)+(1/11)*(1/3)
sul tutto, che sono le frazioni di tredicesima e ferie a termini di legge (la
legge brasiliana prevede che le ferie di paghino 1/3 in più del salario medio),
in pratica un 20.45% in più del salario lordo, visto che si tratta della
liquidazione per cessazione del rapporto di lavoro.
Ma sono ignoranti alla brasileira, per cui
non conoscono la legge e non sanno fare qualche calcolo elementare. Sono poi
delinquenti alla brasileira, per cui non solo sono ignoranti di leggi e di
aritmetica elementare ma si ‘sbagliano’ sempre e solo a loro favore per rubare
soldi al prossimo.
Inoltre, ovviamente, l’agente degli Squadroni
della Morte della Polícia Federal brasileira ha detto loro:
- “Non pagatelo o, comunque il meno
possibile”
A loro non sembrava vero... Pagare salari,
per quanto miseri, è per loro come levarsi il pane di bocca. Il padroncino
brasileiro si sente come derubato quando deve pagare i dipendenti, che pur gli
fruttano grandissimi profitti.
Martedì 16/07, arrivo lì alle 10:30
precisissime. Sergio sta facendo un colloquio di lavoro con un ragazzotto.
Gentilmente mi dice che Bruno ha telefonato che aveva avuto un improvviso
impegno col figlio, a scuola, ed era dovuto scappare senza poter lasciare i soldi.
Ovviamente era passato per depositare gli acquisti del giorno. Troppa fatica
lasciare il conto ed i soldi per pagarmi. Mi chiede se posso passare di nuovo
alle 13:00.
Lo guardo perplesso e seccato. Gli dico che
passerò alle 13:00 o più tardi.
In realtà, alle 13:00 esatte sono di nuovo lì.
Alla cassa c’è Gloria, la padrona. Io saluto. Lei neppure mi guarda e dà la
mazzetta dei soldi colla ricevuta a Sergio che arriva dopo pochi secondi.
Ci sediamo ad un tavolo. Sono 600 reais e la
ricevuta dice che è per 20 giorni. In effetti, al peggio non v’è mai limite, in
Brasile. I padroncini ti rubano sempre più di quanto non ti aspetti,
soprattutto in quell’area ricchissima che è Tijuca. Non è la prima volta, bensì
la terza, lì a Tijuca, e senza eccezioni.
I miei giorni di lavoro sono 21, non 20.
Mancano poi le frazioni della commissione (la percentuale sugli incassi), della
tredicesima e delle ferie.
Gli dico che mancano commissione, tredicesima
e ferie. Sergio farfuglia qualche demenza da ignorante. Lascio cadere il
discorso, dato che c’è il rischio che non mi paghino nulla, con la scusa di riferire
e controllare i conti.
Mi dà i soldi da contare. Li conto. Sono
giusti, 600 reais. Gli dico che comunque i giorni sono 21 non 20. Gli scrivo la
formula: (11/30 + 10/31)*900. Mi guarda non capendo. Gli spiego che se sono 11
giorni di giugno e 10 di luglio... Prima fa resistenza. Lo guardo freddo. Poi
lascia i soldi lì e va a parlare con Gloria, la padrona. Io mi metto in tasca i
600. Meglio quelli piuttosto che ci ripensino e non mi paghino nulla.
In Brasile, alla vista di una formula da prima
elementare panicano. Applicando la formula avrebbero dovuto essere 620.30. I
brasileiri non sono in grado di fare un conto. Sergio torna con 30 reais e con
una ricevuta da 630. Firmo. Mi chiede il codice fiscale. Glielo mostro e glielo
scrivo. Sergio, cordialissimo, mi stringe la mano. E me ne vado.
Quando ti stanno rubando un 200 reais, non è
che dici loro, che comunque non capirebbero, che te ne stanno rubando 9.70 meno
di quelli che avrebbero voluto rubarti.
In tutto, avrebbero dovuto pagarmi, come
salario base e liquidazione sullo stesso, 747.20 reais + la commissione e la
liquidazione sullo stessa (+20.45%), forse un 100 reais, può essere pure di più
a seconda del giro d’affari, o può essere meno.
Fossero stati altri ~100 reais, si andava a
850. Mi hanno pagato 630. Mi hanno rubato, conto approssimato (solo loro hanno
tutti gli elementi per fare il conto preciso), un 220 reais. Delinquenti e
ladroni, come lo Stato brasileiro li aizza e li copre!