mashal-068. L’incendio e dintorni
by Georg Moshe Rukacs
Rio de Janeiro. Brasile. Un altro pianeta. ...Non del tutto...
Humberto, musofobo, aveva sfruttato la campagna topi e ratti sia degli
sfaccendati che dei folli di O Forno Rio
per tappare tutti i buchi della cucina.
Essì, perché vi sono i solo sfaccendati o che comunque celano le loro
follie, se ne hanno. Vi sono invece i folli aperti, sfaccendati od affaccendati
che siano.
I proletari tendono ad essere folli aperti, almeno quel 80-90% di brasileiri
folli. Devono mostrarlo di essere pazzi, e pure furiosi. Non possono farne a
meno.
Appena si salga nella scala sociale, che non è necessariamente, né sempre,
scala di guadagni, tendono a celarlo di essere folli, se e quando lo siano.
Tendono, tentano, cercano, ma sono maldestri pure in quello.
Per esempio la receptionista, Silvana, una ragazzetta sculettante sebbene
non abbia belle gambe etc e neppure un grande e formoso culo, né chiappette
gustose etc, ma solo un culino minimalista, è folle e lo mostra. Ma gli altri
impiegati amministrativi e simili si celano o, almeno, non lo ostentano.
Cercano di darsi un contegno, per quanto non molto bene.
L’ultimo buco di areazione in uscita della cucina restato era una ex
ventola di uscita o di entrata, ora rimasta senza l’elica. Humberto aveva adesso
usato il pretesto dei topi e dei ratti per chiudere pure quello. Se ne sentiva
tutto fiero! “Finalmente ho tappato l’ultimo contatto col mondo”, si ripeteva
ebetamente felice mentre gonfiava tronfio la pancia già obesa.
Come era iniziata la cosa? Il solito Marcello, maniacal-arrogante quanto
ignorante e tarlucco, la domenica si dedica a trincare bottiglie mentre guarda
la TV e si masturba. Il lunedì arriva al lavoro col cervello ancora fumeggiante
di alcolici, e sogni ad occhi aperti e chiusi, mentre s’immagina grande
comandante (forse un giorno, dato che per il momento è un altro e lui non ha la
scuola media superiore) di quel pian terreno di magazzini della sede centrale
di quella piccola rete inefficiente e sbagasciata di sette pizzerie.
Un lunedì, si imbatte in un topolino, giusto nella cucina, e dice a tutti
di avere visto grandi ratti. Invero, escrementi di ratti si rinvenivano
abitualmente appena fuori dalla cucina, esattamente sopra un grande contenitore
di acqua usato per lavare e disinfettare cose varie (dalle cassette ai
pomodori), che sta attaccato alla finestra della cucina.
Un’altra comica, un’altra pazzia: quando disinfettavano i pomodori, con
disinfettanti regolamentari, poi Marcello li riponeva in cassette luride.
Follie alla brasileira. E poi Marcello dice, mentendo, che altri ‘accusano’ i
brasileiri di essere asini. ...Impulso a confessare!
Del resto, che vi siano topi e ratti in giro, per Rio de Janeiro, non è
che sia un mistero. Li si vedono ed incontrano abitualmente. Se sono fuori, a
maggior ragione ve ne sono dove vi siano cibarie od odore di cibarie. È così in
tutto il mondo.
Chiaramente, Marcelo disse a tutti, proprietario incluso, di aver visto
un grande ratto. Di lì, e per idiozia congenita, l’agitazione subito diffusasi.
Sennò non è che persone equilibrate si agitino o si agiterebbero per dei ratti.
Sindrome dell'Identità o Similarità Antropologica. Anthropological
Identity Syndrome or Anthropological Similarity Syndrome. I pazzi si sostengono
reciprocamente nelle loro specifiche pazzie.
Chissà che dramma che vi fosse un topo od un ratto dove vi sono cibarie
in abbondanza anche se in genere ben protette in frigo, freezer ed altri luoghi
chiusi! Appena il pazzo Marcelo raccontò la cosa a tutti, ecco che tutti si
agitarono. In un luogo normale e tra gente normale, avrebbero solo riso della
sua agitazione.
Il proprietario Otacilio disse a Germano e Marcelo che tutto, cartoni
inclusi, andava immediatamente riposto in sacchi subito chiusi. Germano si
vergognava a convocare una riunione per tali cazzate senza senso.
Delegò a Marcelo che chiamò tutti quello del pian terreno ed annunciò con
enfasi:
“Da oggi, non appena vi sia un rifiuto, anche solo cartone, lo si mette
subito nei sacchi dell’immondizia che vanno subito chiusi!”
Dato che il pazzo ci tiene a propagare le proprie pazzie ma poi, quando
confliggano colla propria fannulloneria, si dedichi a pazzie ulteriori, ecco
che lo stesso Marcelo non si attenne alla ‘sua’ disposizione di mettere tutto
nei sacchi. Anzi neppure faceva il suo lavoro, dato che gettava il cartone alla
rinfusa e non frammentato, e poi caricava su altri l’onere di frammentarlo e
riporlo nei sacchi neri, mentre lui si sentiva importante seduto alla scrivania
del magazzino a far nulla, cioè a guardonare sul computer collegato alle
telecamere che cosa facessero gli altri.
Siccome Marcelo non solo è pazzo, ma è pure un pazzo che non capisce un
cazzo, abitualmente lasciava tranquillamente abbandonati, per giorni e giorni,
pomodori ed altre cose in casse aperte a marcire nell’area immondizia che è
fuori dalle cucine e ad esse prossimissima. Tutti predicavano norme vane e
vaneggianti per evitare il supposto assalto dei topi e ratti, e nessuno diceva
nulla per quelle casse di pomodori ed altri vegetali lasciati a marcire, senza
senso, per giorni.
Humberto era nel suo. Ovviamente usava le pazzie altrui per supportare le
proprie. Che di meglio della campagna topi e ratti per innestare su di essa le
proprie fobie usuali. Affisse pure cartelli dove scriveva che dato l’assalto
drammatico di ratti vietava di collocare casse di cibarie su un certo ripiano
prossimo alla bilancia-etichettatrice. Era proprio dove, inevitabilmente, si
mettevano le casse con le cose da etichettare. Chiaro che tutti continuarono
come prima. Non è che potessero sopprimere alimenti e loro etichettatura etc
perché dei pazzi vedevano topi dappertutto, innanzitutto nelle loro chiorbe
vuote e malate.
Naturalmente, lo stesso Humberto lasciava, anche dopo il lavoro, nella
cucina del pian terreno, pacchi di generi alimentari per la cucina dipendenti
tranquillamente risposti in aree aperte, per qualunque topo o ratto fosse
transitato lì. Infatti restavano all’aperto per giorni, dato che Maria do Carmo,
la vecchia cuoca grassona d’etnia africana, pur brasilica, della cucina
dipendenti, aveva problemi, problemi di grasso e d’età, a muoversi, per cui non
è che prelevasse subito, con solerzia, le cose per la sua cucina. Le lasciava
lì per giorni. E Marcelo si sentiva troppo aristocratico per portarli dal
magazzino alla cucina dipendenti che stava esattamente sopra il magazzino.
Preferiva fare la strada più lunga e lasciarli nella cucina del pian terreno.
Il sottosviluppo ed il sottosviluppismo sono questo! Patologie collettive
ed individuali. La somma algebrica di patologie individuali.
L’individualizzazione di patologie sistemiche. Ma poi, “il sistema” sono sempre
singoli, per esempio classi dirigenti che non dirigono, se non il sottosviluppo
e sottosviluppismo, e malate pazze, ignoranti e corrotte. Preferiscono
organizzare squadroni della morte anziché tecnologie ed industrie avanzate. I
primi li organizzano pure gli Stati più avanzati, ma sull’eccellenza
tecnologica, per altre patologie congenite allo Stato, non per restare
arretrati. Le forme possono sembrare comuni a tutti, Stati sviluppati e Stati
sottosviluppati. Sono le sostanze che cambiano. Lo sviluppo o la sua assenza
fanno la differenza.
L’imbecillotto Humberto è convinto che a finestre aperte le cose non
cuociano (neanche si fosse al Polo Nord!) e che coi coperchi esploda il
contenuto delle pentole. Così lui dice in continuazione. Dice che bollire la
uova con l’acqua che bolle, dunque col coperchio, fa esplodere le uova. Per
cui, getta via i coperchi per esempio delle cose da bollire mentre chiude
finestre e pannelli per impedire finanche alla luce di entrare. La cucina,
nonostante la ventola che immette aria, ma che non esce avendo Humberto tappato
il foro di uscita dell’aria con del cartone, si riempie ora di vapore piuttosto
caldo.
Per queste sue pratiche perverse, il cretinotto maniacale Humberto ha adesso
una nuova giustificazione, che qualunque buco o bucherello per l’aria potrebbe
permettere ai topi ed ai ratti di entrare nella sua amata cucina di lavoro.
Chiaramente non sa di che parli, ma questo è tipico per lui come per molti
altri.
Non appena si accendano i fornelli, e l’Humberto sia presente e tappi
tutte le entrate ed uscite d’aria (ventola di entrata a parte), la cucina si trasforma
in un bagno turco. Lui, depresso, mangia sempre più. La pancia, già enorme, gli
si gonfia ancor di più. Il pippo gli tira ancora meno. Si imbottisce ancor più
di ogni genere di farmaci che lo deprimono ancora di più.
Soddisfatto di aver chiuso tutti buchi, sta lo stesso ancora più male nel
fisico, pur non capendone il perché da lui stesso provocato in mille modi tra
cui questo. Non contento del caldo, si copre pure con abiti spessi e grembiuli
impermeabili, sì che il suo disagio sia ancora più intenso.
Poteva la natura reggere, senza alterarsi, a contatto di tale ed altro
irrompere di pazzie in rapida lievitazione? No, non poteva!
Sabato 11/05/2012 sera, due mesi esatti, esattissimi, dopo il compleanno
di Athos, da una presa di un freezer cominciarono ad uscire scintille che
sboccarono in un piccolo incendio tuttavia sufficiente ad affumicare ed
annerire tutta la struttura di quella sede centrale di O Forno Rio in Rio Comprido ed a distruggere o danneggiare vari
congelatori piccoli e grandi con danni per decine di migliaia di reais.
I proprietari, inetti e depressi, panicarono e, alla vista di quel
disastro, fuggirono in preda al mal di testa. La direttora principale, quella
del personale, altri assistenti loro, non ci capivano un cazzo, non sapendo
neppure come fosse organizzata, anzi disorganizzata, tutta la struttura. La via
era spianata ai pazzi furiosi, a cominciare da Marcelo che, con Germano assente
ed in partenza, faceva il kapó dell’area magazzino e consegne.
La prima pazzia. Aprono subito una sezione staccata a Grajaú dove
spostano la stanza tagli.
La giustificazione: nella fretta della domenica comprano un freezer che
collocano a Grajaú. Non avevano spazio a Rio Comprido? Certo che ne avevano. E
la stanza tagli era intatta dall’incendio. È che il brasilico non sa fare un
cazzo e lo fa pure male. Quanto a pensare, non riesce neppure ad immaginarselo.
Aprono a Grajaú perché, non soddisfatti dei danni dell’incendio, vogliono
sprecare altri soldi. Collocano il freezer nuovo a Grajaú, mentre avevano
spazio in abbondanza a Rio Comprido. Spostano a Grajaú, lunedì 13/05/13, ben
quattro persone più il continuo traffico di magazzinieri da Rio Comprido a Grajaú
e viceversa.
Il lunedì, nella stanza tagli, v’è solo una persona. Lì, a causa dell’incendio
(cioè a causa della loro inettitudine di fronte ad un piccolo e limitato
incendio), chiamano d’urgenza Jardel. Muovono Athos, oltre a Raimundo che è
l’addetto alla stanza tagli. Rogerio, un pervertito disgustoso e rabbioso,
responsabile della manutenzione, va pure lui là a fare nulla.
Jardel, convocato d’urgenza a lavorare quel lunedì, mentre, in genere
lavora solo dal mercoledì al sabato, e lì è il suo secondo lavoro dato che di
sera-notte lavora fisso in una pizzeria non di O Forno Rio, è sul nervoso. Lavora troppe ore. Dorme poco. Ha
sempre sonno. Invece che lavorare un numero spropositato di ore per guadagnate
di più, un pizzaiolo o cuciniere potrebbe aprirsi una sua piccola pizzeria od
un piccolo ristorante ed arricchirsi. Non c’arrivano. Non ne sono capaci.
In quattro, a Grajaú non hanno nulla da fare. Rogerio, il capo (capo di
un altro visto che sono in due, lui e Joe) della manutenzione, va a Grajaú a
controllare un tecnico esterno che aggiusta una camera frigorifera. Il tecnico
ripara. Lui sta lì a guardare. All’inizio non funziona. Poi, quando funziona,
vi mettono quattro casse di cose. Figuriamoci! Una camera frigorifera più
grande di quella della sede centrale. Che spreco!
In pratica, Rogerio passa la giornata lì. Poi, si sdraia per terra,
previamente ricoperta da un sacco grande dell’immondizia, a dormire.
Raimundo e Jardel mettono due macchine, un’affettatrice per salumi ed una
frammentatrice per mozzarella (così la chiamano, ma è un formaggio fuso), su un
ripiano, per il lavoro della giornata che consiste in alcune casse di
mozzarella, una decina di sacchetti di cipolle affettate da un chilo l’uno, dei
salumi affettati ed insacchettati.
Potevano fare tutto nella sede centrale di Rio Comprido, senza traslochi
temporanei di macchine e lavoratori. Il lunedì ed il martedì, Raimundo fa tutto
da solo. Lì, ora, il lavoro era pure estremamente ridotto dato che, coi frigo
bruciati, lavorano solo per la giornata.
Quel lunedì, Athos, con Raimundo, pulisce una cassetta di cipolle. Che
gran lavoro!
Poi, Athos, che non ha più nulla da fare, finito di pulire la cipolle con
Raimundo, si avvicina a Raimundo e Jardel che le hanno rapidamente affettate
(ad anelli; mistero perché non usino le cipolle non ad anelli, che finiscono
nell’immondizia come scarti) e le stanno pesando ed insacchettando. Athos,
tanto per fare qualcosa, prende i pacchetti e li colloca in una cassetta.
Siccome è più facile, per contarle, disporle in file ordinate e regolari, Athos
fa due file da 4 e mezza fila da due. Sono dieci in tutto.
Ecco che Jardel, che deve essere fuori di testa per cose sue, e dunque
incapace di mascherare sue patologie latenti come di solito fa, si indirizza a
Athos:
- “Contale!”
- “Le ho già contate...”
- “Contale!”
- “Le ho già contate...”
- “Ti ho detto di contarle!”
- “Le ho già contate. Sono dieci...”
A quel punto, del tutto fuori di testa e di nervi, Jardel prende un
coltellone e comincia a batterlo di piatto, con violenza, su un tavolo:
- “Ti ho detto di contarle! Ti ho detto di contarle!”
- “Sono dieci. Non diventano né di più né di meno.”
Jardel fuma di rabbia. Perché? Perché lui, Jardel, non sa vedere che non
è capace di lanciare un colpo d’occhio e di fare 4+4+2 che ovviamente fa dieci.
Per cui, furioso, brasileiro semi-analfabeta e demente folle, ecco che deve
ruggire di rabbia contro “il gringo”, “colpevole di saper usare il cervello e
di usarlo”.
Il giorno dopo, martedì 14 maggio 2013, la mattina alle otto, Jardel va
alla sede centrale di Rio Comprido a riferire che Athos lo ha fatto uscire di
testa:
- “Io gli avevo detto di contare i sacchetti delle cipolle e lui mi
rispondeva che li aveva già contati...”
- “Dunque si è rifiutato di lavorare?”
- “No, li aveva già contati e sapeva quanti erano... Ma io gli dicevo di
contarli...”
- “Ah, questi gringos ci offendono sempre perché loro hanno studiato e
sanno le cose, mentre noi poveretti...”
- “Ecco, sì, è proprio quello...”
Sono così fuori di testa e lobotomizzati relativamente ad ogni pensiero
appena appena logico che i brasileiri non riescono neppure a comprendere quello
che dicono e quello che fanno.
Athos intravede Jardel venuto lì a riferire e lamentarsi, dato che lui,
Athos, è stato richiamato a Rio Comprido, visto che a Grajaú non è che vi fosse
nulla da fare per tre persone, in realtà neppure per due, ma i coglioni della
direzione ed i loro kapó non è che sappiano fare di conto, né organizzare
alcunché. Athos lo squadra tranquillo. Jardel è visibilmente ancora agitato dal
giorno prima. Non c’ha dormito la notte.
Non solo a Grajaú... Anche a Rio Comprido stanno senza fare nulla,
anziché rimediare ai danni dell’incendio. Chiaramente, con i freezer bruciati o
bruciacchiati, devono smaltire quel che già hanno, non dedicarsi a preparazioni
ulteriori.
Potrebbero lavorare a ristabilire la normalità dopo l’incendio. No. Si
agitano. Si muovono qua e là. Commentano. Fingono apprensione. Ma nessuno fa
nulla per ristabilire la normalità, da una pulita a ripristinare tutto.
Il padrone è come assente. Le direttore (quella generale, e quella
amministrativa e del personale) pure. Un imbecille e psicopatico furioso, come
il nuovo kapó del momento, Marcello, è in delirio megalomane. Ordina ai furgoni
di andare a Grajaú per depositare delle confezioni di basilico ed altre di rucula.
Poi, telefona per farli rientrare per preparare i mucchietti delle cose per le
varie consegne. Ancora, li rimanda a Grajaú per prendere alcune delle
confezioni di basilico e di rucula, poco prima depositate, più contenitori di
mozzarella frammentata (mozzarella alla brasileira che è come le sottilette, un
formaggio fuso) etc. Un delirio! Lui non fa nulla, facendo finta di coordinare
il caos da lui stesso prodotto. Altri non fanno nulla con altre finzioni.
Sarà poi Athos, il martedì, a dare una riordinata nell’area dell’uscita
dalle cucine dove era tutto bruciacchiato e ricoperto di cose bruciacchiate, o
solo annerite, lasciate disordinatamente là. Humberto, il lunedì, non aveva
fatto nulla. Il martedì, Marcelo non sa neppure come lavare i pomodori tutti
scuri di polvere da incendio. Lo fa Athos, dopo aver detto a Marcelo che
proprio non sa fare un cazzo, a parte l’agitarsi con grande prosopopea. Marcelo
è ovviamente livido. Ma dato che lo è sempre e comunque, non è che sia una
novità.
Marcelo sguazza nel far nulla e nel disorganizzare quel che fanno gli
altri. Siccome disorganizzano tutto, poi devono stare continuamente al telefono
per provvedere egualmente agli approvvigionamenti. Marcelo si esalta nello
sbraitare e nel pisciarsi addosso pomposo al telefono. Più disorganizza, più
sta al telefono, più si sente grande ed affermato.
La distanza tra la sede centrale di Rio Comprido e la pizzeria di Grajaú
è di un venti minuti, se il traffico non è eccessivo. Per due, fa quaranta. Per
cui, l’avere mosso a Grajaú l’immagazzinamento di quattro cose, e il taglio di
alcune altre, comporta che si debbano comporre le spedizioni alle varie
pizzerie tra Rio Comprido e Grajaú. Una ‘genialata’, una ‘genialata’ davvero!
Cazzata più grande non potevano fare. Caricano le bevande, le
preparazioni della cucina ed altre cose a Rio Comprido. Poi il furgone
raggiunge Grajaú per le cose affettate o frammentate ed eventuali altri
prodotti lì immagazzinati. Infine, parte per la consegna.
Dopo quattro giorni di quel regime demenziale, col venerdì 17/05 la
stanza tagli torna alla sede centrale di Rio Comprido.
Siccome non sono capaci, fanno gara a chi sia più demente ed inetto,
anche con la chiusura della stanza tagli, trasferita a Grajaú per quattro
giorni, ecco che lasciano lì, a Grajaú, l’immagazzinamento di quattro cose,
qualche sacchetto di basilico e rucula, delle banane ed altre cazzate che
potrebbero immagazzinare senza problemi a Rio Comprido. Per cui, anche se ora i
carichi dei furgoni sono preparati al 90-95% a Rio Comprido, ecco che per quei
piccoli dettagli, per quei prodotti ‘marginali’, i furgoni continuano a dover
andare a Grajaú. Tutto come prima! ...Cioè, come subito dopo l’incendio. Alla
disorganizzazione ed agli sprechi non v’è limite, lì a O Forno Rio!
Una volta inventata un’ulteriore fonte di disorganizzazione e spreco,
hanno davvero problemi a poi sopprimerla. Per cui, in genere, la rendono
permanente. Beh, lì, una volta ripristinata la funzionalità, del tutto non
funzionale, della sede centrale, hanno alla fine ri-mosso quasi tutto lì.
Quasi...
Quasi, perché ora che si sono inventati Grajaú, per disorganizzare
l’emergenza-incendio, continuano ad usarla in ogni possibile occasione per
immagazzinare nuovamente qualcosa, qualcosina, poco, sì da potersi complicare
la vita ulteriormente ed estendere i costi già ben oltre ogni qualunque
tollerabile inefficienza. È l’unica cosa sappiano fare...
Erano così soddisfatti di avere affrontato l’emergenza incendio nel
peggiore dei modi che hanno insistito in quella illogica [non-]logica in tutti
gli aspetti. Domenica 12/05, a caldo, si inventano quel freezer doppio fatto
portare a Grajaú. Lunedì 13/05, anziché chiamare qualche muratore e simili per
aggiustare tutto in uno o due giorni, vanno avanti col muratore che già da
tempo stava dedicandosi ad imbiancare e ad alcune piccole ristrutturazioni.
Uno! Solo uno, per fronteggiare l’emergenza incendio!
Insomma, stavano bene con tutto bello sudicio e non funzionante. Un
muratore che piano piano aggiustasse tutto in settimane e mesi era per loro
perfetto. Minchione il proprietario Otacilio. Minchiona la direttora Simone.
Minchiona la direttora amministrativa e del personale Fatima. Minchione il
nuovo, o forse solo temporaneo, kapó del magazzino & consegne, il malato
furioso ed ignorante nero Marcelo, essendo in partenza e come
auto-disattivatosi l’ambizioso grassone Germano.
La culona e tettona Patricia aveva dato il meglio di sé nella
super-disorganizzazione del post-incendio. Era sparita per alcuni giorni. Poi
si era riaffacciata, arrivando in ufficio non prima delle 10:00-10:30 tutte le
mattine, quando veniva.
Ah, Patricia, quella che prima lavorava al piano impiegati e che, da
alcune settimane prima dell’incendio, era stata mossa nella stanza di Felipe,
il responsabile acquisti, come fosse la sua segretaria, in realtà, o per
finzione, per supervedere non si sa bene cosa visto che non supervedeva nulla e
nessuno.
Il proprietario le aveva detto di controllare un po’ tutto il pian
terreno. Lei si aggirava a ciarlare. Certo, lo faceva con molto sussiego, con
la sua aria tra la bimba e la matrona. Chiunque la vedesse aggirarsi, od anche
solo ferma nel suo ufficio, dietro allo schermo del suo computer, oppure in
azione, cioè stazionare qua e là mentre parlava con la sua aria supplicante e
sussiegosa, pensava che sarebbe stato gustoso chiavarla. In genere, le
sorrideggiavano in faccia per cui loro pensavano di chiavarla e lei vedeva quei
sorrisetti idioti di chi le diceva che era bona solo per essere scopata e che,
non attribuendole alcuna autorità, glielo facevano pure vedere quel che
pensavano di lei. Lei ingoiava, in apparenza felice. Non ci arrivava. O ci
arrivava intuitivamente e se lo negava a livello razionale.
Patricia arguiva, parlando con Humberto, semi-analfabeta, ma al suo
stesso livello culturale pur lei con titolo universitario:
- “Io per esempio parlo con Marcello [Germano, il capo ufficiale del pian
terreno, le sorrideva malizioso in faccia, poi la evitava e la scaricava a
Marcelo]. Possiamo avere punti di vista differenti, ma... Comunque, tutto deve
migliorare e migliorare ogni giorno...”
Humberto assentiva ebete. Poi, lei usciva farsi una birra in qualche bar
del vicinato.
Oppure, di nuovo con Humberto, lei gli raccontava per ore che partecipava
a dei seminari. Alla fine lei concludeva:
“Si deve cercare di fare tutto con igiene.”
Humberto assentiva. Poi continuava a toccare tutto con le mani sudice,
senza guanti sanitari, ed a lavorare carni sanguinolente affianco a prodotti
destinati a finire diretti, senza cotture, nel piatto del cliente.
Patricia parlava, chiacchierava, vaneggiava, suggeriva lei neppure ben
sapeva che. Non controllava. Non diceva. Rispettava... ...il non saper lavorare
altrui. Del resto, non è che lei sapesse lavorare. L’avesse mai saputo,
l’avrebbero licenziata dopo pochi giorni per irriducibile antagonismo
ambientale.
Appena l’agente speciale degli Squadroni della Morte della Polícia
Federal brasileira aveva saputo dell’incendio, era subito giunto nella sede
centrale a parlare, mafioso, col proprietario Otacilio:
- “Signor Otacilio abbiamo saputo dell’incendio...”
- “Essì, è stato proprio un brutto colpo.”
- “Glielo avevo detto che quell’Athos era pericoloso...”
- “Cosa c’entra lui? È successo di sera.”
- “Magari, se lui non fosse stato qui...”
- “Vuol dire che avete informazioni che il fuoco sia stato provocato?”
- “Noi non possiamo saperlo...”
- “Allora perché mi parla di Athos proprio ora?”
- “Facevo così per dire. Glielo avevamo detto che era pericoloso e che
avreste avuto danni a dilazionare la sua partenza dall’azienda...”
- “Avete qualche informazione sull’incendio e non me la volete dire?”
- “No, dicevo solo che bisogna che decidiate qualcosa perché avevamo
l’ordine che quall’Athos fosse liquidato quanto prima...”
- “Come liquidato?!”
- “Sì. che voi lo induceste a dimettersi o, in mancanza di ciò, che voi
ve ne disfaceste.”
- “Ci avete detto di fare tutto nel modo più discreto possibile.”
- “È che sembra che non stia succedendo nulla, incendio a parte.”
- “Perché mi parla di Athos e ritorna sempre su questo incidente
dell’incendio?”
- “No, nulla. Questa volta non la ha prodotto nuovi danni. Ma se un’altra
volta va a fuoco tutto l’edificio.”
Otacilio l’aveva presa come una minaccia. Tutto scuro era corso a casa a
bere ed a dormire. Poi, riavutosi, s’era affrettato a parlare con Simone, la
direttora.
- “Simone, mi hanno contattato di nuovo quelli... ...quelli del governo,
...quelli degli... ...quelli degli Squadroni della Morte della Polícia Federal
brasileira... per quell’Athos...”
- “E che possiamo fare noi... Già cerchiamo di dissuaderlo dal continuare
a lavorare qui...”
- “È venuto il momento di...”
- “Cosa dobbiamo fare?”
- “Bisogna allontanarlo ora.”
- “...Non si potrebbe... Ma se questi sono gli ordini del governo
centrale e delle potenze estere, che ne possiamo noi...”
Simone corse a parlare con Fatima:
- “Fatima, Otacilio è venuto a parlarmi ...per Athos... Dice che la cosa
va risolta quanto prima.”
- “Aveva detto che doveva sembrare che fosse lui a volersene andare.”
- “Quello è uno che ha carattere e cervello. Se non siamo riuscite fino
ad ora...”
- “Va bene. Possiamo fare qualche ultimo tentativo... Poi, a fine mese...
L’ultimo del mese cade di venerdì. Il lunedì successivo possiamo vedere di
trovare qualche d’un altro...”
- “Otacilio parla di nuovo con Marcelo. Ma se non son riusciti fino ad
ora a...”
- “Chiudiamo la cosa con la fine del mese?”
- “Dovrebbe andare bene...”
Marcelo, un codardo e ruffiano nato, relativamente a figure di potere,
oltre a mille altre ‘qualità’ negative, usava ogni possibile occasione per
parlare con voce frociamente suadente e apertamente servile col proprietario,
Otacilio. Soprattutto ora che Germano, il responsabile magazzino-consegne, era
in partenza.
Una delle volte che salì da Otacilio, questi lo fece entrare nel suo
ufficio:
- “Marcelo, già eri al corrente, fin dall’inizio, di quella cosa con
Athos... ...Ordini del governo centrale...”
- “Purtroppo, le abbiamo tentate tutte. Ma quello sembra divertirsi. Sono
veramente di un’altra specie questi gringos...”
- “È venuto il momento di... Ma si dovrebbe tentare egualmente di
indurlo... ...spingerlo fuori ma che sembrasse che fosse lui a... ...se si
riesce.”
- “Ho capito. Dobbiamo tentare di nuovo? Io ho tentato già tutti i giorni
come mi aveva ordinato fin dall’inizio. Ma quello sembra proprio che se ne
freghi, che sappia già tutto e che si prenda lui gioco di noi.”
- “Si dovrebbe. Anche se oramai...”
- “Farò il possibile e l’impossibile, per l’azienda e per la patria!”
Marcelo si sentiva in ascesa. Prima parlava male di Germano, il suo capo,
ma su sciocchezze, su cose nelle quali lui stesso non è che eccellesse. Anzi,
lo criticava per essere parsimonioso, mentre, per esempio, lui, Marcelo, faceva
colazione a prosciutto cotto, latte ed altre cose. Ora, che vedeva in apparenza
libera la strada tra lui e la posizione di responsabile magazzino-consegne,
anche se lì preferivano persone con diploma, non con la sola scuola
dell’obbligo come lui, cominciò a parlare male pure di Felipe, che lui aveva
già discretamente mobbizzato, quando questi era il suo capo, per spingerlo via
dal magazzino-consegne.
Ora, Felipe stava agli acquisti. Siccome cercava di comprare tutto al
prezzo più basso, ecco che Marcelo cominciò a cercare di trovare a ridire pure
su quello, a criticare chessò che Felipe aveva comprato della cioccolata andata
a male, cosa quasi impossibile e, comunque, in quel caso, non vera. Sì, ne
aveva acquistata una partita a prezzo basso. Ma era eccellente. Non era né
scaduta né deteriorata. Marcelo aveva detto a tutti che era cioccolata
avariata. Figuriamoci! È che lo temeva perché di grado più alto di lui, oltre
che con diploma di scuola media superiore, anche se lui Marcelo, megalomane, si
ostentava mentre Felipe era di carattere tranquillo e non aggressivo. Marcelo
faceva pure il possibile per usarlo come autista e addetto consegne, quando
necessitava. Un modo per metterselo sotto i piedi, o così la viveva lui,
Marcello, per cui l’apparenza era tutto.
Marcelo intensificò subito il mobbing contro Athos, anche se non è che
potesse fare molto peggio di quello già facesse. Lo State/government-organized
stalking
(persecuzione di Stato, terrorismo di Stato, praticati in modo assolutamente
coperto ed usando, sul campo, pressoché solo irregolari) è possibile perché il
mondo abbonda di feccia come proprietari, direttori, e di lecca-culo maniaci e
delinquenti alla Marcelo.
Tra,
l’altro, Marcelo è uno distratto e deconcentrato, essendo troppo concentrato su
sé stesso, sul cercare sempre di darsi un contegno ed un sussiego. Si dimentica
le cose, anche quando cerca di puntare qualcuno.
Siccome Athos dipendeva, in qualche modo, da un imbecille come Umberto,
l’anziano della cucina dato che lavora lì da un cinque-sei anni, ed essendo
Marcelo un pretenzioso, tra le altre cose, ecco che Marcelo, alla prima
occasione, parlò a lui, lui Humberto, che ormai da settimane (non appena seppe
che Germano era in partenza) lo leccava vedendolo come il nuovo responsabile
magazzino-consegne, ed in qualche modo preposto pure alla cucina ed ai tagli
dato che lavorano per il magazzino-consegne.
In realtà, il magazzino-consegne passa gli ordini alla cucina ed ai tagli
che provvedono. E fornisce pure i materiali necessari perché possano lavorare.
Il responsabile magazzino-consegne è formalmente preposto a tutto il piano
terreno che include la cucina ed i tagli, che sono poi tre o quattro persone.
Oltre ciò, dipende dal servilismo di un Humberto, o di altri, che il
responsabile magazzino-consegne possa pretendere cose oltre il dovuto od
angariare chi lavori in cucina ed ai tagli.
Tra maniaci, più le persone sono gentili più i maniaci tentano di
abusarle. Anche, più sono servili, più i maniaci se ne approfittano. È il caso
di un Marcelo.
Marcelo è uno che, in modo maniacale, pensa solo a scaricare i proprio
lavoro sugli altri. Della serie: “Fammi questo! Fammi quello!”, con tutti
quelli che incontra. Dice a sé stesso che, così facendo, conquista potere sugli
altri.
Invero, un po’ tutti i brasileiri hanno la mania di chiedere sempre aiuto
agli altri anche quando non necessario. Viene insegnato loro nella scuola e la
chiamano ‘cooperazione’, cooperazione alla brasileira. Nessuno coopera
realmente col prossimo dato che tutti tendono a fottersi l’un l’altro. Ma tutti
sembrano fare fatica ad allungare finanche un braccio per cui tutti chiedono
alla persona prossima di fare l’una o l’altra cosa per loro. Il sottosviluppo
cronico è pure quello, perdere tempo a chiedere al prossimo quello che si
farebbe prima direttamente senza sollecitare l’altro.
Quando Marcelo, già prima dell’incendio aveva chiesto ad Humberto se
potesse usare Athos per una consegna, Humberto, servile, non è che avesse fatto
notare che fare consegne con la divisa della cucina, e che fare consegne per
chi fosse stato assunto per cucinare e non come facchino, fosse una cosa del
tutto stravagante.
Quando Marcelo si indirizzò ad Athos, costui era solo eccitato per
l’esperienza nuova, andarsene un po’ in giro e lasciare Humberto a cucinarsi
nella sua cucina afosa, buia e puzzolente. Infatti, si va in giro col furgone
(uno può guardarsi attorno, portarsi da leggere oppure dormire, se non ha
voglia di parlare con l’autista) e, quando si arriva, si scarica.
Athos disse a tutti, scherzando, che poteva guidare ed andare in
spiaggia. Humberto, al solo sentire questo, si era fatto nero. Quando il giorno
dopo le consegne, Athos disse a Humberto ed altri, per canzonarlo, che erano
andati in spiaggia e che, nelle pizzerie, avevano mangiato gelati e bevuto cose
speciali, Humberto era ancora più nero e si era messo ad urlare che era stata
l’unica volta, che mai e mai più avrebbe autorizzato che Athos fosse usato per
delle consegne.
Siccome dare il culo è una vocazione, non appena Marcelo si era
reindirizzato frocesco ad Humberto per chiedere che Athos andasse con gli
autisti per altre consegne, Humberto aveva subito detto di sì, salvo urlare
disperato quando vedeva Athos felice e che gli diceva, per farlo uscire di
testa, che aveva mangiato gelati, bevuto cappuccini ed altre cose, e che era
contento di essersi evitato la pulitura della cucina che, di conseguenza,
gravava sul solo Humberto. Non che fosse una grande cosa, ma Humberto si
sentiva come ad ingoiare merda. Ingoiava merda da Marcelo, come da tutti coloro
per lui erano una qualche fonte di autorità, e poi urlava con Athos come fosse
colpa sua che lui, lui Humberto, ingoiasse merda da Marcelo.
Fare consegne dopopranzo significava ritornare all’ora dell’uscita o
sforare la stessa. È quello era successo quando Athos era andato per delle
consegne con gli autisti. Una volta Athos era rientrato che era l’ora
dell’uscita e Humberto stava in cucina con la culona Patricia, un tecnico per
settare la bilancia-etichettatrice nuova, Marcelo a starnazzare, Felipe a
guardare, un altro della direzione idem. Chiaramente, Athos si era cambiato e
se ne era andato. Humberto se ne era lamentato il giorno dopo. Fesso lui che,
per uno che sta lì a settare la bilancia nuova, ha aspettato questi avesse finito
per pulire la cucina. Doveva lavare tutto prima ed andarsene in orario, ché un
pavimento sozzo si può pulire in due minuti il giorno dopo. Nella cucina, in
continuazione, quando si lavora, se il pavimento è sporco si dà una passata
rapida. Humberto è uno che vende sempre il suo culo. Vorrebbe poi vendere pure
quello altrui, come rivalsa. Un’altra volta, Athos e l’autista erano tornati
che era già tutto chiuso, per cui Marcelo neppure era lì a far finta di
lavorare. Questo significa che la consegna con l’autista poteva farla lui. Era
il suo lavoro, dato che l’hanno assunto per quello. E così via.
Alla fin fine, Athos aveva partecipato a quattro consegne. L’ultima con
Felipe, una consegna doppia alla pizzeria-ristorante di Tijuca. Felipe guida
veloce e cerca di fare tutto veloce. La penultima con Alexei, uno nuovo, in
realtà coll’idea di mettersi in proprio e fare soldi, ma lì colla testa montata
da Marcelo (che a volte lo aspettò all’uscita per fargli ‘lezione’ e tentare
reclutarlo al suo clan del brasileiri frosci e stalkizzatori) che gli ha detto
che il potere consiste nel cercare di non far nulla simulando di fare tutto ma
facendo lavorare gli altri al proprio posto. Per cui, si dimenticò, o si
‘dimenticò’, perfino di caricare il carrello e poi fece scaricare tutto ad
Athos, sebbene a Rio-2 ci fossero da percorrere alcune decine di metri tra il
furgoncino e la pizzeria-bar. Lui era troppo occupato a fingere di trafficare
senza fare nulla. Altre due con Augusto che lavora serio e veloce sebbene, per
fare benzina, avesse fatto un giro incredibile che aveva fatto perdere un
quaranta minuti.
Marcelo, come parte del mobbing contro Athos, quando questi gli chiedeva
cose per la cucina, per lavorare, rispondeva abitualmente: “Non hai altro da
fare? Va a fare altre cose!” oppure “Chiedi meglio a Humberto che cosa
voglia!”, anche quando la richiesta era del tutto chiara e dettagliata. Era
parte del suo mobbing. Quello sbottare in tali frasi senza senso lo faceva, lui
malato, sentire tutto importante. Si faceva tali parti pure in presenza della
culona Patricia o di altri, cosa che significa che aveva ricevuto l’ordine dal
proprietario e dalle direttore. Impulso a confessare. Non è che gli idioti...
Successe una decina di giorni dopo l’incendio. Era stata una giornata di
intenso lavoro, e si stava avviando alla conclusione giusto un poco prima
dell’orario di uscita. Giusto il tempo di finire tutto, di cambiarsi e di
andarsene via. Athos lo aveva odorato nell’aria che Marcelo era più fuori di
testa del solito.
È martedì 21/05/2013. Athos ha un impegno professionale suo per cui non
può attardarsi per i deliri di Marcelo o di altri. Non è solo quello. Lo sa che
han deciso di farlo fuori e che si stanno coprendo dietro quello scemotto, ed
arrogante folle ed ignorante, di Marcelo. Per cui, Athos gliela tira, tira loro
come una pietra in mezzo agli occhi per vedere come si sconquassino.
Sono le 15:30. Sicuro si indirizza a Humberto:
- “Humberto. Qui, ora, ordiniamo la cucina, magari pure fuori anche se
sarebbe compito di quei bamba alla Marcelo, e si può chiudere in orario. Ah,
che non si inventino delle storie di consegne.”
Humberto che è tra l’impotente ed il maniacale, scatta:
“Ah, devi andare a scopare? Dove? Con chi? Quante volte?”
Athos lo guarda gelido e pensa: “Ecco, vecchio porco, ora corri a fare il
delatore con Marcelo.”
È quello subito succede. Humberto corre, col suo passo pesante da frocio
alcolizzato da bar e TV, fino alla scrivania dell’area magazzino, dove Marcello
è a far nulla con gli occhi spiaccicati sullo schermo del computer a spiare
nelle varie telecamere.
- “Marcelo, mi hai detto di informarti di tutto... Athos mi ha detto che
oggi deve uscire in orario... ...Se può esserti utile saperlo.”
Appena Humberto tornò in cucina, anche Marcelo piombò subito nella stessa
e disse, con aria sussiegosa, a Humberto:
- “Humberto, oggi ho bisogno di Athos...”
Athos, che era ovviamente lì, disse netto:
- “Oggi devo uscire in orario, perché ho delle cose da fare.”
Marcelo visibilmente alterato:
- “Come ti permetti?!”
- “Il mio orario è 16:20, a meno che non ci siano delle emergenze in
cucina. Il mio lavoro è comunque in cucina e solo in cucina.”
- “Tu dunque ti rifiuti di...?!”
- “Lavoro in cucina ed il mio orario è fino alle 16:20, a meno che
proprio non ci siano delle emergenze vere.”
- “Ma allora...”
- “Dì quel che ti pare. Oggi, io esco alle 16:20, che del resto è il mio
orario di lavoro.”
- “Tu, tutte le mattine, già timbri prima delle 8:00!”
- “Appunto, prima non dopo. Lo vedi che non capisci un cazzo.”
- “Tu devi timbrare il cartellino alle 8:00 precise!”
- “Non sono fatti tuoi, che comunque stai mostrando di nuovo la tua
solita ignoranza ed incapacità di comprendere le cose.”
- “Vai a cambiarti e vai a casa! Sei licenziato!”
Dato che Athos non andava da nessuna parte, Marcelo, del tutto fuori di
testa, cominciò, come già altre volte, a strattonarlo:
- “Vai via! Sei licenziato! Vai da Fatima [la direttora amministrativa e
del personale]!”
- “Sto lavorando. Tu non puoi proprio licenziare nessuno. Ed io sto
lavorando.”
- “Vai subito da Fatima!”
- “Non vado da nessuna parte.”
- “Vieni con me da Fatima.”
- “A fare che? Se mi vogliono mi chiamano.”
Marcelo tornò furioso nel suo magazzino. Poi, quando Humberto, sempre a
leccare, passò da quelle parti lo chiamò:
- “Humberto, tu sei un brasileiro come me. Io lavoro per la patria. Tu
devi fare quello che io ti dico...”
- “...Certo...”
- “Guarda Humberto tu devi uscire alle 16:20, non prima... Ma anche se
esci prima, bisogna che Athos sia obbligato a stare nella cucina, anche se non
c’è nulla da fare. Humberto, io sto lavorando per la patria contro quell’Athos.
Tu che sei brasileiro devi collaborare con me.”
Athos che sapeva tutto di questi deliri, e di questo tramare ridicolo e
pazzoide di Marcelo, osservava da vicino Humberto. Quando questi era in doccia,
Athos si cambiava. Quando Humberto se ne andava, anche Athos se ne andava. O se
ne andava pure prima, se aveva minuti in più da bilanciare.
Con la collaborazione di Humberto, che poi diceva a Athos che era
obbligato, Marcello si rifà una di queste parti sabato 25/05/2013. Si era già
accordato con Humberto per tirarla fino alle 16:20.
Humberto, che non sa cucinare, si improvvisa, non è la prima volta, cuoco
del personale, su mandato del da-di-lui-leccato Marcelo. Athos, che lo marca da
vicino, si infila nella cucina del personale, mentre lui sta cucinando, e
sfrutta la sua [di Humberto] mole tozza e lenta, dunque con difficoltà di
movimento e di visione, per cucinargli alle spalle, mangiargli alle spalle, e
poi pure pranzare velocissimo, di nuovo, mentre lui si allontana dunque non da
lui visto ed, invero, neppure visto da altri che mangiano nella piccola cucina.
Athos si mette in un area appena separata, visivamente separata.
Quando poi Marcelo si indirizza a Athos per dirgli di andare a mangiare e
di fare l’intervallo, Athos risponde elusivo che non necessita di mangiare (ha
già mangiato doppio, ma loro non lo sanno), e, sempre con aria del tutto
casual, dice che è perfetto e si avvia dunque a farsi l’intervallo coi suoi
soliti libri. Marcello gli lancia delle occhiate livide mentre Humberto,
agitato, mangia e poi torna a lavorare. Athos si fa la sua ora. Poi,
ovviamente, torna al lavoro.
Humberto la tira per le lunghe, con Athos che lo osserva e se la ride
mentalmente. Ma proprio non ce la fa, Humberto, a tirarla fino alle 16:20. Se
ne va verso le 16, dicendo a Athos che Marcelo vuole che lui, Athos, resti fino
alle 16:20. Dato che la regola, soprattutto il sabato, è che ci se ne vada a
lavoro finito e dato che, quando Humberto se ne va, la cucina è chiusa, Athos
aspetta che Humberto vada via, e se ne va via pure lui.
I montati arroganti e vani come Marcello, pur su mandato padronale e
governativo, hanno la meglio solo finché uno dia loro autorità. Una cosa è il
lavoro. Gli abusi non meritano tolleranza da parte del bersaglio, qui Athos
che, infatti, non ha mai dato a tali psicopatici e criminali nessuna autorità.
Ciò rende quelli sul campo, qui Marcelo, sempre più ansiosi ed agitati.
Marcelo va a riferire, la fa tutti i giorni, a Otacilio, il proprietario,
che il suo mobbing contro Athos non sta funzionando. Lui si incensa dicendo che
lui, Marcelo, è un grande patriota, e pure molto astuto, ed anche attento agli
interessi dell’azienda, ma che, sebbene ce la metta tutta, quell’Athos lo
tratta in modo che lo fa infuriare, lo spiazza, creandogli continue ansie e
tormenti.
Otacilio tira un sospiro di grande apprensione e gli dice di tentarne
qualche d’un altra e che tanto, anche senza scuse formali, vedono poi loro di
risolvere la cosa.
Marcelo torna all’assalto finale contro Athos giovedì 30/05/2013, giorno
festivo. Assalto finale nel senso che è l’ultimo, od il penultimo. Ma Marcelo
non ha alcun ruolo. Glielo fanno forse credere, solo credere, che lui abbia
avuto un qualche ruolo ed un qualche potere. Lui non conta un cazzo, pure meno.
Marcelo comincia ad urlare che Athos, solo Athos, deve restare fino alle
16:20:
- “Deve restare uno, anzi Athos e solo lui, perché se ho bisogno di
qualcosa dalla cucina...”
Una balla colossale!
Gli ordini sono tutti evasi. Non ne arrivano altri. Tutti i festivi, come
il sabato, tutti se ne vanno poco dopo mezzogiorno. Giovedì 30/05/2013, c’è
così poco lavoro che Marcelo non può neppure farsi la sceneggiata di dire ad
Athos di fare l’intervallo pasto che, del resto, il sabato non si fa mai, o
quasi mai.
Alle 13:00 cucina e stanza tagli sono chiuse e tutti hanno già mangiato e
stramangiato. Alle 13:20 tutti se ne vanno.
Marcelo blocca Humberto al cancello d’uscita mentre se ne sta andando. Ad
Humberto piace prenderselo nel culo, per cui fa buon viso a cattivo gioco.
- “Humberto, fermati, che devo dire a Athos che non deve uscire, fermarlo
qui e costringerlo a restare fino alle 16:20... Per cui, ora, aspetta... Pure
tu Jardel. Per la patria...”
Humberto si ferma, ovviamente già cambiato, proprio mentre sta uscendo.
In effetti, pure Jardel che stava per per cambiarsi nei pressi del cancello
d’uscita (lui può; per lui, “le donne che transitano” da lì non si
scandalizzano). Si stravacca su una sedia, con gli abiti da lavoro, ed aspetta
le pazzie di Marcello che sta lì, vigile, ad aspettare Athos per farsi una
qualche sceneggiata per cui necessita di pubblico.
Athos sopraggiunge alle 13:20 esatte. Vede che il cancello è aperto, con
Humberto che chiaramente stava uscendo ma è stato bloccato, chiaramente solo
per poco, visto che è in abiti da strada, non in abiti da lavoro, e con Jardel
stravaccato che aspetta solo qualche sceneggiata in corso per poi cambiarsi ed
andarsene via. Raimundo si sta cambiando per uscire, pure lui, nel giro di
pochi minuti.
Per cui, Athos timbra il cartellino e si avvia veloce all’uscita.
Marcello sbotta:
- “Il tuo orario è fino alle 16:20.”
Athos squadra i tre e cordiale:
- “Molte grazie. Buona giornata.”
Marcelo resta di merda. Dopo pochi minuti di vane chiacchiere pure
Humberto e Jardel se ne vanno. Humberto timbra il cartellino alle 13:30. Era
una balla, e pure mal costruita, che ci fosse bisogno di qualcuno “di guardia”
in cucina.
Marcelo è furioso. La notte non dorme. Rimugina e rimugina.
Agitatissimo, il giorno dopo, venerdì 31/05/2013, arriva prestissimo al
lavoro. La prima cosa che fa è prendere il cartellino di Athos.
Athos arriva verso le 7:30. Non trova il cartellino dell’orario ma ha
comunque tempo fino alle 8:00. E, comunque, se il cartellino non c’è... Si
cambia. Mentre si sta cambiando, arriva Marcello tutto agitato e con in mano il
suo cartellino.
- “Fosse per me, ti avrei già licenziato.”
Athos lo guarda freddo senza dire nulla.
- “Il tuo cartellino delle presenze lo ho io.”, insiste Marcelo
- “Ah, mi hai rubato il cartellino.”
- “Devi andartene! Devi andartene! Fosse per me, saresti già fuori di
qui.”
- “Mi hai rubato il cartellino.”
- “In Brasile, non abbiamo bisogno di persone colte, di intellettuali!”
- “Mi hai rubato il cartellino.”
- “Se ti licenziamo, come fai a pagare il fitto della camera?”
- “Mi hai rubato il cartellino.”
- “Abiti nello stesso ostello dove me. Come fai a pagare la camera, se ti
licenziamo?”
- “Mi hai rubato il cartellino.”
- “Appena arrivano, vado su a parlare coi dirigenti...”
- “Mi hai rubato il cartellino.”
Marcelo va rimettere il cartellino delle presenze di Athos dove avrebbe
già dovuto essere, dove v’è l’orologio con la marcatrice per timbrarlo.
Infatti, quando Athos transita per mettere i suoi vestiti nel suo box, lo trova
lì, ora. Lo timbra alle 7:45. Ah, già, perché lì, a O Forno Rio, non sono stati neppure capaci di combinare spogliatoio
e stipetti o box dove chiudere le proprie cose! Per cui ci si spoglia a trenta
metri da dove si possono poi collocare le proprie cose, a meno di lasciarle
esposte a manipolazioni altrui.
Quando, verso le 8:30-9:00, Humberto è arrivato, ha fatto colazione nella
cucina dipendenti ed è rientrato nella cucina di lavoro, ecco che sopraggiunge
Marcelo e lo investe urlando, con Athos presente che non dice nulla e se la
ride, senza mostralo, di quei folli:
- “E tu, Humberto, devi appoggiarmi al 100%, senza tentennamenti. Non
possiamo tollerare un gringo, uno straniero, più istruito, intelligente e
capace di noi. È un’umiliazione per il Brasile e per noi tutti. Athos deve
essere licenziato. Guarda! Guarda! [Corse a prendere il cartellino delle
presenze di Athos] Guarda! Si permette di timbrare tutti i giorni alle 7:30!
[L’orario di lavoro è dalle 8:00] Ora vado a parlarne in direzione!”
Humberto, frastornato, cominciò ad urlare a sua volta:
- “Io non difendo nessuno! Non difendo nessuno! Dico solo che se lui viene
a mancare deve esserci, nello stesso momento, uno che lo rimpiazzi. Qui c’è
troppo lavoro. Io non posso lavorare solo. Non posso!”
Appena Marcello ebbe nozione che il proprietario fosse arrivato, andò su:
- “Signor Otacilio, le ho tentate tutte. Ma quell’Athos... Non ce nulla
da fare... Non riusciamo a spuntarla di solo mobbing...”
- “Bene, ci pensiamo noi, ora.”
Otalicilio, dopo avere parlato cogli gli Squadroni della Morte della
Polícia Federal brasileira, chiamò la direttora Simona e le disse che si doveva
procedere al licenziamento immediato di Athos.
- “Improrogabili ragioni di Stato!”, le disse.