sabato 28 marzo 2015

mashal-081.
Che fika al vento...

mashal-081. Che fika al vento...

by Georg Moshe Rukacs


Forse questa microstoria va fatta iniziare dal Brasile,

A Rio de Janeiro incontrai Mariangela Santos. A dire il vero, ad un’ora da Rio di bus, a Campo Grande.  

In realtà stavo già scopando, e con grande soddisfazione, con Aurora Lin. Lavorava nella piccola di-fatto-ChinaTown, che era poi dove abitavo a Rio. Uscivo, e vi erano botteghe cinesi che vendevano, in apparenza, cianfrusaglie, eppure si estendevano in grandi negozi, e si vedevano i proprietari e famiglie salire su macchinone, su superstrada, che, in Brasile, costano perfino di più, e pure di molto, che in Europa, dato la notevole tassazione indiretta, e che, dunque, sono un sicuro indice di affluenza, di ricchezza, di essere dell’area dei benestanti, nettamente superiori a chi vive, rubacchiando, sulla strada e pure da chi, non molto differente, come livelli di sussistenza, lavora per un euro o poco più l’ora (o anche a meno, visto i padroni delinquenti che vi sono!) e, poi, o si arrangia rubacchiando oppure sopravvive semplicemente perché molti vivono non pagando fitto, sia in favelas od in situazioni similari. Il Brasile è, a tutti i livelli, un arruffa-arruffa, dove tutti si rubano reciprocamente e sembrano pure felici di tale comune delinquere che svantaggia, in vario modo, tutti. Fin dalla più tenera infanzia viene fatto ai brasiliani un continuo lavaggio del cervello dal punto di vista del patriottismo per cui viene, assolutamente a tutti, instillato un patriottismo esasperato, almeno a livello declaratorio. Una cosa del: così deve essere. Come molti che sono di una religiosità fanatica, anche lì a livello declaratorio, non davvero di comportamenti. Poi, infatti, nella sostanza, il brasiliano vive come una persona di merda. 

No, no, i cinesi non c’entrano nulla con questo patriottismo brasilico. I cinesi, a casa, parlano cinese, e continuano a parlare cinese col succedersi delle generazioni. Vogliono preservarsi come cinesi. Se non come cinesi-cinesi, come cinesi da dove vengono. Alla fine parlano il dialetto o lingua specifici dell’area da cui sono arrivati, il ‘cinese’ dei luoghi di provenienza. Lo scritto che magari non coltivano sarebbe uguale, più o meno. Lo specifico dialetto dei luoghi rende invece impossibile comunicare con cinesi di altri dialetti, a meno di non conoscere reciprocamente il cinese standard, la “lingua comune”, di cui naturalmente il cinese, diciamo della strada, non è che si preoccupi.  

Aurora era di una di queste famiglie di cinesi arricchiti, arricchitisi col propri lavoro, risparmiando su tutto ma poi pure mostrando esteriormente, con macchinone e case di lusso, il loro arricchimento.

La avevo fissata quando la avevo vista sulla porta nel negozio di famiglia. Era arrossita tutta. La cosa si era ripetuta. Era arrossita ancora di più quando mi ero avvicinato a lei, le avevo detto che era bellissima e che dovevo assolutamente vederla. Mi aveva detto di no. Le avevo detto di trovarsi alle 21:00 precise, pure un poco prima, di quel giorno, perché non mi piaceva aspettare, all’angolo tra Rua Gonçalves Ledo e Praça Tiradentes. Le dissi che, se non si fosse presentata, sarei venuto io al negozio il giorno dopo e l’avrei portata subito via a forza. Arrossi tutta, ancora di più che le volte precedenti.

La sera, alle 21:00 la trovai lì. Era tutta tremante ed imbarazzata, imbarazzata non nel significati spagnolo della parola.

Appena mi avvicino a lei, sbotta subito, aggressiva:
- “Siamo cinesi... Noi non le facciamo queste cose! ...Non so perché sono venuta...”

La baciai sulla bocca. Prima piccoli bacetti che mi svelarono le sue labbra delicate e tenere. Quando feci per baciarla più in profondità, lei serrò la bocca come negandosi. Cominciai allora a baciarla sul collo e la sentii progressivamente sciogliersi. Quando infine la baciai sulla bocca di nuovo, era ardente ed ansiosa di offrirmi la lingua che voleva le succhiassi mentre le baciavo le labbra e le toccavo il corpo colle mani.

La presi per mano con la sinistra mentre, con la destra la tiravo a me per il fianco, e la condussi nella mia stanza, bypassando la portineria dell’ostello, ostello in cui non si potevano condurre estranei nella propria stanza. Ma, appunto, se non vedevano... 

Arrossì di nuovo e, nel contempo, si irrigidì tutta. Si vedeva che recitava una parte, eppure lo fece con apparente determinazione.
- “Siamo cinesi. Noi non le facciamo queste cose. Prima mi devi sposare. Ma mio padre e mia madre non vogliono che mi sposi con stranieri, bensì solo con cinesi. ...Anzi, c’è un ragazzo di una famiglia di amici che lavora da noi. Credo che io gli piaccia... I miei mi hanno detto che dovrei sposarlo...”

- “Se ti  piace, sposalo”, le dissi mentre la spogliai piuttosto velocemente.

- “Che cosa mi sta facendo?!, sbottò con quella punta di isteria tipica della fanciulla che pensa troppo al sesso mentre si vieta di praticarlo.

Non le risposi mentre la spinsi sul letto dove le sfilai in un attimo le mutandine e cominciai ad accarezzarle la fichetta colla lingua ed a succhiarle il clitoride. Ai primi passaggi sulla fichetta chiusa diede segni inequivocabili di gradimento. Quando comincia a succhiarle il piccolo clitoride, che subito si inturgidì, cominciò ad agitarsi tutta come a volersi sottrarre ad un godimento troppo intenso. Più mostrava di volersi sottrarre, più intensamente glielo succhiavo con lei che si agitava all’inverosimile. Più la succhiavo più godeva, mentre faceva come a sottrarsi al godimento che pur le montava dentro. Le montava dentro e ne usciva pure straboccandola. 

Le succhiavi il clitoride roteandogli la lingua attorno. Lei si agitava come a liberarsi. Io la succhiavo ancora più intensamente. Lei godeva ancora di più. Cercò di reprimere le sonorità del godimento che le salivano nella gola, ed alla fine proruppero con sempre più aperti e rumorosi oh, ooh, oooooooh. Un godimento incontenibile che le saliva su. Fino a che non ebbe uno schizzo acquoso di inequivocabile eiaculazione femminile che le usciva dalla fichetta chiusa e che mi colpì la bocca e poi si espanse sul lenzuolo del letto. Ne fui piacevolmente sorpreso dato che in genere alla femmine non succede, non a molte. Era come le si fosse accumulata una quantità inverosimile di desideri repressi ed ora, di botto, non potesse più contenerli. Dunque, una meravigliosa sborrata femminile. 

Con la mia testa, e la mia bocca e lingua, sulla sua fichetta, già le tenevo le gambe aperte e ripiegate contro il suo petto. Mi sollevai col corpo, mossi il mio cazzo durissimo sulla sua fichetta che carezzai con filo dello stesso, mentre ora, colla mia bocca e lingua, presi a succhiarle e carezzarle i seni.

Poi, quando sentii che era davvero del tutto fatta e strafatta, in quello stadio, colle dita le allargai la fichetta e, con la punta del cazzo, cominciai a insidiare quella sua passerina chiusa eppur lubrificatissima, dunque vogliosa di essere presa. La baciavo sulla bocca, sul viso, sul collo, sui seni, mentre la punta del mio cazzo si fece progressivamente strada nella fichetta prima chiusa ed, infine, le entrò tutto dentro con lei che, di nuovo, con le sue sonorità vocali, mostrava il suo gradimento e godimento. Il sangue virginale fu davvero minimo ed i suoi ‘oooh’ e ‘aaah’ erano solo per il godimento sempre più intenso che le saliva dentro e la straboccava.

Più la montavo e più godeva, più la sua fichetta le si contraeva come a volermelo risucchiare sempre più intensamente dentro di sé. Quando mi preparai infine a venire, con lei che sembrava del tutto impazzita, e come fuori di sensi e di testa, le distesi le gambe, la strinsi sotto di me tra le  ginocchia e la montai, la cavalcai, per venire in più rapidamente possibile. Occorsero pur sempre minuti e minuti. Lei sussultava e la fichetta si contraeva, restando  lubrificatissima, sì che quando cominciai a sborrarla dentro le sua fichetta che si contraeva, la stessa mi risucchiava tutto lo sperma. Ed io continuavo a montarla, senza fermarmi, pur con lo sperma che continuava ad uscire, e la sua fichetta e risucchiarmelo vorace ed insaziabile dentro di sé.

Sì, è, non del tutto, come quando si sente e si legge sui media che due sono restati incastrati e che hanno dovuto farsi ricoverare per esser separati. Quando succede questo è perché lui non continua fino ed esaurirsi e lei non gode fino ad esaurire tutte le contrazioni della fica vorace. Questo non mi è mai successo. È troppo bello abbandonarsi ad una lunga cavalcata, su una fica che si contrae, fino ad esaurirsi e ad esaurirla. È quello che, anche lì, accadde con Aurora Lin. 

Quando, dopo qualche mezz’ora, Aurora si riprese, cercò di darsi un atteggiamento e mi disse, fingendosi seria-seria:
- “E se mi hai messo incinta?”
- “Se ti ho messo incinta, come prima o poi succederà, se non è successo ora, vedremo se sarà un bimbo od una bimba...”
- “E cosa dico ai miei?”
- “Dici loro che ti ho messo incinta e che diverranno nonni...”

- “Non vengo più! Non vengo più! Ora mi hai violentata e ti sei approfittato di me. Ma io non vengo più.”

Le presi la testa ferma tra le mie mani, appena stringendola, ma non sì da farle male:
- “Vieni qui da me tutti i giorni! ...E smettila di fare storie! Sei mia e solo mia!”
- “Ho sentito dire che tu ti diverti con altre donne...”
- “Quello che faccio io, sono affari miei. Tu sei mia e solo mia!”

Poi, le succhiai il collo in vari punti fino a sentirla inequivocabilmente godere e sussultare, e lasciandole chiari segni dei miei ‘succhiotti’, davvero delle belle chiazze rossastre:
- “Ti aspetto stasera e tutti i giorni! ...Ah, se non vieni vengo a casa tua a prenderti... ..E dico ai tuoi che siano amanti... Tanto, non preoccuparti, già lo sanno che sei qui con me che ce la spassiamo!”

Venne tutti i giorni. La misi incinta un paio di volte. Dopo il primo bimbo, la fichetta le restò per qualche settimana allargata dal parto, ma solo quando glielo mettevo dentro, all’inizio della scopata. Poi, non appena cominciava a godere ed a contrarsi, cioè quasi subito, in pratica appena sentiva il mio cazzo duro che la voleva, era come le prima volta e le volte successive, una fichetta che si contraeva stretta che mi risucchiava tutte le energie vitali che non aspettavano che di fuoriuscire dal mio cazzo, mentre mi godeva e mi faceva godere davvero in modo sfrenato.

Faceva un po’ sempre la gelosa. Ancora di più durante la prima gravidanza. ...Dovevano averle detto qualcosa... Sì, poi lo aveva visto di persona. La sorellina le camminava sotto il naso col culetto per aria ed un sorrisetto provocante ed allusivo.

Aurora, in ospedale per la gravidanza, se ne era uscita con aria tragica:
- “Come hai fatto questi giorni che io sono qui? Con chi ti sei dato da fare?”
- “Oh, che domande...”
- “No, no, devi dirmelo... Sennò sparisco col bambino.”
- “Oh, che problemi che ti vai a fare...”
- “Ecco, mi hai tradito e non me lo vuoi dire!”
- “Ma se sto sempre con te...”
- “Lo so vai con altre ragazze!”
- “Ma, dai, sono sempre con te...”
- “No, me lo dicono tutti che vai in giro a divertirti!”
- “Ma figuriamoci... Sono sempre dietro alle mie cose e, poi, qui con voi...”
- “Dici, bene... Con noi... Non solo come me... Lo vedo che la mia sorellina...”
- “Che c’entra la tua sorellina.”

Si era fatta furiosa: 
- “Non negare che te la sei fatta...”
- “Ma cosa vai a pensare.”
- “Sì, lo so che te la sei fatta...”
- “Sarai mica gelosa di tua sorella?!”
- “Ecco, ti sei divertito con lei ed io non dovrei essere gelosa?!”

Me ne andai per evitare di continuare una discussione su quel terreno. Era stata la sorellina che si era voluta far fare la festa sul mio cazzo duro, durissimo, di fronte a lei che si era spogliata e mi si era gettata letteralmente addosso.

Beh, lasciamo qui stare ora i godimenti e le vicende con Aurora Lin, e pure con qualche fichetta a lei prossima.

...Passiamo all’orrore. Capitò...

Con Mariangela (di chiare origini congolesi od africano-centrali anche se i brasilici, terrorizzati dalla dittatura militar-burocratica e lobotomizzati dal sistema scolastico, hanno terrore anche solo di accennare a questioni razziali, dunque inutile chiederlo loro), con cui, non so come, mi ritrovai in quei giorni, fu un vero trauma. Mi portò in un motel, si spogliò e voleva essere fatta. Una massa enorme di cento chili di grasso. Io mi ero detto che ad uno deve comunque venire duro in tutte le condizioni. Mi sbagliavo proprio. Spogliatasi le esce fuori una panciona con una una cicatrice, una cucitura spessa di quelle fatte proprio per restare, di rimozione delle ovaie ed utero. La fica era una riga senza attrattive sul pancione martoriato. Le salgo sopra e scivolo di qua e di là tanto è grossa. Scappai col cazzo moscio e ne restai davvero traumatizzato.

Poi, continuavo a pensare come facevano gli attori porno a restare in erezione in tutte le condizioni. Beh, se uno va con ficone... Eppure mi dicevo che ad uno dovrebbe venire duro comunque, a comando. Mi ero fissato. Mi misi a fare degli esercizi, delle contrazioni, che dovrebbero avere il potere di rinforzarlo ed ingrossarlo.

Intanto ero andato a Berlino, dove arrivai la sera del 27 ottobre 2013. In ostello, in camera, un camerone piuttosto grande e nuovo, da otto, passavano le persone più varie, pure delle ficone. A volte, quando le vedevo un po’ sperdute, mi infilavo in camera loro, o semplicemente nel loro letto se erano nello stanzone dove ero io, e me la godevo e le facevo godere.

Ero andato avanti di tanto, in tanto, con quegli esercizi per rinforzarlo ed ingrossarlo. Poi, non ci avevo più fatto caso. Ero preso da altre cose. Un mattino mi sveglio con la malattia dell’asino, o così si chiama volgarmente. Prima pensai che mi mi si fosse infilato un gatto nel letto e si fosse addormentato sulla mia pancia. Nulla di tutto questo. Razionalizzai presto, nel torpore del risveglio, che mi ritrovavo con un coso anormalmente grosso e pure duro, durissimo, da far male. E continuava durante la giornata non appena vedessi delle belle fiche o pensassi alla fica. Si induriva, e proprio da far male, a parte lo spazio che occupava, anche da moscio.

Quella stessa notte, una ficazza che era arrivata da qualche giorno dormiva letteralmente con culo fuori, la schiena arcuata su una gamba diritta ed una flessa, e questa fica che le spuntava da dietro, dalle chiappe al vento e tese. Ti trattenni mille volte, inibito, terrorizzato, da quel coso grosso, troppo grosso, che mi ero all’improvviso ritrovato. Ma poi non ce la feci più. Mi spogliai e, con quel coso duro, duro, durissimo da far male, che mi precedeva, mi adagiai accanto a lei, sopra di lei, mentre la avvolgevo col mio corpo per penetrarla. Con mio cazzone che cercava la via per entrarle nella fica, lei che, pur nel sonno, chiaramente non stava pensando ad altro, arcuò ancora di più le chiappe contro lo stesso mentre nel frastorno del risveglio. con io che inequivocabilmente la pressavo per farmela, mi disse ancora assonnata:
- “Che cosa mi stai facendo col ginocchio?”

Feci appena in tempo a dirle, con la punta del cazzo, e tutto il resto al seguito, che le entrava nella ficona bagnatissima: “Non è il ginocchio...”, che lei uscii un “oooh”, seguito subito da altri ancora più lunghi ed orgasmici, dove lo stupore si mescolava al piacere per quel cosone che le stava entrando dentro e che cominciò subito a stantuffarla per una chiavata travolgente.

La ficona al vento, ed ora sotto di me, che la montavo in crescendo, era in un castello doppio proprio sotto al travestito che era stato mandato dalla Polizia Segreta, la StaSi-GeStaPo/BfV-LfV-BND-MAD=NATO, del regime compradoro-angloamericano, e pure russo, della Germania uscita dalla seconda grossa sconfitta bellica del secolo XX. Di fronte a quel letto che oscillava sotto i colpi della monta, ed ai suoni orgasmici della troiazza in crescendo e rinnovati ad ogni ulteriore orgasmo, gli altri della stanza, ora divertiti, ora sgomenti, fecero finta di continuare a dormire. Non così il travestito, Christian/Diedling. Il culo già squilibrato e scorreggiante non resistette un momento a quegli stantuffi di cazzo e di fica proprio lì sotto di lui. Dopo segni e suoni di disperazione, mentre cercava di negarsi quello che stava succedendo sotto al suo letto, e sperava di sottrarsi dall’udire i suoni di godimento sfrenato e le voglie che provocavano in lui stesso, si gettò sullo zainetto, in realtà uno zainone, dove teneva molti dei suoi armamentari di quella sceneggiata del travestimento. Ne tirò fuori un vibratore piuttosto grosso. Lo spalmò velocemente di lubrificati che teneva in prossimità dello stesso. E, freneticamente, come ossesso, se lo ficcò nel culo acceso al massimo.

Quando io comincia a sborrarle dentro, dentro alla troiazza, andando avanti nella monta, mentre lo sperma usciva, le devo avere scaricato, da qual cazzone anormalmente ingrossato, un buon mezzo litro liquido di liquido denso e col pungente odore dello sperma fresco, il travestito sopra (il provocatore-disinformatore della Polizia Segreta tedesca-NATO Christian/Diedling), all’odore di quello sperma che entrava dentro la ficona col culo al vento, ma pure ne strabordava diffondendo il suo profumo pungente, ne era ancora più ossesso e stravolto. Pur col vibratore al massimo, comincio a far fare allo stesso su e giù tenendolo colle mani alla base, mentre dal suo buco del culo stravolto e, come al solito, disordinato da forme di costipazione e flatulenze, uscì merda liquefatta che la sua alimentazione stramba e da ignorante arruffone  produceva in abbondanza.

Io e la ficona ci eravamo ben goduta la super-scopata, mentre il travestito era ora letteralmente nella merda. Avevo appena fatto in tempo a sfilare il cazzo ed a ritirarmi nella mia area con lo stesso ancora durissimo, pur io esausto dallo stantuffaggio intenso e da tutto quello mi era uscito dalle palle e dal cazzo, che lo stanzone cominciò a riempirsi del lezzo della merda del travestito che si era riversata abbondante sul suo materasso e che minacciava pure di strabordare sotto, sopra la povera ficazza che, al lezzo, e forse pure per necessità sue, aveva preso un asciugamano ed era corsa al bagno. La finestra il travestito la teneva solitamente aperta proprio per mascherare quelle sue continue flatulenze dagli odori disgustosi. Corse ad aprila ancora di più, mentre cercava di tamponare quelle sue fuoriuscite merdaiole, pur ormai fuoriuscite e ben sparse sul suo materasso a quel unto del tutto rovinato. Pure lui, saltato al suolo col suo solito tonfo pensante, messosi il suo solito zaino regolamentare sulla schiena, ed avvolto in qualche modo il materasso che egualmente colava merda come la colava lui, corse al bagno per darsi una prima lavata e per vedere di dare pure una qualche lavata al materasso, ed alle lenzuola ed al piumone. Dopo un’ora buona in bagno, sulla via del ritorno nella stanza, si accorse che aveva immerdato lungo il percorso sgocciolando un po’ dappertutto. Per cui aggredì con rotoli di carta igienica in mano quello schifo che aveva disseminato sui pavimenti e pure altrove visto che la struttura del suo stesso letto si era variamente insozzata, non solo il materasso e le lenzuola.  

Io mi ero già ritirato nel mio letto, per non sconvolgere ulteriormente la quiete della stanza per nulla quieta dallo sconquasso di quella montata sostenuta e travolgente, e poi da quegli andirivieni successivi. Mi appisolai un momento per risvegliarmi di nuovo con questo cazzone duro, durissimo, teso da far male, sicuro segno del desiderio di infilarsi un un’altra tana accogliente e di irrigarla variamente, non solo per il piacere del godimento ma, ancor di più, per cercare di far cessare quel turgidume doloroso.

Nella stanza affianco, una stanza da sei, sebbene fosse la metà della nostra da otto, c’erano, in quel momento, solo femmine, ragazzette. Tra esse, una fichettina vietnamita, con culetto e le gambe piene e flessuose, che arrossiva ogni volta che mi passava affianco e la guardavo, e che poi fuggiva veloce via dalla mia vista ma non dai miei desideri. Mi dissi che era quello il momento e che, se lei non ci fosse proprio voluta stare, le avrei fatto sentire una chiavata con una qualche altra delle sua stanza. Avevano tutte, tutte le altre, l’aria da troiette che non aspettavano altro che cazzi da cui farsi infilare e godere.  

Entrai dunque nella stanza affianco e, trovato il letto della fichetta vietnamita, mi vi infilai, contro di lei che stava di schiena in posizione quasi fetale. Non appena trasalì, dal sonno, le dissi veloce:
- “Non dire nulla che se altre della stanza scoprono che sono nel tuo letto chissà che cosa pensano di te...” 

Al terrore di quello che avrebbero pensato di lei, le si smorzò la voce ma non il desiderio di negarsi:
- “Che cosa ci fai tu qui? Ora mi metto ad urlare che mi violenti...”
- “Se ti metti ad urlare, lo sai che comunque pensano che mi hai fatto entrare nel tuo letto e che poi... ...che poi... ...che ora stai facendo la sceneggiata...”

Tremava non sapendo bene cosa dire e cosa fare.
Io:
- “Lo sai che sono folle di te... Tutte le volte che ti vedo...”
- “Tutte le volte mi vedi, cosa?!”
- “Lo hai visto che impazzisco vendendoti e pensandoti...”
- “No, non me ero accorta...”
- “Ma dai... Se arrossisci tutta appena ti guardo, anche solo colla coda dell’occhio...”

Sebbene lei fosse di spalle, io lo percepii inequivocabilmente che, a quella mia osservazione, era arrossita più che mai ed aveva pure cominciato a sudare.
Così continuai:
- “Lo vedo che sei arrossita di nuovo, ora...”
- “Ed allora?!” 
- “Allora?! Sei arrossita perché anche tu ti sei innamorata di me e mi vuoi. Mi vuoi ora...”

Restò paralizzata in attesa di quello che sarebbe inevitabilmente successo. L’accarezzai e toccai tutta, con ardore e sapienza. Al godimento di me addosso a lei e che la eccitavo, le si sciolse la lingua: 
- “Perché mi tieni il ginocchio contro la schiena?”

Le risposi con voce suadente ed allusiva:
- “Non è il ginocchio...”

Capì subito:
- “Nooo... E cosa pensi di fare con quel coso?”
- “Indovina...”

Era davvero lubrificatissima, per cui cercai in tutti i modi possibili di infilarglielo dentro. No, non voleva proprio entrare, salvo squartarla. E non entrò. Mi feci perdonare succhiandogliela sì da farla godere di clitoride. Cosa che fece con gridolini sempre più sfrenati e che fecero gelare, e pure eccitare all’inverosimile, le altre ragazze della stanza che furono presto sveglie, ed in vigile e sempre più sconvolto ascolto, dato che avrebbero voluto goderselo loro quel cazzo si immaginavano, o comunque quel servizio che si stava godendo la loro compagna di stanza. Quando lei si riebbe dal godimento che l’aveva sconvolta nel piacere, si rese conto che non potevano non essersi tutte svegliate e non potevano non averla tutte sentita. 
- “Lo hai visto?! Mi hai rovinata? Ora che cosa penseranno di me le altre della stanza?”
- “Te lo dico io che cosa pensano... ...pensano che vorrebbero essere al posto suo.”

A quel punto me ne andai davvero umiliato che questo cazzone troppo grosso non le fosse potuto entrare dentro e sollazzarsi nella sua fichetta gustosa.

Sì, certo, le altre della stanza, troiazze che pensavano solo al cazzo, e lo facevano pure vedere che pensavano solo al cazzo, il giorno dopo si indirizzarono alla fichetta viet con frasi allusive e sorrisetti ancora più straboccanti di malizia.

Chi stava davvero male ero io. Prima mi ero creato quella cosa che uno deve  averlo sempre duro. E, dopo esercizi per indurirlo e svilupparlo, mi ritrovai con quel cazzone troppo grosso, sebbene per troiazze con la fica ben montata e naturalmente grande, per cui in cerca di cazzi grossi, alla fine potesse pur andare bene, seppur fosse un po’ troppo pure per loro. Invece ora, con quella bella fichettina viet, lo avrei proprio voluto avere delle dimensioni giuste. Questioni di preferenze del tutto soggettive. Mi piacciono più le fichette magre e colla pelle tenera, che la tipa-vaccona e magari, inevitabilmente, pure colla tendenza a sfarsi. Questione di gusti, appunto. La tipa-foto-porno mi ha sempre fatto pisciare dal ridere e lasciato scettico dal punto di vista del desiderio. Molti ne vanno invece pazzi. 

Beh, lasciamo qui. Non ho ora voglia di disquisire ulteriormente sulla questione delle variazioni dimensionali del mio coso. Releghiamo nell’oscurità, qui, eventuali sviluppi successivi a questo proposito.