mashal-081. Che fika al vento...
by Georg Moshe Rukacs
Forse questa
microstoria va fatta iniziare dal Brasile,
A Rio de Janeiro
incontrai Mariangela Santos. A dire il vero, ad un’ora da Rio di bus, a Campo
Grande.
In realtà stavo
già scopando, e con grande soddisfazione, con Aurora Lin. Lavorava nella
piccola di-fatto-ChinaTown, che era poi dove abitavo a Rio. Uscivo, e vi erano
botteghe cinesi che vendevano, in apparenza, cianfrusaglie, eppure si
estendevano in grandi negozi, e si vedevano i proprietari e famiglie salire su
macchinone, su superstrada, che, in Brasile, costano perfino di più, e pure di
molto, che in Europa, dato la notevole tassazione indiretta, e che, dunque,
sono un sicuro indice di affluenza, di ricchezza, di essere dell’area dei benestanti,
nettamente superiori a chi vive, rubacchiando, sulla strada e pure da chi, non
molto differente, come livelli di sussistenza, lavora per un euro o poco più
l’ora (o anche a meno, visto i padroni delinquenti che vi sono!) e, poi, o si
arrangia rubacchiando oppure sopravvive semplicemente perché molti vivono non
pagando fitto, sia in favelas od in situazioni similari. Il Brasile è, a tutti
i livelli, un arruffa-arruffa, dove tutti si rubano reciprocamente e sembrano
pure felici di tale comune delinquere che svantaggia, in vario modo, tutti. Fin
dalla più tenera infanzia viene fatto ai brasiliani un continuo lavaggio del
cervello dal punto di vista del patriottismo per cui viene, assolutamente a
tutti, instillato un patriottismo esasperato, almeno a livello declaratorio.
Una cosa del: così deve essere. Come molti che sono di una religiosità
fanatica, anche lì a livello declaratorio, non davvero di comportamenti. Poi,
infatti, nella sostanza, il brasiliano vive come una persona di merda.
No, no, i cinesi
non c’entrano nulla con questo patriottismo brasilico. I cinesi, a casa,
parlano cinese, e continuano a parlare cinese col succedersi delle generazioni.
Vogliono preservarsi come cinesi. Se non come cinesi-cinesi, come cinesi da
dove vengono. Alla fine parlano il dialetto o lingua specifici dell’area da cui
sono arrivati, il ‘cinese’ dei luoghi di provenienza. Lo scritto che magari non
coltivano sarebbe uguale, più o meno. Lo specifico dialetto dei luoghi rende
invece impossibile comunicare con cinesi di altri dialetti, a meno di non
conoscere reciprocamente il cinese standard, la “lingua comune”, di cui
naturalmente il cinese, diciamo della strada, non è che si preoccupi.
Aurora era di una
di queste famiglie di cinesi arricchiti, arricchitisi col propri lavoro,
risparmiando su tutto ma poi pure mostrando esteriormente, con macchinone e
case di lusso, il loro arricchimento.
La avevo fissata
quando la avevo vista sulla porta nel negozio di famiglia. Era arrossita tutta.
La cosa si era ripetuta. Era arrossita ancora di più quando mi ero avvicinato a
lei, le avevo detto che era bellissima e che dovevo assolutamente vederla. Mi
aveva detto di no. Le avevo detto di trovarsi alle 21:00 precise, pure un poco
prima, di quel giorno, perché non mi piaceva aspettare, all’angolo tra Rua
Gonçalves Ledo e Praça Tiradentes. Le dissi che, se non si fosse presentata,
sarei venuto io al negozio il giorno dopo e l’avrei portata subito via a forza.
Arrossi tutta, ancora di più che le volte precedenti.
La sera, alle 21:00
la trovai lì. Era tutta tremante ed imbarazzata, imbarazzata non nel
significati spagnolo della parola.
Appena mi
avvicino a lei, sbotta subito, aggressiva:
- “Siamo
cinesi... Noi non le facciamo queste cose! ...Non so perché sono venuta...”
La baciai sulla
bocca. Prima piccoli bacetti che mi svelarono le sue labbra delicate e tenere.
Quando feci per baciarla più in profondità, lei serrò la bocca come negandosi.
Cominciai allora a baciarla sul collo e la sentii progressivamente sciogliersi.
Quando infine la baciai sulla bocca di nuovo, era ardente ed ansiosa di
offrirmi la lingua che voleva le succhiassi mentre le baciavo le labbra e le
toccavo il corpo colle mani.
La presi per mano
con la sinistra mentre, con la destra la tiravo a me per il fianco, e la
condussi nella mia stanza, bypassando la portineria dell’ostello, ostello in
cui non si potevano condurre estranei nella propria stanza. Ma, appunto, se non
vedevano...
Arrossì di nuovo
e, nel contempo, si irrigidì tutta. Si vedeva che recitava una parte, eppure lo
fece con apparente determinazione.
- “Siamo cinesi.
Noi non le facciamo queste cose. Prima mi devi sposare. Ma mio padre e mia
madre non vogliono che mi sposi con stranieri, bensì solo con cinesi. ...Anzi,
c’è un ragazzo di una famiglia di amici che lavora da noi. Credo che io gli
piaccia... I miei mi hanno detto che dovrei sposarlo...”
- “Se ti piace, sposalo”, le dissi mentre la spogliai
piuttosto velocemente.
- “Che cosa mi
sta facendo?!, sbottò con quella punta di isteria tipica della fanciulla che
pensa troppo al sesso mentre si vieta di praticarlo.
Non le risposi
mentre la spinsi sul letto dove le sfilai in un attimo le mutandine e cominciai
ad accarezzarle la fichetta colla lingua ed a succhiarle il clitoride. Ai primi
passaggi sulla fichetta chiusa diede segni inequivocabili di gradimento. Quando
comincia a succhiarle il piccolo clitoride, che subito si inturgidì, cominciò
ad agitarsi tutta come a volersi sottrarre ad un godimento troppo intenso. Più
mostrava di volersi sottrarre, più intensamente glielo succhiavo con lei che si
agitava all’inverosimile. Più la succhiavo più godeva, mentre faceva come a
sottrarsi al godimento che pur le montava dentro. Le montava dentro e ne usciva
pure straboccandola.
Le succhiavi il clitoride
roteandogli la lingua attorno. Lei si agitava come a liberarsi. Io la succhiavo
ancora più intensamente. Lei godeva ancora di più. Cercò di reprimere le
sonorità del godimento che le salivano nella gola, ed alla fine proruppero con
sempre più aperti e rumorosi oh, ooh, oooooooh. Un godimento incontenibile che
le saliva su. Fino a che non ebbe uno schizzo acquoso di inequivocabile
eiaculazione femminile che le usciva dalla fichetta chiusa e che mi colpì la
bocca e poi si espanse sul lenzuolo del letto. Ne fui piacevolmente sorpreso
dato che in genere alla femmine non succede, non a molte. Era come le si fosse
accumulata una quantità inverosimile di desideri repressi ed ora, di botto, non
potesse più contenerli. Dunque, una meravigliosa sborrata femminile.
Con la mia testa,
e la mia bocca e lingua, sulla sua fichetta, già le tenevo le gambe aperte e
ripiegate contro il suo petto. Mi sollevai col corpo, mossi il mio cazzo
durissimo sulla sua fichetta che carezzai con filo dello stesso, mentre ora, colla
mia bocca e lingua, presi a succhiarle e carezzarle i seni.
Poi, quando
sentii che era davvero del tutto fatta e strafatta, in quello stadio, colle
dita le allargai la fichetta e, con la punta del cazzo, cominciai a insidiare
quella sua passerina chiusa eppur lubrificatissima, dunque vogliosa di essere
presa. La baciavo sulla bocca, sul viso, sul collo, sui seni, mentre la punta
del mio cazzo si fece progressivamente strada nella fichetta prima chiusa ed,
infine, le entrò tutto dentro con lei che, di nuovo, con le sue sonorità
vocali, mostrava il suo gradimento e godimento. Il sangue virginale fu davvero
minimo ed i suoi ‘oooh’ e ‘aaah’ erano solo per il godimento sempre più intenso
che le saliva dentro e la straboccava.
Più la montavo e
più godeva, più la sua fichetta le si contraeva come a volermelo risucchiare
sempre più intensamente dentro di sé. Quando mi preparai infine a venire, con
lei che sembrava del tutto impazzita, e come fuori di sensi e di testa, le
distesi le gambe, la strinsi sotto di me tra le
ginocchia e la montai, la cavalcai, per venire in più rapidamente
possibile. Occorsero pur sempre minuti e minuti. Lei sussultava e la fichetta
si contraeva, restando lubrificatissima,
sì che quando cominciai a sborrarla dentro le sua fichetta che si contraeva, la
stessa mi risucchiava tutto lo sperma. Ed io continuavo a montarla, senza
fermarmi, pur con lo sperma che continuava ad uscire, e la sua fichetta e
risucchiarmelo vorace ed insaziabile dentro di sé.
Sì, è, non del
tutto, come quando si sente e si legge sui media che due sono restati
incastrati e che hanno dovuto farsi ricoverare per esser separati. Quando
succede questo è perché lui non continua fino ed esaurirsi e lei non gode fino
ad esaurire tutte le contrazioni della fica vorace. Questo non mi è mai
successo. È troppo bello abbandonarsi ad una lunga cavalcata, su una fica che
si contrae, fino ad esaurirsi e ad esaurirla. È quello che, anche lì, accadde
con Aurora Lin.
Quando, dopo
qualche mezz’ora, Aurora si riprese, cercò di darsi un atteggiamento e mi
disse, fingendosi seria-seria:
- “E se mi hai
messo incinta?”
- “Se ti ho messo
incinta, come prima o poi succederà, se non è successo ora, vedremo se sarà un
bimbo od una bimba...”
- “E cosa dico ai
miei?”
- “Dici loro che
ti ho messo incinta e che diverranno nonni...”
- “Non vengo più!
Non vengo più! Ora mi hai violentata e ti sei approfittato di me. Ma io non
vengo più.”
Le presi la testa
ferma tra le mie mani, appena stringendola, ma non sì da farle male:
- “Vieni qui da
me tutti i giorni! ...E smettila di fare storie! Sei mia e solo mia!”
- “Ho sentito
dire che tu ti diverti con altre donne...”
- “Quello che
faccio io, sono affari miei. Tu sei mia e solo mia!”
Poi, le succhiai
il collo in vari punti fino a sentirla inequivocabilmente godere e sussultare,
e lasciandole chiari segni dei miei ‘succhiotti’, davvero delle belle chiazze
rossastre:
- “Ti aspetto
stasera e tutti i giorni! ...Ah, se non vieni vengo a casa tua a prenderti...
..E dico ai tuoi che siano amanti... Tanto, non preoccuparti, già lo sanno che
sei qui con me che ce la spassiamo!”
Venne tutti i
giorni. La misi incinta un paio di volte. Dopo il primo bimbo, la fichetta le
restò per qualche settimana allargata dal parto, ma solo quando glielo mettevo
dentro, all’inizio della scopata. Poi, non appena cominciava a godere ed a
contrarsi, cioè quasi subito, in pratica appena sentiva il mio cazzo duro che
la voleva, era come le prima volta e le volte successive, una fichetta che si
contraeva stretta che mi risucchiava tutte le energie vitali che non
aspettavano che di fuoriuscire dal mio cazzo, mentre mi godeva e mi faceva
godere davvero in modo sfrenato.
Faceva un po’
sempre la gelosa. Ancora di più durante la prima gravidanza. ...Dovevano averle
detto qualcosa... Sì, poi lo aveva visto di persona. La sorellina le camminava
sotto il naso col culetto per aria ed un sorrisetto provocante ed allusivo.
Aurora, in
ospedale per la gravidanza, se ne era uscita con aria tragica:
- “Come hai fatto
questi giorni che io sono qui? Con chi ti sei dato da fare?”
- “Oh, che
domande...”
- “No, no, devi
dirmelo... Sennò sparisco col bambino.”
- “Oh, che
problemi che ti vai a fare...”
- “Ecco, mi hai
tradito e non me lo vuoi dire!”
- “Ma se sto
sempre con te...”
- “Lo so vai con
altre ragazze!”
- “Ma, dai, sono
sempre con te...”
- “No, me lo
dicono tutti che vai in giro a divertirti!”
- “Ma
figuriamoci... Sono sempre dietro alle mie cose e, poi, qui con voi...”
- “Dici, bene...
Con noi... Non solo come me... Lo vedo che la mia sorellina...”
- “Che c’entra la
tua sorellina.”
Si era fatta
furiosa:
- “Non negare che
te la sei fatta...”
- “Ma cosa vai a
pensare.”
- “Sì, lo so che
te la sei fatta...”
- “Sarai mica
gelosa di tua sorella?!”
- “Ecco, ti sei
divertito con lei ed io non dovrei essere gelosa?!”
Me ne andai per
evitare di continuare una discussione su quel terreno. Era stata la sorellina
che si era voluta far fare la festa sul mio cazzo duro, durissimo, di fronte a
lei che si era spogliata e mi si era gettata letteralmente addosso.
Beh, lasciamo qui
stare ora i godimenti e le vicende con Aurora Lin, e pure con qualche fichetta
a lei prossima.
...Passiamo
all’orrore. Capitò...
Con Mariangela
(di chiare origini congolesi od africano-centrali anche se i brasilici,
terrorizzati dalla dittatura militar-burocratica e lobotomizzati dal sistema
scolastico, hanno terrore anche solo di accennare a questioni razziali, dunque
inutile chiederlo loro), con cui, non so come, mi ritrovai in quei giorni, fu
un vero trauma. Mi portò in un motel, si spogliò e voleva essere fatta. Una
massa enorme di cento chili di grasso. Io mi ero detto che ad uno deve comunque
venire duro in tutte le condizioni. Mi sbagliavo proprio. Spogliatasi le esce
fuori una panciona con una una cicatrice, una cucitura spessa di quelle fatte
proprio per restare, di rimozione delle ovaie ed utero. La fica era una riga
senza attrattive sul pancione martoriato. Le salgo sopra e scivolo di qua e di
là tanto è grossa. Scappai col cazzo moscio e ne restai davvero traumatizzato.
Poi, continuavo a
pensare come facevano gli attori porno a restare in erezione in tutte le
condizioni. Beh, se uno va con ficone... Eppure mi dicevo che ad uno dovrebbe
venire duro comunque, a comando. Mi ero fissato. Mi misi a fare degli esercizi,
delle contrazioni, che dovrebbero avere il potere di rinforzarlo ed
ingrossarlo.
Intanto ero
andato a Berlino, dove arrivai la sera del 27 ottobre 2013. In ostello, in
camera, un camerone piuttosto grande e nuovo, da otto, passavano le persone più
varie, pure delle ficone. A volte, quando le vedevo un po’ sperdute, mi
infilavo in camera loro, o semplicemente nel loro letto se erano nello stanzone
dove ero io, e me la godevo e le facevo godere.
Ero andato avanti
di tanto, in tanto, con quegli esercizi per rinforzarlo ed ingrossarlo. Poi,
non ci avevo più fatto caso. Ero preso da altre cose. Un mattino mi sveglio con
la malattia dell’asino, o così si chiama volgarmente. Prima pensai che mi mi si
fosse infilato un gatto nel letto e si fosse addormentato sulla mia pancia.
Nulla di tutto questo. Razionalizzai presto, nel torpore del risveglio, che mi
ritrovavo con un coso anormalmente grosso e pure duro, durissimo, da far male.
E continuava durante la giornata non appena vedessi delle belle fiche o
pensassi alla fica. Si induriva, e proprio da far male, a parte lo spazio che
occupava, anche da moscio.
Quella stessa
notte, una ficazza che era arrivata da qualche giorno dormiva letteralmente con
culo fuori, la schiena arcuata su una gamba diritta ed una flessa, e questa
fica che le spuntava da dietro, dalle chiappe al vento e tese. Ti trattenni
mille volte, inibito, terrorizzato, da quel coso grosso, troppo grosso, che mi
ero all’improvviso ritrovato. Ma poi non ce la feci più. Mi spogliai e, con
quel coso duro, duro, durissimo da far male, che mi precedeva, mi adagiai
accanto a lei, sopra di lei, mentre la avvolgevo col mio corpo per penetrarla.
Con mio cazzone che cercava la via per entrarle nella fica, lei che, pur nel
sonno, chiaramente non stava pensando ad altro, arcuò ancora di più le chiappe
contro lo stesso mentre nel frastorno del risveglio. con io che
inequivocabilmente la pressavo per farmela, mi disse ancora assonnata:
- “Che cosa mi
stai facendo col ginocchio?”
Feci appena in tempo
a dirle, con la punta del cazzo, e tutto il resto al seguito, che le entrava
nella ficona bagnatissima: “Non è il ginocchio...”, che lei uscii un “oooh”,
seguito subito da altri ancora più lunghi ed orgasmici, dove lo stupore si
mescolava al piacere per quel cosone che le stava entrando dentro e che
cominciò subito a stantuffarla per una chiavata travolgente.
La ficona al
vento, ed ora sotto di me, che la montavo in crescendo, era in un castello
doppio proprio sotto al travestito che era stato mandato dalla Polizia Segreta,
la StaSi-GeStaPo/BfV-LfV-BND-MAD=NATO, del regime compradoro-angloamericano, e
pure russo, della Germania uscita dalla seconda grossa sconfitta bellica del
secolo XX. Di fronte a quel letto che oscillava sotto i colpi della monta, ed
ai suoni orgasmici della troiazza in crescendo e rinnovati ad ogni ulteriore
orgasmo, gli altri della stanza, ora divertiti, ora sgomenti, fecero finta di
continuare a dormire. Non così il travestito, Christian/Diedling. Il culo già
squilibrato e scorreggiante non resistette un momento a quegli stantuffi di
cazzo e di fica proprio lì sotto di lui. Dopo segni e suoni di disperazione,
mentre cercava di negarsi quello che stava succedendo sotto al suo letto, e
sperava di sottrarsi dall’udire i suoni di godimento sfrenato e le voglie che
provocavano in lui stesso, si gettò sullo zainetto, in realtà uno zainone, dove
teneva molti dei suoi armamentari di quella sceneggiata del travestimento. Ne
tirò fuori un vibratore piuttosto grosso. Lo spalmò velocemente di lubrificati
che teneva in prossimità dello stesso. E, freneticamente, come ossesso, se lo
ficcò nel culo acceso al massimo.
Quando io
comincia a sborrarle dentro, dentro alla troiazza, andando avanti nella monta,
mentre lo sperma usciva, le devo avere scaricato, da qual cazzone anormalmente
ingrossato, un buon mezzo litro liquido di liquido denso e col pungente odore
dello sperma fresco, il travestito sopra (il provocatore-disinformatore della
Polizia Segreta tedesca-NATO Christian/Diedling), all’odore di quello sperma
che entrava dentro la ficona col culo al vento, ma pure ne strabordava
diffondendo il suo profumo pungente, ne era ancora più ossesso e stravolto. Pur
col vibratore al massimo, comincio a far fare allo stesso su e giù tenendolo
colle mani alla base, mentre dal suo buco del culo stravolto e, come al solito,
disordinato da forme di costipazione e flatulenze, uscì merda liquefatta che la
sua alimentazione stramba e da ignorante arruffone produceva in abbondanza.
Io e la ficona ci
eravamo ben goduta la super-scopata, mentre il travestito era ora letteralmente
nella merda. Avevo appena fatto in tempo a sfilare il cazzo ed a ritirarmi
nella mia area con lo stesso ancora durissimo, pur io esausto dallo
stantuffaggio intenso e da tutto quello mi era uscito dalle palle e dal cazzo,
che lo stanzone cominciò a riempirsi del lezzo della merda del travestito che
si era riversata abbondante sul suo materasso e che minacciava pure di
strabordare sotto, sopra la povera ficazza che, al lezzo, e forse pure per
necessità sue, aveva preso un asciugamano ed era corsa al bagno. La finestra il
travestito la teneva solitamente aperta proprio per mascherare quelle sue
continue flatulenze dagli odori disgustosi. Corse ad aprila ancora di più,
mentre cercava di tamponare quelle sue fuoriuscite merdaiole, pur ormai
fuoriuscite e ben sparse sul suo materasso a quel unto del tutto rovinato. Pure
lui, saltato al suolo col suo solito tonfo pensante, messosi il suo solito
zaino regolamentare sulla schiena, ed avvolto in qualche modo il materasso che
egualmente colava merda come la colava lui, corse al bagno per darsi una prima
lavata e per vedere di dare pure una qualche lavata al materasso, ed alle
lenzuola ed al piumone. Dopo un’ora buona in bagno, sulla via del ritorno nella
stanza, si accorse che aveva immerdato lungo il percorso sgocciolando un po’
dappertutto. Per cui aggredì con rotoli di carta igienica in mano quello schifo
che aveva disseminato sui pavimenti e pure altrove visto che la struttura del
suo stesso letto si era variamente insozzata, non solo il materasso e le
lenzuola.
Io mi ero già
ritirato nel mio letto, per non sconvolgere ulteriormente la quiete della
stanza per nulla quieta dallo sconquasso di quella montata sostenuta e
travolgente, e poi da quegli andirivieni successivi. Mi appisolai un momento
per risvegliarmi di nuovo con questo cazzone duro, durissimo, teso da far male,
sicuro segno del desiderio di infilarsi un un’altra tana accogliente e di
irrigarla variamente, non solo per il piacere del godimento ma, ancor di più,
per cercare di far cessare quel turgidume doloroso.
Nella stanza
affianco, una stanza da sei, sebbene fosse la metà della nostra da otto,
c’erano, in quel momento, solo femmine, ragazzette. Tra esse, una fichettina
vietnamita, con culetto e le gambe piene e flessuose, che arrossiva ogni volta
che mi passava affianco e la guardavo, e che poi fuggiva veloce via dalla mia
vista ma non dai miei desideri. Mi dissi che era quello il momento e che, se
lei non ci fosse proprio voluta stare, le avrei fatto sentire una chiavata con
una qualche altra delle sua stanza. Avevano tutte, tutte le altre, l’aria da
troiette che non aspettavano altro che cazzi da cui farsi infilare e
godere.
Entrai dunque
nella stanza affianco e, trovato il letto della fichetta vietnamita, mi vi
infilai, contro di lei che stava di schiena in posizione quasi fetale. Non
appena trasalì, dal sonno, le dissi veloce:
- “Non dire nulla
che se altre della stanza scoprono che sono nel tuo letto chissà che cosa
pensano di te...”
Al terrore di
quello che avrebbero pensato di lei, le si smorzò la voce ma non il desiderio
di negarsi:
- “Che cosa ci
fai tu qui? Ora mi metto ad urlare che mi violenti...”
- “Se ti metti ad
urlare, lo sai che comunque pensano che mi hai fatto entrare nel tuo letto e
che poi... ...che poi... ...che ora stai facendo la sceneggiata...”
Tremava non
sapendo bene cosa dire e cosa fare.
Io:
- “Lo sai che
sono folle di te... Tutte le volte che ti vedo...”
- “Tutte le volte
mi vedi, cosa?!”
- “Lo hai visto
che impazzisco vendendoti e pensandoti...”
- “No, non me ero
accorta...”
- “Ma dai... Se
arrossisci tutta appena ti guardo, anche solo colla coda dell’occhio...”
Sebbene lei fosse
di spalle, io lo percepii inequivocabilmente che, a quella mia osservazione,
era arrossita più che mai ed aveva pure cominciato a sudare.
Così continuai:
- “Lo vedo che
sei arrossita di nuovo, ora...”
- “Ed
allora?!”
- “Allora?! Sei
arrossita perché anche tu ti sei innamorata di me e mi vuoi. Mi vuoi ora...”
Restò paralizzata
in attesa di quello che sarebbe inevitabilmente successo. L’accarezzai e toccai
tutta, con ardore e sapienza. Al godimento di me addosso a lei e che la
eccitavo, le si sciolse la lingua:
- “Perché mi
tieni il ginocchio contro la schiena?”
Le risposi con
voce suadente ed allusiva:
- “Non è il
ginocchio...”
Capì subito:
- “Nooo... E cosa
pensi di fare con quel coso?”
- “Indovina...”
Era davvero
lubrificatissima, per cui cercai in tutti i modi possibili di infilarglielo
dentro. No, non voleva proprio entrare, salvo squartarla. E non entrò. Mi feci
perdonare succhiandogliela sì da farla godere di clitoride. Cosa che fece con
gridolini sempre più sfrenati e che fecero gelare, e pure eccitare
all’inverosimile, le altre ragazze della stanza che furono presto sveglie, ed
in vigile e sempre più sconvolto ascolto, dato che avrebbero voluto goderselo
loro quel cazzo si immaginavano, o comunque quel servizio che si stava godendo
la loro compagna di stanza. Quando lei si riebbe dal godimento che l’aveva
sconvolta nel piacere, si rese conto che non potevano non essersi tutte
svegliate e non potevano non averla tutte sentita.
- “Lo hai visto?!
Mi hai rovinata? Ora che cosa penseranno di me le altre della stanza?”
- “Te lo dico io
che cosa pensano... ...pensano che vorrebbero essere al posto suo.”
A quel punto me
ne andai davvero umiliato che questo cazzone troppo grosso non le fosse potuto
entrare dentro e sollazzarsi nella sua fichetta gustosa.
Sì, certo, le
altre della stanza, troiazze che pensavano solo al cazzo, e lo facevano pure
vedere che pensavano solo al cazzo, il giorno dopo si indirizzarono alla
fichetta viet con frasi allusive e sorrisetti ancora più straboccanti di
malizia.
Chi stava davvero
male ero io. Prima mi ero creato quella cosa che uno deve averlo sempre duro. E, dopo esercizi per
indurirlo e svilupparlo, mi ritrovai con quel cazzone troppo grosso, sebbene
per troiazze con la fica ben montata e naturalmente grande, per cui in cerca di
cazzi grossi, alla fine potesse pur andare bene, seppur fosse un po’ troppo
pure per loro. Invece ora, con quella bella fichettina viet, lo avrei proprio
voluto avere delle dimensioni giuste. Questioni di preferenze del tutto
soggettive. Mi piacciono più le fichette magre e colla pelle tenera, che la
tipa-vaccona e magari, inevitabilmente, pure colla tendenza a sfarsi. Questione
di gusti, appunto. La tipa-foto-porno mi ha sempre fatto pisciare dal ridere e
lasciato scettico dal punto di vista del desiderio. Molti ne vanno invece
pazzi.
Beh, lasciamo
qui. Non ho ora voglia di disquisire ulteriormente sulla questione delle
variazioni dimensionali del mio coso. Releghiamo nell’oscurità, qui, eventuali
sviluppi successivi a questo proposito.